«Il vero guaio a stelle e strisce è la concentrazione del potere»

«Il vero guaio a stelle e strisce è la concentrazione del potere» L'EX COMMISSARIO CONSOB E I DIFETTI DELLA GOVERNANCE GLOBALE «Il vero guaio a stelle e strisce è la concentrazione del potere» Onado: l'unica figura di comando è il «ceo» che svolge anche i compiti del presidente La Borsa di New York vorrebbe la separazione Intervista Flavia Podestà CHI l'ha detto che il modo più efficiente di gestire un sistema complesso qual è quello delle grandi imprese industriali, commerciah, finanziarie sia la concentrazione dei poteri in mano al cosiddetto capo azienda? Il solipsismo non paga mai, e oggi dimostra di essere uno dei peggiori mah del capitalismo americano». Marco Onado - docente di Economia degli Intermediari Finanziari alla Bocconi ed ex commissario Consob - analizza la crisi sistemica del mondo degli affari americano con il distacco del teorico. E nota che a monte dei crack Usa ci sono sempre regole di govemance non funzionali. Queste crisi non sono anche questioni di etica negli affari? «Non c'è dubbio. Ma, vede, i mascalzoni ci sono sempre stati ovunque. La bolla speculativa può aver alimentato la loro arroganza, ma non li ha inventati». Perché ritiene che il governo societario sia la principale delle tante concanse dei crack Usa? «Perché, se lei ci fa caso, in nove casi su dieci di quelli che hanno dato scandalo, e degli altri che sono ancora all'attenzione della Sec, lei troverà un Ceo - l'equivalente del nostro amministratore delegato - che è anche presidente della società. Il sistema dei controlli delle società americane non ha funzionato perché per definizione è inibito il controllo fondamentale: quello che avviene quasi a vista ogni giorno tra un presidente e il manager più importante». Ma nelle società americane ci sono stuoli di vice presidenti, cascate di comitati di tutti i tipi, membri dei board indipendenti. Non basta? «Il potere vero è però concentrato nelle mani di una sola persona: il president Ceo. Il resto è contomo. I consiglieri indipenti non vedono o non vogliono vedere: non possono, d'altra parte, avere la percezione quotidiana della vita di una società. Non ce l'hanno, o preferiscono non averla per lucrare ricche prebende, nemmeno i componenti dei comitati Audit. Nella Enron il capo dell'Audit Commettee era un notissimo docente di Contabilità all'Università di Standford: faccia un po' lei. Da noi il fatto che il Ceo - quello davvero operativo - non debba avere la presidenza della società è scritto nel Codice Preda di autoregolamentazione. Ora l'Economist ha raccontato degli orientamenti del Nyse per rendere più stringente il codice di autoregolamentazione della Borsa di New York: ma ha anche scritto che le autorità del Nyse pur ritenendo fondamentale la separazione tra presidente e Geo non hanno avuto il coraggio di metterla nero su bianco». E in Europa? «Bruxelles si è convinta che le regole prevalenti nel Vecchio Continente non siano peggiori di quelle americane: ha deciso così di andare per la propria strada nel definire standard di controlli europei che diventeranno obbligatori per le imprese Uè dal 2005». Osservando la varietà dei reati dei manager americani e le ripetute richieste di nonne più severe da parte del Congresso e della Sec vien fatto di ritenere che in quel paese il mercato sia una sorta di Far West. Ma quel mercato è stato il modello per il resto del mondo. Come la mettiamo? «La questione è delicata. Perché da un lato le regole del mercato e il diritto societario Usa sono assai sofisticati e dettaghati, dall'altro consentono margini di manovra infiniti. Si pensi alla possibihtà di non consolidare i debiti delle partecipate off-shore che ha portato al disastro la Enron. Un paradosso si spiega con la, logica: più paletti metti su un pendio, più aumenti le tentazioni di fare slalom». E' un po' quel che succede, in Italia, con la iper regolamentazione fiscale: è così? «Io direi che l'eccesso di dettaglio ha permesso, in America, di far prevalere la forma sulla sostanza: e i furbi ci hanno marciato». Con varie complicità, che rivelano l'entità e la pervasività del conflitto d'interessi. Tutti hanno messo, giustamente, sul banco degli imputati le società dì certificazione: eppure non le sembra ancora più devastante il ruolo svolto dalle banche? «Non ha torto. La fragihtà del sistema di certificazione in Usa era già emersa ampiamente da un rapporto del 1999: la Sec aveva cercato di erigere qualche barriera, ma era stata stoppata dal Congresso». E' lo stesso Congresso che oggi reclama punizioni draconiane. Che cosa è cambiato? «L'amministrazione americana tende sempre a difendere il proprio sistema. Quando però, come sta succedendo in questi mesi, è costretta a registrare una pesante caduta del mercato, che in Usa è un robusto integratore del reddito delle famiglie; quando vede coinvolti, come nel caso Enron, i fondi pensione che in Usa sono l'unico strumento per costruire il futuro; quando scopre casi in cui il furbo truffa un miliardo di dollari e 75 mila persone perdono il lavoro, anche il politico capisce che, se non cambia, rischia il baratro della sollevazione popolare». I certìficatori debbono rivoluzionare se stessi, o sparire? «La fragihtà delle regole sulla certificazione è, almeno in parte, frutto della lobby di quelle società che temevano, altrimenti, cause miliardarie in caso di fallimenti: oggi sono vittime delle loro richieste. La via d'uscita è la netta separazione tra certificazione e consulenza e l'imposizione dell'obbhgo - che in Italia esiste già - di rotazione dei certificatori: Arthur Andersen certificava i bilanci della Enron da sempre». Cosa fare per eliminare il conflitto di interessi delle banche che, da un lato, finanziano a piene mani le aziende e dall'altro - come banche d'affari - costruiscono per loro le operazioni più disparate senza rifiutarsi alle richieste delle imprese, qualunque sia il loro stato di salute finanziario e patrimoniale? «La connivenza delle banche è indubbiamente più insidiosa. Un tempo - quando proprio gli Usa, dopo la crisi del '29, avevano impo¬ sto la separazione netta delle funzioni tra banca commerciale e d'affari, spezzando la Banca Morgan il rischio era più contenuto. Oggi, con la banca universale che si è imposta ovunque, il conflitto di interessi è inelimmabile». Ci si deve affidare solo alla buona volontà dei singoli? «No, quella non ha funzionato. Servono regole più severe e sanzioni molto più forti. Non basta più la semplice responsabilità civile». Occorrono condanne penali? «Credo che, intanto, le sanzioni delle autorità amministrative con pene pecuniarie fortissime e immediate - possano essere molto efficaci. I responsabUi di quei crack vanno ridotti sul lastrico». » ne

Persone citate: Arthur Andersen, Flavia Podestà, Marco Onado, Onado