BELGRADO Il miracolo si è dissolto di Giuseppe Zaccaria

BELGRADO Il miracolo si è dissolto )NE DI SLOBODAN MiLOSE «LAVIAUNADRAMM BELGRADO Il miracolo si è dissolto reportage Giuseppe Zaccaria BELGRADO VENTUNO eletti «cancellati» dal Parlamento, altri deputati minacciati di licenziamento, un capo di Stato maggiore che rifiuta di obbedire al suo presidente, un governo-ombra appena costituito e l'uomo-simbolo della rinascita jugoslava costretto all'opposizione. A un anno esatto dall'estradizione di Slobodan Milosevic, a Belgrado il «miracolo del 5 ottobre» - la rivolta di popolo che spazzò via il regime aprendo la strada ad ima difficile democrazia - è ormai cancellato e la battaglia fra il primo ministro Zoran Djindjic e il presidente federale Vojislav Kostunica sta per sfociare in un drammatico confronto elettorale. Gli ultimi atti della crisi si stanno consumando con un'accelerazione impressionante. Nelle ultime settimane, in Serbia, le tariffe elettriche sono aumentate del triplo e quelle telefoniche di cinque volte tanto. Belgrado è stata bloccata da cortei di tassisti che protestavano per un nuovo tentativo di tassazione e hanno costretto il governo a fare marcia indietro. Nello stesso tempo il governo, serbo ha proseguito con riunioni prive di senso nelle quali Djindjic ha tentato d'imporre nuovi balzelli. Ma soprattutto ha cerca- to di spingere verso elezioni nazionali. Le tensioni accumulate in un anno e mezzo di contrapposizione sono così esplose: parte del Dos (45 deputati del Dss e il partito di Kostunica) ha fatto mancare ripetutamente la maggioranza. Djindjic ha reagito con un atto senza precedenti: l'espulsione di 21 deputati assenteisti, condannata da tutte le organizzazioni intemazionali. Risultato: il Dss ha ritirato i suoi uomini dall'assemblea e ha formato un «governo ombra» guidato da Dragan Marsicanin che sta per lanciare un nuovo programma per il Paese. «Perfino Milosevic usava agire con maggiore cautela», ha commentato Marsicanin. Nel frattempo ciò che resta del Parlamento serbo ha votato una risoluzione per ridurre i voti di maggioranza necessari per rendere valide le sedute parlamentari. Dalla metà dei deputati si è passati ai due terzi. Secondo atto dello scontro. il pensionamento forzato di Nejbosa Pavkovic, capo di Sta to maggiore e comandante dell'Armata durante la guerra del Kosovo. Kostunica ha deciso il provvedimento a sorpresa convocando il generale e comunicandogli il nome del successore, Branko Krga. Pavkovic ha reagito prima respingendo la legittimità della decisione, poi convocando una serie di conferenze stampa. Il commento di Kostunica è stato lapidario: «Pavkovic è stato un valoroso generale ma è un pessimo pohtico». Anche in questo caso tutti gli osservatori intemazionali si sono schierati a favore di una ripresa del controllo civile sull'apparato militare. Tutto ciò sembra voler chiudere l'epoca dei tatticismi. Adesso, come sempre in Jugoslavia, tutti gli atti compiuti da Djindjic e Kostunica sono al vaglio della Corte Costituzionale che dovrebbe restituire al Parlamento i deputati «cancellati» e confermare il pensionamento di Pa¬ vkovic. Provvedimenti .che non serviranno comunque a sanare la lacerazione. Il Dos, raggruppamento di 18 partiti e movimenti che nelle ultime elezioni serbe si era presentato col nome «Dos-Vojislav Kostunica», ha perso il suo simbolo, l'ha trascinato all'opposizione ed appare destinato a presentarsi in due blocchi alle elezioni d'autunno. Il lungo braccio di ferro fra il tradizionalista Kostunica e lo spregiudicato Djindjic è giunto al suo epilogo. Da una parte, in nome della «modernizzazione», il primo ministro ha fatto passare scelte storiche: l'arresto di Milosevic, la sua estradizione semiclandestina, l'imposizione di un regime di tassazione forse necessario ma insopportabile alla maggior parte del Paese. Dall' altra Kostunica, continuando a dissociarsi dalla politica del governo serbo, ha condotto in porto quel che aveva annunciato essere il suo progetto: la sopravvivenza della Federazione, sia pure «alleggerita» e rivista il molte delle sue competenze. Lo scenario che si disegna è pressocchè ineludibile: trascorsa l'estate non senza ulteriori sussulti la nuova Jugoslavia - col nome di Serbia e Montenegro - voterà per i nuovi organi federali e nel frattempo preparerà il vero cambio di potere. Il mandato di Milan Milutinovic, collaboratore e amico di Milosevic nonché presidente serbo, scade il 5 gennaio prossimo e per quella data Djindjic e Kostunica si affronteranno per la presidenza serba. Il premier ha scelto di svolgere il ruolo più impopolare, per molti serbi è stato l'uomo delle tasse, dei sacrifici ulteriori e della consegna di Milosevic a un tribunale straniero. Aveva promesso miliardi di aiuti che non sono arrivati. Kostunica, apparentemente più defilato, ha invece seguito una politica di più lungo periodo che adesso sembra prossima a dare i suoi frutti. C'è solo una variabile sulla quale si giocheranno gli equilibri dei prossimi mesi. Con il sostegno del suo par¬ lamento dimezzato, Zoran Djindjic tenterà l'unica mossa possibile in questo momento: modificare ancora ima volta la costituzione ijer cercare di svuotare la futura presidenza serba di molti dei suoi poteri. Ma questo progetto è ormai destinato a incontrare un'opposizione fortissima. La «battaglia» tra il presidente Kostunica e il premier Djindjic sta per sfociare in un confronto elettorale inquietante Gli atti della crisi si moltiplicano. Nelle ultime settimane le tariffe elettriche sono triplicate e quelle telefoniche quintuplicate Una manifestazione a Belgrado di simpatizzanti di Slobodan Milosevic