Finita la festa, la saga di Pak Doo Ik non serve più di Marco Ansaldo

Finita la festa, la saga di Pak Doo Ik non serve più Finita la festa, la saga di Pak Doo Ik non serve più Il successo calcistico di Ahn, Hong e Choi non basta: il Sud deve ricordare che si torna alle antiche divisioni Marco Ansaldo I bollettini sul conflitto in mare tra le due Coree stridono con il film preparato dalla Fifa prima del Mondiale e con l'idea di pace che Blatter, il suo presidente, ritiene appartenga al calcio tranne quando i suoi nemici se la prendono con lui. E' un po' più ungo di un qualsiasi spot pubblicitario benché sia girato con quella tecnica. Si vede un ospedale da campo in una zona presumibilmente di guerra, sul tipo M.A.S.H. Ci sono vecchi camion, il filo spinato divide i militari in armi e una folla di povera gente asiatica con occhi senza speranza. Finché da qualche parte compare un pallone. Uno tira un calcio, una puntonata alla Ronaldo. La palla gira da un militare all'altro e presto il gioco Coinvolge tutti con i colpi più spettacolari: i vecchi, le infermiere, i reduci bendati, chi azzarda una rovesciata, chi palleggia da Dio.' I fucili volano contro le palizzate abbattendole e la gente infine può abbracciare chi prima stava di là dagli steccati. E' la metafora, molto esplicita, di quello che il Mondiale di calcio dovrebbe provocare in Corea: fame un Paese unico. Così non è, evidentemente, anche se a Seul hanno fatto molto per farcelo credere. Abbiamo negli occhi l'immagine della curva Nord dello stadio di Daejeon, il giorno prima della partita che decise l'eliminazione dell'Italia dai Mondiali: avevano coperto i seggiolini con fogli di cartone bianco sul rosso della plastica perché, guardandoli dagli altri settori, foiinassero la scritta «Again 1966», «ancora un 1966», l'augurio irriverente di un'altra batosta per il calcio itahano. Ci colpì l'impudenza di chi si appropriava di un successo non suo, come se la storia favorisse le confusioni. La Corea che ci aveva costretti alla resa di Middlesbrough era la squadra del Nord, questi invece erano «gli altri coreani» che trentasei anni fa si erano battuti per il boicottaggio della Nazionale di Pak Doo Ik, alfiere di un Paese ostile, fresco di guerra e separato da un confine presidiato dagh eserciti e non da doganieri bonaccioni. Tutto il Mondiale è stato gestito nella finzione di un evento Dancoreano, come se il 38" paralelo fosse un tratto di matita nel mappamondo della politica. Quando, nel '96, la Fifa votò la spartizione tra Giappone e Corea si ipotizzò che qualche partita si giocasse al Nord, in nome del riavvicmamento poi sancito alle Olimpiadi di Sydney, quando gli atleti di Seul e di Pyongyang sfilarono insieme. Il progetto abortì, il Nord rimase senza football, il Sud che non aveva una storia calcistica in cui specchiarsi si appropriò dell'impresa dei «cugini»: Pak Doo Ik, il finto dentista, il goleador di Middle- sbrough fu invitato alla cerimonia inaugurale prima di FranciaSenegal. Non si presentò e non per cattiva volontà. I comunisti di Kim Jong II lo dissuasero: il Mondiale che si giocava poco più a sud doveva avere per i nordcoreani il valore di una sfida alla bocciofila e non si poteva parlarne. Così mentre la nomenklatura del partito seguiva le partite in bassa frequenza, la tv di Stato trasmetteva le immagini dei giochi alternativi che il governo, non casualmente, aveva allestito a Pyongyang. Le notizie dell'imprevedibile successo della Nazionale di Hiddink oltrepassavano il confine in clandestinità come i messaggi di Radio Londra durante la guerra finché non è stato più possibile tacerne e si è arrivati al compromesso: una differita di tre giorni, martedì i nordcoreani vedranno la finale per il terzo posto giocata ieri dai sudcoreani contro la Turchia. A Seul hanno proseguito per la loro strada. Il Paese è particolare, come se lo stato di guerra fosse permanente. Abbiamo vi¬ sto cordoni di poliziotti, colonne di militari, elicotteri che sorvolavano gli stadi come in una scena di Apocalypse Now: il premio più ambito per i calciatori che hanno firmato l'imprevedibile quarto posto non è stato un metro cubo di won, la moneta che vale un paio di vecchie lire, ma l'esenzione dal servizio militare che è lungo e durissimo persino per i raccomandati. Ora la Corea ha nuovi eroi che si chiamano Ahn Jung-Hwan, Hong Myung-Bo, Choi JinCheul: non è più necessario inventarsi un passato di gloria perché il presente lo ha polverizzato. Le cannonate attorno all'isola di Yeonpueong, i morti, i feriti, i dispersi, hanno coinciso con l'ultima partita del Mondiale in Corea. Probabilmente non è un caso, qualcosa doveva ricordare a Seul che la festa è finita e si ritoma alle antiche divisioni sopra e sotto il 38" parallelo. L'impresa di Middlesbrough non serve più alla propaganda: la storia di Pak Doo Ik finirà sepolta di nuovo in qualche armadio al Nord. HBHHHHHwi^' Il premio più ambito per i vincitori del quarto posto non è stato il denaro ma l'esenzione dalla naja

Persone citate: Ahn Jung-hwan, Blatter, Choi, Hiddink, Hong Myung, Kim Jong Ii

Luoghi citati: Corea, Giappone, Italia, Londra, Sydney, Turchia