Il gigante telefonico costruito sui debiti di Paolo Mastrolilli

Il gigante telefonico costruito sui debiti STORIA DI UNA CRISI CHE APRE UN'ALTRA PIAGA NEL CAPJTAUSMG A STEL^ Il gigante telefonico costruito sui debiti Sessanta acquisizioni e 32 miliardi di dollari di scoperto L'Antitrust vietò una fusione con Sprint da 129 miliardi retroscena Paolo Mastrolilli QUANDO entri in cucina e vedi uno scarafaggio, puoi stare sicuro che non è l'unico in giro». Non è una metafora elegante, questa prodotta dalla mente di John Hendricks, vice presidente di State Street Global Markets. Però dipinge bene il quadro. L'ultimo sfearafaggio apparso nella cucina del capitalismo americano si chiama WorldCom: è la seconda compagnia telefonica nazionale per le interurbane, e da un giorno all'altro si è accorta che aveva commesso un errore contabile da 3,8 miliardi di dollari. Come se lina massaia, tornando dal supermercato, scoprisse di aver speso per sbaglio l'intera finanziaria di un paese africano. Lo scandalo, civviamente, ha depresso Wall Street, perché segue e peggiora l'esempio della Enron, facendo precipitare la fiducia degli investitori. WorldCom era nata come una piccola compagnia locale a Clinton, nel Mississippi. Ma il cofondatore e amministratore delegato, Bemie Ebbers, aveva ambizioni sguaiate, come gli stivali, da cowboy con cui amava presentarsi in ufficio. Il colpo grosso lo fece nel 1997, quando approfittando della nuova legge sulle telecomunicazioni che aveva liberalizzato il mercato, soffiò la Mei alla compagnia britannica Bt Group per 30 miliardi di dollari. Era come un topolino che saliva sulla groppa di un elefante, perché Mei era un colosso in lotta con la At&t per il controllo del mercato telefonico negli Stati Uniti. Ma Ebbers e il suo amministratore finanziario, Scott Sullivan, non si erano fermati lì. Sfruttando il prezzo delle loro azioni, che continuava a salire grazie alla bolla" speculativa di Wall Street, fecero circa 60 acquisizioni e nel 2000 nori riuscirono a concludere una fusione da 129 milardi di dollari con la Sprint Corporation, solo perché le autorità antitrust americana ed europea misero il veto. Prescindendo da questo fastidioso inconveniente, nel giugno del 1999 WorldCom aveva raggiunto il picco più alto della sua storia: il titolo aveva toccato la soglia dei 62 dollari, e quindi la compagnia valeva 115,3 miliardi. Era l'epoca in cui si diventava ricchi anche investendo a caso, ' e nessuno poteva dubitare di .un'azienda così solida e affidabile. Ma sotto sotto il gatto Ebbers e la volpe Sullivan avevano combinato un sacco di guai, che sono emersi appena la bolla speculativa di Wall Street ha cominciato a sgonfiarsi. A gennaio il titolo di WorldCom era già sceso intomo ai 15 dollari, e da lì aveva continuato a sciovolare, quando si era scoperto che la compagnia aveva 32 miliardi di debiti e la Securities and Exchange Commission, cioè l'autorità di Borsa, stava indagando sulle sue pratiche contabili. Ad aprile, infatti, Ebbers si era infilato gli stivali e aveva abbandonato WorldCom, lasciando tra l'altro 408 milioni di dollari in debiti contratti con la stessa azienda sotto forma di prestiti. John Sidgmore aveva preso il suo posto come chief executive officer, ma ormai i guai erano stati combinati e continuavano. Martedì sera, infatti, la compagnia ha annunciato l'errore contabile da 3,8 miliardi di dollari. In sostanza gli amministratori avevano tatto passare le spese correnti di manutenzione come investimenti di capitale. Così avevano nascosto le spese e pompato il flusso di contante, trasformando le perdite in profitti. La nuova dirigenza ha reagito licenziando in tronco Sullivan, e ha aggiunto che taglierà 17.000 posti di lavoro, ossia il 20 per cento del totale, che ai bei tempi aveva raggiunta 85.000 dipendenti. Così conta di risparmiare 900 milioni di dollari all'anno, da sommare alla riduzione del 40 per cento nelle spese di capitale. Troppo poco e troppo tardi, secondo la maggior parte degli analisti. Infatti il titolo WorldCom vale ormai una manciata di centesimi, e il fallimento sembra dietro la porta. Fino al mese seprso,. la società di revisione che controllava i bilanci della compagnia del Mississippi era l'Arthur Andersen, e questo collega l'ultimo scandalo alla scia che sta infangando il capitalismo americano. Infatti «Arturo», come la chiamavano amorevolmente gli impiegati, verificava anche i conti della Enron, che col suo clamoroso fallimento in dicembre ha aperto la crisi. L'Arthur Andersen è stata appena condannata per ostruzione della giustizia nel caso Enron, che ha sfiorato persino la Casa Bianca, a causa dei rapporti di amicizia tra il presidente Bush e l'amministratore della società Kenneth Lay. Da.dicembre in poi, però, gli scarafaggi nella cucina hanno cominciato a rincorrersi come fosse la maratona di New York. Tra le altre sono fallite Global Crossing e Adelphia Commuhications, méntre l'amministratore di Tyco è .stato incriminato per evasione fiscale. Perfino la Merrill Lynch ha dovuto pagare una multa da 100 milioni di dollari, perchè in pubblico i suoi analisti spingevano i clienti a comprare titoli di cui ridevano in privato. Adesso è finita sotto inchiesta anche Martha Stewart, la regina americana dello stile, per insider trading: il 27 dicembre scorso si era affrettata a scaricare 4000 azioni dell'azienda famaceutica ImClone, il giorno prima che la Food and Drug Administration bocciasse una sua medicina sperimentale contro il candro. Indispettito, ieri Bush ha promesso un'inchiesta sul fallimento di WorldCom, che il dipartimento della Giustizia ha già avviato, perché i democratici minacciano di usare lo scandalo come una clava elettorale. Da qualche settimana, poi, la Sec ha proposto un nuovo regolamento di Borsa, che obbligherà gli ammini-s stratori a «certificare nei rapporti trimestrali e annuali che hanno letto tutti i documenti finanziari delle loro compagnie, che le informazioni sono corrette e contengono tutto quanto giudicato importante per l'investitore». Rassicurante: da ora in poi il Gatto e la Volpe dovranno almeno giurare di aver letto i propri bilanci. In aprile il co-fondatore Ebbers (che girava in stivali da cow-boy) se n'è andato facendosi prestare 408 milioni dall'impresa La nuova dirigenza vuole tagliare 17 mila posti di lavoro (pari al 20 per cento del totale) e ridurre del 40 per cento le spese di capitale Volti perplessi ieri in tutti i borsini del mondo Sotto, Bernard Ebbers, imputato numero uno per la crisi WorldCom

Luoghi citati: New York, Stati Uniti