NEW YORK TIMES La rivoluzione del «pistolero» Raines

NEW YORK TIMES La rivoluzione del «pistolero» RainesNEW YORK TIMES La rivoluzione del «pistolero» Raines personaggio NEW YORK TUTTE le notizie che meritano di essere stampate, recita il presuntuoso frontespizio del «New York Times». Davvero? E chi lo ha detto? Dal 5 settembre scorso lo dice Howell Raines, un incrocio tra Bob Kennedy e John Wayne, che predica il verbo liberal mentre brandisce la direzione come un bastone chiodato. Un uomo solo al comando, ruvido e complesso come il Sud da dove arriva, che sta rivoluzionando la cattedrale del giornahsmo mondiale. La storia, spacciata dal settimanale «New Yorker» come la sfida che definirà l'informazione americana dei prossimi decenni, comincia all'inizio del 2001, quando il direttore Joseph Lelyveld informa l'editore Arthur Sulzherger junior che intende mollare in anticipo la poltrona. Lelyveld è uh timido signore del New England, appassionato di opera e forgiato al giornalismo di qualità ' nelle aule della Columbia University, dove si assegnano i premi Pulitzer. La lista dei candidati alla successione è ridotta a due nomi: Bill Keller, vice direttore, e Howell Raines, capo della pagina degh editoriali. Sulzberger h invita separatamente al ristorante Aquavit, famoso perché da una parete scivola una cascata che impedisce ai curiosi di spiare le conversazioni. Keller è il delfino del capo e promette di tenere la barra ferma nella direzione segnata da Lelyveld. Raines, 59 anni, un divorzio alle spalle, due figh che fanno il giornalista e il cantante del gruppo fiink Galactic, e' nato in Alabama da un falegname che aveva abbandonato la scuola a 14 anni. Dice all'editore che il suo sogno è «sohevare il metabolismo competitivo del giornale». Non intende che i 1.200 giornalisti del «Times» sono diventati pigri, ma quasi. Secondo lui il quotidiano è salito a un milione e 150 mila copie grazie alla crescita dell'edizione nazionale, e per farlo vincere ancora bisogna «rianimare la prima pagina con più notizie esclusive e storie originali». Sulzberger sceghe Raines, perché «abbiamo bisogno di occhi nuovi» e «il compito di un editore è garantire cambia¬ menti regolari alla struttura». Howell ha studiato al Birmingham Southern CoUege ed è cresciuto nel profondo Sud razzista, mentre dalle sue parti ammazzavano Martin Luther King, Medgar Evers, e il Ku Klux Klan bruciava vive quattro ragazzine nere in una chiesa. E venuto su liberal, ma di quelli che dovevano tenere il fucile in casa per garantirsi il diritto di esserlo. Ha fatto la gavetta vera: «Birmingham Post-Herald», assegnato alle partite di footbah del mitico allenatore Bear Bryant, «Tuscaloosa News», «At- lauta Constitution», «St. Petersburg Times». Voleva fare lo scrittore, ma la sua novella "Whiskey Man» l'avevano letta troppi pochi, per mollare lo stipendio di giornalista. Uno dei lettori, però, era il mitico direttore-dittatore del «Times», , Abe Rosenthal, che nel 1979 decise; «Lo vogho nel mio giornale». Un anno dopo Raines copriva la Casa Bianca di Reagan, cominciando la carriera che lo avrebbe portato a fare il capo dell'ufficio di Washington, il corrispondente da Londra, il capo degh editoriali, e ora il direttore. Gh amici lo definiscono «uno alla Hemingway, non alla Fitzgerald», e il suo modello di giornalismo è questo: «Se sono in una sparatoria, voglio morire senza proiettili nella mia pistola. Voglio spararli tutti». Per uno così il destino doveva riservare la prova dell'I 1 settembre, dopo nemmeno una settimana da direttore. Non a caso una delle stelle di Ground Zero è diventato C.J. Chivers, ex capitano dei Rangers e veterano della Guerra del Golfo, che si è laureato alla Columbia nel '95, ma quando andava in ' classe si presentava con gli stivali da deserto dell'esercito. Risultato: il 12 settembre il Times è uscito con 33 pagine sull'attacco, im titolo di prima grande quanto quelli dello sbarco sulla Luna e le dimissioni di Nixon, e ha vinto sette premi Pulitzer. Stile aggressivo, tutte le notizie possibili, spazio a sport e cultura popolare, più storie originali che obbligano la gente a leggere il giornale. Ma il successo è arrivato usando la clava in redazione: via i capi dell'edizione domenicale Nicholas Kristof, promosso e rimosso, e dell'ufficio di Los Angeles, mentre firme come Kevin Sack e Stephen Engelherg sono scappate. La sede di Washington, soffocata dagli ordini del direttore, ha soprannominato lui «il mullah Omar» e i suoi collaboratori «i taleban». Lui, che sorseggia bourbon quando riflette sulle scelte importanti, si prepara a cambiare anche il capo di quell'ufficio. Ma non ne fa una questione personale, perché sa che lasciare il segno vuol dire rompere le scatole e creare la squadra . giusta. A chi lo «leccava» per i Pulitzer, infatti, ha risposto con le parole dell'amato coach Bryant: «Io non ho giocato neppure un'azione. Il team ha vinto». giornalismo mondiale Si proponeva di «sollevare il metabolismo competitivo» della sua équipe «rianimando la prima pagina con più notizie esclusive e storie originali». La copertura dell'! 1 settembre gli è valsa sette premi Pulitzer Il direttore del «Times», Howell Raines L'ingresso del «New York Times»

Luoghi citati: Alabama, Columbia, Londra, Los Angeles, New York, Washington