AFGHANISTAN Il grande business della democrazia di Giulietto Chiesa

AFGHANISTAN Il grande business della democrazia AFGHANISTAN Il grande business della democrazia reportage Giulietto Chiesa KABUL NON sarà una repubblica delle banane», ba detto il nuovo presidente dell'Afghanistan, Hamid Karzai. Ma è già cominciata la corsa all'oro, quello verde dei dollari e quello nero del petrolio, e quell'altra corsa, color dol papavero, non è mai terminata, né con i mujaheddin, né con i taleban e, a giudicare dal silenzio tombale in materia, nemmeno ora terminerà. Cbe fine banno fatto i campi dell'oppio? Chiedi in giro e vedi facce di pietra. Se ne deduce che quei campi non sono stati bombardati, e dunque producono, producono sotto questo sole implacabile. Fiume di denaro che non ha mai arricchito l'Afghanistan, come non lo arricchiranno questi nuovi fiumi post-bellici. L'Unocal texana ha già firmato un nuovo protocollo d'intenti con il govemo ad interim di Karzai, alla vigilia della Loya Jirga, per un oleodotto che porterà direttamente il petrolio del Mar Caspio nel Golfo Persico, a partire dal Turkmenistan del satrapo Saparmurad Nijazov. Questo protocollo è la copia carbone di quello che Unocal e Delta Oil (sauditi) firmarono con i taleban. La Russia, com'era stato progettato fin d'allora, sarà tagliata fuori. Il resto è la calata in massa, per ora su Kabul, di tutte le agenzie dell'Oriu, di tutte le organizzazioni non governative dell'universo. Ho riempito un quaderno di sigle, quasi tutte inglesi, poi ho smesso. I loro ricchissimi Land Cruiser, gipponi di vario tonnellaggio, intasano il traffico di Kabul, stracolma di amore umanitario e piena di tutte le meraviglie del consumo occidentale. Frigoriferi, televisori, condizionatori d'aria, depuratori d'acqua, ventilatori, motociclette, non parliamo di automobili. Sembra di essere a Mosca nel 1992. T programmi di aiuto si sprecano, anche se ognuno di questi se ne ritorna in Occidente sotto forma di stipendi principeschi-per gli addetti occidentali, oppure sub specie di materiali da importare e altre mille cose che qui non ci sono e occorre comprare. Per i locali riman- gono gli stipendi per gli addetti indispensabili, interpreti, autisti, guardiani, tuttofare. Quello che resta -ed è quasi sempre meno del 300Zo delle cifre stanziate diventa aiuto alla popolazione. Agli afghani resteranno le briciole di questa solidarietà molto spesso, anche se non sempre, assai pelosa. Come ha scritto qualcuno, la povertà è la legna che riscalda i cuori dei ricchi misericordiosi nel cammino verso il Paradiso. Nel frattempo qui è finalmente arrivata la democrazia. La nostra, s'intende, . anche se tradurla in afgbano si rivela perfino più complicato che tradurla in russo. Il mite Brahimi, rappresentante dell'Orni, si schermisce: «Non è ragionevole pretendere un-perfetto processo democratico in ' cinque mesi. C'è qualcuno che non dovrebbe esserci, è vero; ci sono state pressioni, è .vero. Ma vorrei sapere in quale Paese al mondo non si usa il denaro per fare pressioni. E qui, per giunta, ci sono an¬ che le armi». Come dargli torto? Lui è afghano e lo sa bene. Però il delegato di Mazar-i-Sharif, Habibullah, dice che «molte parti del Nord, del Sud-Est, del Sud e dell' Ovest sono ancora controllate da altra gente», che dunque non siede in questa Jirga. Manca solo l'Est da questo elenco sconsolante. «Noi vogliamo lin potere centrale - insiste - ma fino a che questi problemi non saranno risolti noi non avremo democrazia». Come dargli torto? Si va, dunque, in una notevole confusione, verso altri diciotto mesi sperimentali. Kabul continua a essere presidiata dalla Internatio-. nal Security Assistance Force (Isaf), dove i russi non banno voluto essere presenti, e dove nemmeno gli americani ci sono. Loro si occupano di «Enduring Freedom». Di cui si sa poco o nulla: solo che continua. La questione è se si possa estendere il mandato Isaf anche fuori da Kabul dove, per ora. sunt leones. L'ONU è favorevole, dice Brahimi, anche Karzai lo è, ma quanti soldati ci vorranno anche soltanto per presidiare la strada che da Kabul porta a Kandahar? Zalmay Khalilzad, rappre- sentante personale di George Bush (e anche membro della Loya Jirga come rappresentante della diaspora afghana) dice ai giornalisti, senza tante sottigliezze diplomatiche: «Noi costruiremo l'esercito afghano». Noi americani, s'intende. Che ne penserà il ministro della Difesa, il tagiko Fahim Qasim? Che vogliono toglierlo di mezzo. E non pare sia d'accordo. E come si spiega - chiede qualcuno - che gli americani sostengono Karzai a Kabul, mentre si avvalgono di alleati, in diverse province, che osteggiano Karzai? Khalilzai non fa una piega: «Noi aiutiamo chi combatte con noi contro il terrorismo internazionale. Noi vogliamo un centro forte, ma per ora il centro è debole e noi abbiamo altre necessità». Non sarà una repubblica delle banane, ma somiglia molto a un protettorato in guerra, con un governatore e un super-governatore, con molti comandi militari che si sovrappongono gli uni agli altri. Le molte anime della Loya Jirga erompono a ogni passo, anche se le telecamere addomesticate della regia mostrano solo le facce degli oratori, ignorando di regola la platea, specie quando i clamori esplodono sebbene l'audio sia anch'esso manipolato. Tutto è al tempo stesso molto virtuale e molto trasparentemente falso. Anime piene di veleno, come quella di Abdul Rasoul Sayaf, uno dei capi mujaheddin più fondamentalisti, che chiede a Karzai di cambiare il nome di «governo di transizione» in «governo islamico di transizione», e insiste perché il popolo afghano viva in conformità con la legge islamica. «La guerra santa - esclama lisciandosi la barba bianca - è cosa buona, perché tutti gli afghani sanno che noi prendemmo le armi per trovare pace e sicurezza e per eliminare i nemici dell' Islam». L'unica cosa che non spiega è perché, una volta vinta a guerra, i mujaheddin continuarono a farsela tra loro, massacrando la popolazione civile. E non spiega neppure chi siano ora i nemici dell' Islam. Non saranno per caso questi nuovi padroni? Ecco perché nessuno può abbassare la guardia. Lasciano il segno i dollari del petrolio e del papavero La capitale è già piena di tutte le meraviglie del consumismo occidentale: frigoriferi televisori, condizionatori moto e naturalmente auto. Sembra di essere a Mosca nel 1992 Delegati alla Loya Jirga seguono i lavori del Gran Consiglio ^*h Il presidente afghano Hamid Karzai ^^rifc«wrt»^M*wfajii«i«i»i ■■('ft mi A'* Kabul Massoda Jalal, 34 anni, impiegata nel Programma alimentare mondiale (Pam), è l'unica candidata donna alla carica di presidente