L'impero di Bisanzio laico e multietnico

L'impero di Bisanzio laico e multietnico L'impero di Bisanzio laico e multietnico L» IMPERO bi-' " zantino non è mai piaciuto agh occidentali. Già prima dell'anno Mille, il vescovo Liutprando di Cremona in missione diplomatica a Costantinopoh decise che quel mondo era un groviglio di putridume e di tradimento, dove oltretutto si mangiava malissimo. A partire da allora, i giudizi saccenti e poco penetranti pullulano, e Silvia Ronchey si diverte maliziosamente a riesumarli (Hegel, sulla storia bizantina tutt'intera: "un disgustoso panorama di imbecillità"). E' probabile quindi che giunga come una sorpresa, per il grande pubblico, quello che gli specialisti hanno riscoperto già da tempo: e cioè che quell'impero, "superpotenza del Medioevo mediterraneo, fu uno Stato laico, amministrato secondo il diritto romano da un'elite multietnica, colta e cosmopolita". Anche l'autrice è un'intellettuale poliedrica e cosmopolita, nota ai lettori soprattutto per i libri che ha scritto insieme al grande filosofo americano James Hillman, ma di mestiere insegna Civiltà bizantina alTUniversità di Siena: questo nuovo libro. Lo Stato bizantino, pur presentandosi come uno strumento concretamente utilizzabile negli studi universitari, è anche un sasso gettato nello stagno dell'opinione pubblica colta, per mostrare quanto siano inadeguati i pregiudizi con cui abbiamo sempre pensato ai bizantini e al loro impero. Senza negarsi una ricchezza di linguaggio che riflette, anch'essa, il gusto bizantino, con titoli di capitoli o di paragrafi come "Il RECENAlessBar SIONE ndro ero buio e l'oro" 0 "I grandi confini di cenere e di polvere", l'autrice traccia una proposta di interpretazione complessiva della storia bizantina. Compito tutt'altro che facile, se si pensa che parliamo d'uno Stato durato più di mille anni, che all'apice della sua potenza andava dalla Spagna al Mar Rosso, mentre alla vigilia della scomparsa era ridotto alla città di Costantinopoh e uno spicchio di Peloponneso. Un impero dai confini in perpetuo movimento, dalla composizione etnica instabile e disomogenea, almeno quanto erano solidi e in apparenza immutabili la sua capitale, la fede religiosa, l'ideologia: un impero aperto che comunicava col mondo attraverso tre grandi direttrici, la Via delle Steppe, la Via del Deserto, la Via del Mare, da cui giungevano l'oro e la seta, i mercenari e gli ambasciatori, le orde barbariche e le pestilenze. Silvia Ronchey s'è ritagliata qui anche un ruolo di mediatrice culturale, aprendo al pubblico occidentale la grande tradizione della bizantinistica russa e sovietica, di cui si può considerare lei stessa un'esponente, giacché è stata allieva dell'ultimo grande bizantinista sovietico, Alexander Kazhdan. Un interesse tutt'altro che casuale, questo degli intellettuali slavi e soprattutto russi per Bisanzio; giacché quell'impero che a noi occidentali è sempre apparso periferico ed alieno, sta invece alle radici della loro identità. Di lì sono venuti la cristianizzazione dei popoli slavi, l'organizzazione delle loro Chiese così come ancor oggi le conosciamo, l'alfabeto cirillico e anche, naturalmente, l'impero stesso degh zar, la Terza Roma, che di Bisanzio raccolse l'eredità perfino nel senso giuridico e dinastico. L'ossessione di uno Josif Brodskij per l'impero bizantino, espressa fin nel titolo di uno dei suoi libri più famosi. Fuga da Bisanzio, rispecchia la fascinazione provata a suo tempo da un altro Josif, Stalin: anche lui presente in queste pagine, intento a proteggere e promuovere quegli studiosi che celebravano la natura accentratrice, totalitaria e addirittura in qualche misura socialista dell'antico impero. Questo senso d'una continuità sotterranea si ritrova anche neh' interpretazione della Ronchey, anche se il paragone più calzante che a un certo punto l'autrice si concede è semmai con l'Urss del- la stagnazione brezhneviana. Nelle sue pagine riscopriamo così un impero caratterizzato da uno statalismo autoritario, monopolistico e ostile all'iniziativa privata; dove tutta la terra è dello Stato, che tutela e al tempo stesso sfrutta i contadini; dove il commercio deperisce perché tutte le navi sono dello Stato e i comandanti sono pagati poco più dei marinai; dove intellettuali influenti teorizzano che il sistema politico perfetto è quello in cui "i ricchi sono puniti e i poveri ricevono una paga", e dove una burocrazia gerarchica e interclassista monopolizza il potere con più ferocia di qualsiasi aristocrazia ereditaria. Che quest'impero, agitato nonostante tutto da una turbolenta dissidenza intellettuale e da frequentissime sollevazioni popolari, sia stato alla fine logorato e divorato non tanto dalle orde dei turchi, come comunemente si crede, ma piuttosto dalla concorrenza economica dell'Occidente, dall' intraprendenza e dai profitti pazzeschi dei mercanti veneziani, insomma da quelTaggressività capi-; talistica" che era già visibilmente, all'epoca, un connotato dell'Occidente, non è che un ulteriore motivo di riflessione offerto da questo libro suggestivo e rigoroso. RECENSIONE Alessandro Barbero SUPERPOTENZA RICCA E COLTA, STATALISTA E AUTORITARIA, PIÙ CHE DAI TURCHI VINTA DAL CAPITALISMO (COME L'URSS): SILVIA RONCHEY ROVESCIA PREGIUDIZI E LUOGHI COMUNI Silvia Ronchey Lo Stato bizantino Einaudi, pp. 262, C 76,50 SAGGIO L'imperatrice Teodora

Luoghi citati: Cremona, Roma, Siena, Spagna, Urss