Una decisione meditata da giorni «E' meglio fare un passo indietro»

Una decisione meditata da giorni «E' meglio fare un passo indietro» L'ADDIO DOPO UN QUARTO Di SECOLO Una decisione meditata da giorni «E' meglio fare un passo indietro» ritratto Flavia Podestà Lf ULTIMO appuntamento è i stato ieri. Ma quando i consiglieri d'amministrazione della Fiat si sono seduti al tavolo a cui Paolo Cantarella avrebbe Comunicato di lì a poco le dimissioni, tutti sapevano o avevano capito. Le sue intenzioni. Cantarella, le aveva comunicate martedì direttamente all'Avvocato Agnelli, in un colloquio avvenuto subito dopo il rientro a Torino dagli Usa del presidente d'onore della Fiat. «Guardi Avvocato avrebbe esordito Cantarella - che io la mia decisione l'ho presa. La pressione è troppo forte. Finché si spara su di me, pazienza, ho visto tanti momenti difficili nella mia vita. Ma se mirano sulla Fiat, allora è giusto che mi faccia da parte». L'Awocato ha ascoltato, ha riflettuto, poi ha convenuto che non c'era altro da fare, anche se la decisione, come ha poi voluto che si scrivesse ieri nel comunicato, era per lui «dolorosa». Il resto, nei giorni che hanno preceduto il consiglio di amministrazione, si è svolto nel clima di riservatezza e di serietà tipico della Fiat. Poi, a metà del pomeriggio, è stato lo stesso Cantarella ad alzare il telefono per comunicare alle istituzioni, ai sindacati e alla business community la .sua decisione. Non è facile staccare autonomamente la spina e rinunciare alla sfida, quando la partita è ancora in corso e l'esito per nulla scontato. Non è facile decidere di porre fine alla propria personalissima avventura professionale, nel momento della complessità: con la consapevolezza che il gesto può essere letto in tanti modi diversi e che, una volta usciti di scena, del bilancio di anni di successo nell'immaginario collettivo può anche restare solo la stagione delle difficoltà. Ci vuole del coraggio per scendere dalla plancia di comando quando nessuno te lo ha chiesto e l'età della pensione è ancora lontana. Ci vuole del coraggio, comunque: ma soprattutto, quando si sia assaporato il gusto di vestire i panni del manager più importan- te del paese, per avere il timone del primo gruppo industriale italiano. Paolo Cantarella ha trovato quél coraggio. A 58 anni - e dopo aver riottenuto la fiducia dell'avvocato Agnelli e del consiglio di amministrazione a metà maggio si è fatto da parte. Ha rassegnato le dimissioni da amministratore delegato della Fiat: un incarico che, nella storia più che centenaria del lingotto, solo altri due manager - Vittorio Valletta e Cesare Romiti (se non vogliamo considerare la breve apparizione ai piani alti di corso Marconi di Carlo De Benedetti) - avevano coperto prima di lui. Un incarico da brivido per chiunque. Ma tanto più per il ragazzo della barriera, così tipicamente torinese: per il ragazzo che si laurea in ingegneria meccanica studiando di notte perché, per mantenersi agli studi, si adatta a mille lavori (disegnatore tecnico, assicuratore, persino maschera al salone dell'Auto) e a quell'incarico arriva a 51 anni, pur non godendo di santi in Paradiso e basandosi solo sull'apprezzamento dei suoi superiori. Tra Varallo Sesia - dove è nato nel '44 (l'anno forse più duro dell'ultima guerra) - e corso Marconi corre più che una strada: quasi un abisso. Cantarella copre il percorso in 25 anni - tanti ne spende sotto le insegne di casa Agnelli - bruciando le tappe: entrato nel gruppo Fiat nel 77, già nell'80 è assistente di Romiti; nell'83 viene inviato come managing director al Comau (capogruppo dell'automazione industriale negli anni d'oro della fabbrica automatica). Nell'89 è già in Fiat Auto a rimettere ordine negli acquisti: nel '90 succede a Vittorio Ghidella come amministratore delegato. Il suo primo obiettivo è di riempire di nuovi modelli i cassetti vuoti del settore: Cantarella, che ha l'auto nel sangue, ci si butta a capofitto. Tre anni di durissimo lavoro, 5.700 miliardi di investimenti, tre nuovi impianti produttivi (Melfi, Termini Imerese e il rinnovo di Mirafiori), uno sforzo tecnico ed economico senza precedenti danno i risultati. Esce la Punto, che non rappresenta solo la riscossa del made in Italy nell'auto: ma la svolta del modo stesso di produrre in Fiat dove si è compiuto con successo il passaggio dalla fabbrica automatica affa fabbrica integrata, al- l'azienda piatta e alla lean production. E alla Punto fanno seguito Bravo e Brava, oltre al rilancio dell'Alfa Romeo con la 156 e la 166. Punto e Bravo /.Brava sono chiamate a difendere in Europa i colori della scuderia torinese nei segmenti più importanti (quelli, per capirci, dei grandissimi volumi) e lo fanno egregiamente conquistando per due anni consecutivi il titolo di «auto dell'anno»: Cantarella diventa «uomo dell'anno» per Business Week. Poi, nel '95, l^gprodo al vertice del gruppo. All'ombra di Romiti, diventato nel frattempo presidente, l'ingegnere di Varallo Sesia sulla giacca appunta la medaglia più esclusiva: quella di chief executive officer della holding di controllo dell'impero torinese, quella che lo proietta nell'empireo del potere industriale del BelPaese e lo trasforma, agli occhi della gente comune, nell'icona del «self made man» che è arrivato nell'Olimpo dei top manager. Dall'ottavo piano di Corso Marconi prima e dal Lingotto poi, a fianco prima di Cesare Romiti e poi di Paolo Fresco, Cantarella partecipa all'intemazionalizza- zione del gruppo, con il raddoppio in Brasile e il lancio della Palio (la world car), lo sbarco in India e in Polonia, il ritomo in Russia e l'approdo in Cina; l'acquisto di Pico per Comau, di Case per New Holland, di IrisBus e così via sull'onda della consapevolezza che nell'era della globalizzazione senza la massa critica si viene messi in corner. E' vero che, ad un certo punto, la concomitanza di variabili negative come la crisi del mercato italiano dell'auto unita ad alcuni indubbi problemi di Fiat Auto, la crisi dei mercati che hanno rappresentato la internazionalizzazione della Fiat, la onerosità maggiore del previsto di certe operazioni (la Case, per esempio) e l'abbondante ricorso al leverage in una fase di bassi tassi di interesse hanno creato problemi al gruppo: e che la debolezza dei mercati ha réso più difficile la manovra di rientro dal debito predisposta già un anno fa da Cantarella a braccetto del presidente Paolo Fresco. Ma l'amministratore delegato - come aveva ribadito in occasione dell'assemblea di Fiat, meno di un mese fa - aveva la ragionevole convinzione di essere sulla strada giusta e disponeva del carattere e della determinazione per raggiungere l'obiettivo. Cantarella non era uomo da arrendersi davanti alle difficoltà che aveva già sperimentato abbondantemente nel '93, in occasione della prima vera grande crisi della Fiat dalla marcia dei quarantamila. Né tanto meno era uomo da farsi mettere in corner dal parterre degli analisti finanziari che reclamavano un segnale forte di discontinuità, per cessare di impallinare i titoli del Lingotto in Piazza Affari. Se ha trovato il coraggio di lasciare, lo ha fatto per amore dell'azienda. Lo ha fatto quando ha capito che il segnale di discontinuità era richiesto dalle banche più esposte verso il lingotto per siglare l'accordo destinato ad accompagnare la Fiat nel tragitto che porterà il gruppo fuori dal tunnel. La laboriosa messa a punto del piano di ristrutturazione dei debiti da parte dei maggiori istituti di credito ha accelerato i tempi, consigliando (anche grazie al miglioramento delle condizioni di salute) il rientro dell'Avvocato a Torino, le riflessioni e le decisioni che sono seguite. Entrato nel gruppo nel 1977, assume la responsabilità dell'Auto dopo tredici anni Nel 1996 prende le redini della holding trasformando lo stile della multinazionale Si devono a lui modelli di successo come la Punto e l'Alfa Romeo 156 con la quale ha segnato il rilancio dello storico marchio del Biscione