MORIRE di FAME di Domenico Quirico

MORIRE di FAME NON BASTERÀ' DARE SOCCORSO ECONOMICO MORIRE di FAME Domenico Quirico Hafez Gbanem è il rappresentante della banca mondiale in Madagascar'. E' un uomo abituato alla razionale sicurezza di rendicoilti, bilanci, previsioni. Ma quando elenca i numeri di questa isola, palcoscenico della più recente apocalisse africana, lo fa con imbarazzo, come se dietro ogni cifra occhieggiasse la materia dolente della tragedia: «E' una catastrofe economica, ma soprattutto un disastro umano e sociale. Qui la gente viveva con meno di trenta dollari al mese per famigha. Ed era povera. Ora non ha più nulla ed è la fame. Non ci sono ancora stragi e battaglie di strada ma già si delinea un suicidio collettivo per povertà. Mezzo milione di persone sono senza lavoro, un milione se si conta anche il settore agricolo, il tasso di crescita stimiamo che diminuirà del 2, 30Zo quest'anno, cento delle centoventi imprese straniere hanno già chiuso i battenti dopo l'inizio dei disordini politici e hanno mandato a casa ottantamila dipendenti su centomila. I turisti sono scomparsi. E' la morte di un paese intero: politici, vi prego, pensate ai vostri bambini! » Antsirabe era un bella città, è presidiata da alcuni sbarramenti sanitari perché il colera ha provocato decine di morti. Grandi cartelli invitano la gente a riunirsi nei templi della setta protestante Mamonjy fondata daunnero americano 40 anni fa. Qui c'erano industrie tessili proprietà di un ricco indiano ma tutto è chiuso. MarieRozette trascina i suoi piedi nudi alla ricerca di cibo: «I medicinali sono aumentati del 25, 30 per cento. La gente non ha mezzi e non va più negli ospedali, le operazioni chirurgiche si limitano ai casi di urgenza. Riso, zucchero olio e carbone costano dal cento al duecento per cento in più». Secondo i missionari settemila cinquecento bambini e quattrocento donne sono già morti dimenticati dal mondo per la assoluta mancanza di medicine e di cibo. Sono un capitolo del Grande Debito, il retroterra di indefinita e indefinibile profondità che a Roma politici ed economisti discuteranno nel vertice della IJao. Sono cifre, cifre terribili. Ma per decifrarle fino in fondo bisogna scendere ad Antananarivo dove la povertà e il sottosviluppo si colorano di follia, di sete di potere, di corruzione e inefficienza. E' la malattia che corrode il Terzo mondo dove la politica e il destino di milioni di poveri sono stati forgiati da individui senza ideali e senza grandezza. Qui ti accorgi che, una volta trovati i ventiquattro miliardi di dollari chiesti dal segretario della Fao Diouf per battere la povertà, ci sarà da risolvere il rebus vero, difficile, imbarazzante: stabilire chi gestirà questi soldi, in che tasche finiranno gli aiuti, i finanziamenti, gli incentivi allo sviluppo. A quindici chilometri dal centro di Antananarivo, dove il prezzo del carburante (cinque euro al litro, un operaio ne guadagna trenta al mese!) ha aiutato a ridurre l'inquinamento delle vetuste Due Cavalli e degli autobus preistorici, incontri il palazzo di lavoloha: è un mostro fastoso e mutile che silenziosi operai nordcoreani hanno costruito negli Anni Ottanta, copia perfetta di un altro palazzo che sorgeva sul principale viale della capitale. Era un regalo che il presidente-dittatore Ratsiraka si era concesso quando il suo regime era verniciato di tinte rivoluzionarie. Lo aveva posato in mezzo alle risaie e alle colline, lontano dalla capitale punita perché ribelle e selvatica. Se volete un simbolo della follia politica che trasforma la povertà in un flagello concertato e metodico nulla è meglio di questo. Al vertice Fao bisognerà che qualcuno racconti come un tragico apologo la storia della guerra tra i due presidenti del Madagascar. Didier Ratsiraka è al potere da venticinque anni, un dinosauro come tanti padri della patria africani che hanno accumulato la mercanzia della retorica terzomondista e le cifre della fame nei loro paesi. E' la grande terribile famiglia dei Mobutu, dei Mugabe, degli Arap Moi, gente capace di innalzarsi a una nocività così ingegnosa per corruzione e incompetenza da sfiorare la perfezione. E' stato studente brillante, prima del collegio dei gesuiti e poi dell'«Enrico IV» a Parigi. Capitano di fregata si è proclamato ammiraglio quando ha sottoposto la sua isola agli splendori e alle miserie del «socialismo scientifico» cacciando i consiglieri francesi per far posto ai coreani. L'isola è precipitata nella fame anche se è sfuggita, dice lui, alle grinfie dell'imperialismo. Come molti Ubu africani «l'ammiraglio rosso» si è scoperto liberista e filo-occidentale cercando di rimediare ai guasti creati nella prima parte della sua carriera. Gli è rimasto, comunque, il gusto per l'inefficienza faraonica, l'approssimazione organizzativa, 0 saccheggio. Ai conti «riservati» (ma non troppo a sentire il tam tam delle strade di Antananarivo) provvede la famiglia, e soprattutto la figlia Sophie che raccoglie, con imperiale magnificenza, la florida economia parallela di uno dei paesi più poveri del mondo. E' l'Africa «normale» quella di Ratsiraka, quella che chiede a gran voce di abbuonare il debito e di ottenere il risarcimento per i guasti del colonialismo. Anche se è responsabile di corruzione e miseria, traffici e fucilate distribuite quando la gente, guidata dalle chiese, scende in piazza e chiede giustizia. E' 0 Terzo mondo degli ex dittatori che si sottomettono ormai con untuosa gentilezza ai riti della democrazia. A dicembre il presidente ha montato il rito delle elezioni. Credeva di aver vinto grazie ai brogli che vengono usati a piene mani per correggere i dispetti del pluralismo. Anche in Madagascar funziona come in tutta l'Africa. Nei seggi gli osservatori intemazionali vengono scortati in confortanti visite guidate; poi appena sono usciti compaiono le schede false o spariscono quelle vere. Ratsiraka ha però sottovalutato il suo avversario, Marc Ravalomanama, un parvenu della politica. E' «0 re dello yogurt», un ricco miliardario che, dicono, ha scoperto la politica quando ha dovuto fare la fila per ore nel municipio della capitale prima che la lenta amministrazione gli rilasciasse un certificato. E' uno dei giovani lea¬ der che vogliono mandare in pensione i vecchi coccodrilli: tipi ambiziosi, comunicatori brillanti, che studiano campagne all'americana e possono investire miliardi per avere successo, dagli incerti se non indecifrabili contomi ideologici. E' sicuro di aver vinto e si è proclamato presidente. E così, da sei mesi, l'isola è divisa in due, la costa è nelle mani di Ratsiraka, gli altipiani del suo rivale. Le strade sono tagliate da posti di blocco dei rispettivi sostenitori, l'economia è precipitata nel caos, l'esercito si sta dividendo in due bande rivali che sempre più spesso si scontrano. E puntuale compare il demone del tribalismo: i merinas che abitano gli altipiani contro le tribù della costa. C'è un'altra Somalia, l'ennesima, all'orizzonte. Un paese che si spegne lentamente dove 7500 bambini e quattrocento donne sono già morti per assoluta mancanza di cibo e medicine dimenticati dal mondo Un presidente vero che regna da 25 anni come un vecchio dinosauro, e un giovane che si è autoproclamato capo dello Stato spaccando l'isola in due A chi affidare gli aiuti? C' s&M q jr .0 *I-S'~r w - "Vsk, ^kX k \ ^7 ^ ^ ^t J Al mondo c'è cibo a sufficienza per tutti il|5. LA FAME NEL MONDO ■è», /-5irv~^ fi/. ^ Categoria Jjgffi Denutriti >35% 20-34% Dflscrlzfoite' Mblto Moderatamente p TtSSSiS alta alta Categoria Denutriti 5-19% 2.5-4% |<2.5% Descrizlone Moderatamente Molto Estremamente bassa bassa bassa J Oltre 800 milioni di persone sanno cosa significa andare ^ a letto affamati, la maggior parte sono donne e n bambini 0 J Quasi 200 milioni di bambini. 1 sottp i cinque anni di età sono " sóttópeso per mancanza di'cibó /f'; z J La denutrizione caìisa nei bambini ritardi Ly mentali e dell'accrescimento J Ogni sette secondi un bambino muore per cause collegate alla fame

Luoghi citati: Africa, Antananarivo, Madagascar, Parigi, Roma, Somalia