I Gandolfi

I Gandolfi I Gandolfi Ubaldo e Gaetano, fratelli rococò tA MOSTRA DEttA SETTIMANA Marco Vallorn NON si può die esser grati alle mostre (rare) che ci aiutano a sconfiggere i pregiudizi e ad insegnarci che le resistenze preconcette spesso non sono che superbia e stoltizia. Per esempio, i fratelli Gandolfi, anche nella non dimenticabile mostra grafica di qualche anno fa alla Fondazione Cini, pur pregevoli e «spettacolosi e fiorentissimi disegnatori», come già li definiva il Volpe nel 1979, rischiavano comunque di risultare un poco leziosi e spumeggianti, generici e spediti, nella oro scrittura elegante e gettata. Invece questa davvero sorprendente rassegna di opere altissime, che per non appesantire lo sguardo del visitatore, rinuncia consapevolmente al loro incontrastato magistero di vaporosissimi disegnatori, ]Der privilegiare solo alcuni tra i più foro nobili risultati di pale d'altare e di devozione priva- tA MDESETTMarco ta (ma anche, addirittura, di galanti palmelli da carrozze regali) dimostra la loro ruscellante versatilità e la loro qualità assoluta, che non li confina soltanto nel!' area emiliana, ma nemmeno, va da sé, soltanto italiana. Ed era lo stesso Volpe, parlando del più favorito Gaetano, a sottolineare i suoi «accenti europei, come di un Mengs dotato di ben più alta morbidezza d'occhio e di pittura»: il che ci vede assolutamente solidali. Soprattutto perché nella loro diversità concorde, i due fratelli non sono mai dottrinali o noiosi, come invece il loro ammiratore boemo, tutto versato ormai nella sua conversione rigida e neo-classica. Certo, i Gandolfi, così laccati e pneumatici e, solo apparentemente, tanto lievi e rococò, operano fin in epoca napoleonica, quando a Bologna ad ammirare il manierista Pellegrino Tibal- STRA A ANA allorn di arriva il Fiissli e dunque in piena rastremazione neoclassica (Gaetano soprattutto, perché Ubaldo, il maggiore, muore relativamente giovane, nel 1781, mentre ha l'ardire d'affrescare la cupola bizantina di San Vitale a Ravenna). Ma non sono e non vogliono diventare neo-classici, lavorano in tutt'altra direzione, soprattutto Gaetano, che parrebbe rimodellarsi sopra zefiri tiepoleschi. Il che non c'autorizza, pavlovianamente, a considerarli dei retrogradi o dei démodés. Sfruttando intelligentemente le teorie di Diderot (é necessario «comprendere e giustificare i più svariati temperamenti, d'artista») l'appassionata curatrice di questa «mostra selezionata e sceltissima di capolavori», che é Donatella Biagi Maino (che a Gaetano aveva già dedicato un'importante monografia per lo stesso editore del catalogo, Umberto Allemandi) av- verte quanto sia stolto misurare il valore degli artisti con «il metro occhiuto» delle categorie preconcette e «la miopia di chi pretende di costrìngere entro parametri ' accertati a posteriori» artisti che si ribellano a queste coordinate. La mostra è impaginata con abile suggestione di spuma marina: nella rinata Chiesa di San Lorenzo, un tempo adibita a autorimessa, se si scivola verso l'abside, stufando sui colorì fragranti e biscottati, ci si imbatte nel solo Gaetano, galante e sontuoso, croccante come una aristocratica brioche di pittura, che veleggia verso le corti francesi, tra Greuze e Fragpnard, ma anche verso la nevosa Russia, amatissimo da Caterina II (modello al suo ritrattista Rosslin) e dal suo amante Youssupov, che riceve la poussiniana, stillante JVasdto di Venere, che pare partorita per un boudoir, Se si ripercorre l'onda a ritroso, ecco la risacca, con le cromie più penitenziali e cappuccinee, di Ubaldo, contrito e commosso, più bolognese, in fondo, con i suoi ricordi devoti di Guercino e le intimità colloquiali,- alla Cantarini, d'un sacro disceso per il camino della canonica. Ma dire «risacca» é rischioso, perché si toma a credere, uniformemente, alla primazia di Gaetano, che più colto, più aggiornato, più impregnato pure cu lieviti veneziani «cominciò verosimilmente quel suo certo vantaggio rispetto al fratello, nel-. la reputazione presso i contemporanei», lo sottolineava Volpe. Certezza che vale anche oggi, difficile smentire. Salvo rifarsi ad un capriccioso dubbio di Longhi che esaltando «la cordiale adesione al vero e la scioltezza d'intuizione pittorica» di Ubaldo (guardare quella Natura Morta con parmigiano, alla Sachez Cotan, per capirlo) rovesciava le carte. Sostenendo che sono elementi «che paion deporre a favore» del maggiore dei Gandolfi. Ed anche la Maino, talvolta sembra civettare con questo benefico dubbio. Del resto basta visitare quell'inquadratura cinematografica del Frate che legge, e che ci invita a meditare con lui, o quella sfrangiata Testa di vecchio, tremante di vita, per capire che é vano scegliere, magari ammirando quel misterioso Cavaliere che spara a una statua di Gaetano. Nell'alma mater Bologna, dotta e pontificia (e bolognese è il Papa Benedetto XIV, che dialoga con Voltaire) i due fratelli così diversi e virtuosi (uno nel senso tridentino, morale, del Cardinal Paleotti, l'altro in quello più musicale, da Scarlatti del pennello) inventano un linguaggio neo-cristiano e post-carraccesco, che può prescindere dai rigori rivoluzionari di un David. Come suggerisce Rosenberg, pubblicando una lettera inedita di Gaetano, così perfetta da sembrare scritta da lui. A CENTO UNA SORPRENDENTE RASSEGNA RACCONTA L'EPOPEA DEI DUE ARTISTI BOLOGNESI CHE INVENTARONO UN LINGUAGGIO NEO-CRISTIANO E POST-CARRACCESCO I Gandolfi. Opere scelte. Cento (Ferrara) Auditorium di San Lorenzo. Tutti I giorni, dalle 10 alle 18. Chiuso II Lunedi. Fino al 16 giugno «Il giudizio di Salomone» di Gaetano Gandolfi

Luoghi citati: Bologna, Cento, Ferrara, Ravenna, Russia, Stra