«Tredici anni in casa non sono un premio»

«Tredici anni in casa non sono un premio» PADOVA: PARLA IL GIOVANE CHE UCCISE IL PADRE E CHE ORA E' Al DOMICILIARI «Tredici anni in casa non sono un premio» Paolo Pasimeni: «Non volevo che accadesse, è stato un errore terribile Ho chiesto scusa, ma la famiglia di mio papà non mi ha perdonato. Dicono che io sia un calcolatore, invece non potrò mai cancellare quello che ho fatto» intervista Brunella Giovara PADOVA UN premio? No, io non mi sento affatto premiato. Maghe stare a casa che in carcere, ci mancherebbe... Ma in galera ci dovrò tornare, lo so benissimo da solo». Il «premio» di Paolo Pasimeni è una condanna a 13 anni e 6 mesi di reclusione, per omicidio volontario e vilipendio di cadavere. Paolo ha ucciso suo padre, 1' 11 febbraio 2001 a Padova. Poi ha cercato di distruggerne il corpo dandogli fuoco. Una storia famighare da manuale, nel suo genere. Eppure presto dimenticata: dieci giomi dopo a Novi Ligure ne succedeva un'altra ancora peggiore, se possibile. Ma la settimana scorsa il processo Pasimeni è andato a sentenza, e i giudici - a sorpresa - hanno stabilito che l'imputato poteva lasciare la sua cella. Arresti domiciliari, a casa della nonna. L'avvocato di parte civile (i tre fratelli della vittima e la matrigna di Paolo) ha dichiarato che questo era il secondo «premio, dopo una pena già così mite». Il legale di Paolo, Massimo Munari, dice invece che «non è stata emessa una sentenza mite. Semmai equa, coraggiosa e moderna. La Corte ha riconosciuto la circostanza attenuante delT'aver agito in stato d'ira determinato da atto ingiusto altrui". Ha saputo leggere nei dati processuah raccolti la storia di reale e profonda sofferenza di questo ragazzo: storia di affetti negati, di violenze educative inferte, di mortificazioni inutili». Aggiunge, l'avvocato Munari, che la sentenza «supera in modo tecnicamente ineccepibile, il dogma della insindacabilità dell'educazione patema». Perché alla fine al processo Pasimeni si è discusso di questo: si può avere una qualche comprensione - non solo umana - per un figlio che uccide il padre? La risposta è stata sì. Stupisce, la sentenza, se paragonata a quella pronunciata lo stesso giomo a Torino contro Erika De Nardo e Omar Favaro: 16 anni a lei, 14 a lui. I due ragazzi di Novi Ligure erano minorenni, all'epoca dei fatti. Paolo invece aveva già 23 anni. E ancora: Erika e Omar devono restare in carcere, . Paolo invece va a casa dalla nonna, anche se solo fino alla senten¬ za definitiva, prevista tra un anno circa. In entrambi i casi, a Padova e a Novi Ligure, i periti hanno concluso che gh omicidi erano capaci di intendere e volere. Storie diverse, s'intende. Paolo, al telefono dalla casa della nonna, ieri spiegava la sua dicendo «non volevo che accadesse», e che è stato un «errore, uno sbaglio terribile commesso senza che ne avessi l'intenzione e senza il tempo di rendermene conto». I fatti: ' Paolo ha falsificato il libretto di esami. Il padre Luigi, professore della facoltà di Chimica di Padova, viene avvertito dall'università. La sera dell'I 1 febbraio Paolo lo raggiunge in istituto per spiegargli tutto. Il padre lo picchia con la ventiquattr'ore, Paolo lo colpisce con un calcio e con un pugno, lo finisce con un bastone, trascina il cadavere nel cortile e gh dà fuoco. Paolo nonio definisce omicidio, ma «reato, il mio reato». Un reato di cui «mi sono pentito immediatamente, e non certo perché sperassi in un qualche sconto. Tre giorni dopo l'arresto, ancora sotto l'effetto dei tranquillanti, ho scrìtto ad uno dei miei zu e gh ho chiesto scusa. Ho sentito di doverlo fare, avevo commesso una cosa enorme». Scuse respinte al mittente. lì la famigha Pasimeni si è spaccata per sempre: da una parte i fratelli della vittima e la seconda moglie (la mammà di Paolo è morta che lui aveva 9 anni). Dall'altra la nonna Fiorentina, 82 anni, che a Paolo ha sempre voluto bene anche come una madre e come un padre. Più Manuela, che nel processo è stata fondamentale perché ha raccontato quello che di sohto non si viene mai a sapere, se non dopo: l'inferno privato dei fratelli Pasimeni, ovvero l'esempio classico degh inferni sotterranei di tante famighe. Paolo: «Io e Manuela ne abbiamo passate tante insieme. L'ho vista soffrire, e l'ho sempre aiuta- ta. Poi è toccato a me, e lei non mi ha abbandonato. Non lo dimenticherò mai». Cosa hanno vissuto i due Pasimeni, lo racconta Vittorino Andreoh, lo psichiatra consulente per la difesa che ha avuto ragione sui periti, «sempheemente raccontando la storia di questa famiglia. E soprattutto grazie alla testimonianza della sorella». Manuela ha sulle spalle due mancati suicidi. Non due tentativi di suicidio, ma proprio due suicidi: non è morta solo perché l'hanno trovata in extremis. Il primo: il padre vedovo presenta una donna ai due ragazzi e annuncia che due giorni dopo la sposerà. Subito dopo Manuela decide di ammazzarsi. Il secondo, anni doro: Manuela organizza la festa di aurea, invita il padre e la matrigna, ma la sera prima cerca di uccidersi. Perché? Non ha mai dato nessun esame, ha sempre falsificato il libretto, non ha mai osato dire la verità al padre. I due ragazzi «sono cresciuti nel terrore del giudizio paterno. Hanno passato traumi tenibili. compresa la loro separazione: uno a Padova, l'altro in Puglia. Hanno vissuto la stessa vita tremenda, e si voghono molto bene». Un padre freddo e chiuso, perfezionista e in carriera, severissimo, che forse ama i figli, ma non lo dimostra mai. «Paolo soffre di un disturbo dipendente di personalità - spiega Andreoh -. Tra la dipendenza più succube e quella "oppositiva". I periti ammettono che in passato ha sofferto, ma sostengono che la sofferenza è cosa ben diversa dal- la malattia mentale. Io ho risposto che forse stavano sbagliando secolo, e che si era tornati indietro ai tempi di Lombroso, altro che psichiatria moderna!». «Mi hanno accusato di essere lucido, freddo, calcolatore», dice Paolo. «Hanno detto tante cose, perlopiù sbagliate. Io solo so cosa mi è successo, e so che certe cose non le posso cancellare. Anche questa è una condanna, no? Ed è terribile. Ora sono a casa mia, assieme a persone che mi voghono bene. Sto bene? Sì, posso persino ricevere le visite di qualche amico. Non sono più in una cella "tre per quattro" con altri otto uomini, ecco. Sto bene? No. Ce l'ho fatta ad arrivare fin qui, ho persino davanti un futuro. E vorrei persino finire di studiare, e magari farmi una famiglia. Sono felice? Dei miei arresti domiciliari che fanno così scandalo, io mia nonna e mia sorella... Non lo so, o anzi lo so, e so che non è un premio». ÉJ^ Mia sorella "" è tutto per me non mi ha abbandonato Quando è morta la mamma ci hanno separati, ne abbiamo passate tante insieme. Quando tentò il sucidio soltanto io A A l'ho aiutata 77 Paolo Pasimeni durante la lettura della sentenza