BUONGIORNO AFRICA

BUONGIORNO AFRICA IL CONTINENTE NERO RIPROVA DA OGGI LA SCALATA Al VERTICI DEL CALCIO MONDIALE BUONGIORNO AFRICA Lo scugnzzo Doucontro il fantasma di Zidane reportage Aldo Cazzuilo inviato a SEUL M IGLIORE in campo lo stregone, e non c'è niente da ride- Non sorridono i cronisti africani, a chi s'informa su cosa facciano i nigeriani, cfuando prima della partita si radunano in cerchio come per un rito propiziatorio. Un rito, appunto: quello in mezzo, che nessuno vede perché coperto dagli altri, fa qualche goccia di pipì. Aiuta; più della tattica del fuorigioco e della difesa alta. Prendete il Senegal, che oggi apre i Mondiali affrontando i campioni in carica della Francia, ultima tappa dell'eterna scalala del Sud al Nord, della rincorsa infinita del povero al ricco. Alla Coppa d'Africa il Marabout, lo sciamano al seguito, ha reso più di un centravanti, azzoppando via via gli avversari più pericolosi alla vigilia del match: nulla di grave, mica è magia nera; solo una lieve zoppia, sufficiente per saltare la gara. Sono finiti così in tribuna Assam Hossan dell'Egitto e Bashami Nondà del Congo (già decimato dalla regola imposta dalla Federazione: non c'è un soldo, gioca chi juò pagarsi le spese). Splendido 'esordio ai Mondiali: fuori Zidane. Frottole, ovviamente. Così assicurano i calciatori senegalesi, che in effetti hanno poco del calore e del colore africano, algidi e in divisa come sono: tutti vivono e giocano in Francia, tranne Diallo che sta in Marocco e Cissokho che è rimasto in patria ma in una squadra che si chiama Giovanna d'Arco. Richiesti di un pronostico, rispondono come Aliou Gisse, il capitano: Inshallah, a palesare la fede islamica che ha conquistato anche il ct Bruno Metsu, apostata e playboy, moschea e discoteca. Frottole, ovviamente. In ritiro, che non è quello scelto per loro dai coreani, un centro di formazione aziendale alla periferia di Seul definito dal capodelegazione «una topaia» e rapidamente abbandonato in favore dell'Hilton, il Marabout detta legge e prepara fatture. Il suo nome non compare ovviamente nell'elenco dei convocati; chiederlo è tabù; il capo del calcio africano non vuole: Issa Hayatou, l'uomo che ha tentato la scalata alla Fifa, li ha messi fuorilegge. Uscì invece allo scoperto, prima di Camerun-Italia a Francia '98, lo sciamano Talin Keba, capo di uno staff di sei colleghi dislocati nei punti nevralgici dello stadio per gettare il malocchio sugli Azzurri. Fondamentale non essere riconosciuti: consigliati i travestimenti, ad esempio da fotografo. Keba preferì quello da manager. Occhiali d'oro, doppiopetto, 24 ore con dossier su Del Piero, spiegò: «Basta sapere nome e data di nascita; non toccherà palla». Fu esaudito. Nella partita con l'Austria la fattura toccò a Polster, centravanti quasi quarantenne, che andò inopinatamente in gol. Lo sciamano fu licenziato. I migliori Marabout del Camerun appartengono, come i migliori giocatori, ad esempio Song e Job, all'etnia Bassa, che in patria tifa perla squadra della Dinamo Donala. Capostipite della categoria, il sommo Patrice, che per anni ha azzeccato risultati e minuti dei gol; al primo errore il presidente ingrato l'ha sostituito con un prete cattolico dalla vocazione sincretista. Un suo confratello, Benoit Bell, è vicino alla nazionale più che padre Eligio al Milan di Rivera. Ma i riti codificati dal sommo Patrice sono come le ricette di Escoffier: classici insuperabili. Funzionano così. Occorre entrare in possesso della formazione avversaria. Attendere il buio. Pronunciare i nomi dei titolari (risparmiato quindi Del Piero), facendo per ognuno tre nodi al rametto di un cespuglio di atanga. Letta e attorcigliata la formazione, si fanno bollire legni e foglie in ima marmitta ai piedi di un albero; fondamentale il peperoncino, nella misura di tre, cinque, sette o nove grani, a seconda della pericolosità dell'avversario; decisiva la corteccia di un raro arbusto detto dei 99 poteri, radicato solo in Camerun in zone spoglie di vegetazione, accuratamente evitate dai voli nazionali affinché il velivolo non sia attratto verso terra. Richiesti di una predizione, gli sciamani del Camerun ne hanno anticipato una sola, laicamente condivisibile: anche quest'anno, non si vince. L'Africa del calcio è una promessa ogni volta più bella che non si avvera mai. Il pallone non è mai nero. Le squadre africane vincono le Olimpiadi (la Nigeria ad Atlanta '96, il Camerun a Sydney 2000); che nel calcio non contano molto più di nulla. Ai Mondiali il miglior risultato restano i quarti di finale di Italia '90, ancora il Camerun, eversore dell'Argentina all'esordio, in vantaggio sull'Inghilterra ma raggiunto e superato da Lineker. Il dio del calcio non è stato con loro: non con i nigeriani, vincitori del Mondiale Under 16 dell'85, espatriati in America e finiti, alcuni, tossicodipendenti nei ghetti; non con i ragazzi dello Zambia, che qui a Seul umiliarono gli Azzurri alle Olimpiadi dell'88, rifilando cinque gol a un incredulo Tacconi, e si schiantarono come il Grande Torino al ritorno da un'amichevole, angeli caduti in aereo. E poiché non può essere solo la sorte, propiziata dai riti o segnata dall'ingiustizia, a indirizzare la palla, ci dev'essere qualcos'altro. La povertà, che nel calcio come altrove non giova. Le lacune della tattica, affidata a simpatici allenatori giramondo come il parigino Philippe Troussier, che dopo aver condotto il Sud Africa all'eliminazione nel primo turno di Francia '98 si occupa ora del Giappone, o il ligure Romano Matte, passato dall'Indonesia al Mali. La costanza, la concentrazione, l'umiltà che mancò alla splendida Nigeria di Francia '98: eliminata la Spagna, inciampò nella Danimarca. E il saccheggio da parte degli antichi dominatori europei. Il neocolonialismo del calcio. Le trasfusioni di sangue nero nel football ricco e moscio dei bianchi. C'erano due neri da spettacolo, nel Marsiglia che vinse la Champions League del '93 e interruppe l'era del Milan di Capello e Berlusconi. Abedì Pelé crossò, Basile Boli insaccò di testa. Basile mise il suo talento al servizio della nazionale francese. Abedì disse no e continuò a giocare nel suo Ghana, vincendo nulla, divertendosi moltissimo. Oggi i senegalesi incroceranno i tacchetti con uno dei loro, " Patrick Vieira, mediano dei Bleus. «Lo rispettiamo» ha spiegato la stella Hadji El Diouf, centravanti del Lens dallo stacco imperioso e dal colore dell'ambra, 21 anni, cranio rasato e ossigenato. «Resteremo suoi amici, ma non sul campo. Sul campo, noi difendiamo i colori dell'Africa, e del Senegal». Che è qui per la prima volta; gli emigrati avevano sempre rifiutato di giocare in nazionale. Poi Camara e Diop, Ndiaye e Sylva ci hanno ripensato. Ne hanno parlato tra loro. Hanno deciso di sì, Alla Coppa d'Africa 2000 il 'Senegal non si era,qualificato. Nel 2002 è arrivato in finale, grazie anche agli assist del Marabout.'Stanotte ha tolto il sonno alla Francia. «Ma non vale il Camerun», spiegava ieri Abedì-Pelé, quello del cross e della nazionale ghanese. La Nigeria è la squadra più musicale, con le orchestrine dei suoi tifosi (finora invisibili in paesi troppo cari e senza immigrati), con i Bendre, percussioni a forma di clessidra o di zucca, il corno d'avorio Ntahera e il tamburo Fontomfron. .Il Sud Africa è la squadra meticcia, neri e bianchi insieme con la benedizione di Mandela e Mbeki e un allenatore finalmente africano, Jomo Sono, rampollo di una famiglia che ha fatto la storia del calcio nero: suo padre Eric era il capitano degli Orlando Pirates, la squadra di Soweto; suo figlio (certo, Eric) è un talento della nazionale under 20; lui ha esordito a Soweto e ha chiuso a New York, nel Cosmos di Chinaglia, e a Toronto, con i Blizzard di Bettega. Il Senegal lo scopriremo oggi. Pelé, quello vero, lo ritiene il più debole; vedremo. Il Camerun è la squadra migliore. Campione olimpico e africano, forte di uomini cresciuti in Italia come Wome (Bologna) e Mboma (Cagliari e Parma), sa coniugare la serietà assicurata dal ct tedesco Winfried Schaefer con la spontaneità garantita dal sangue, A Sydney, dopo aver rimontato dallo 0 a 2 e battuto ai rigori la Spagna, eroico il portiere sedicenne Kameni, si commossero per gli applausi dei 100 mila spettatori al punto da gettare le maglie verdi. Le uniche che avevano; e la Fifa li aveva pure multati di tremila dollari, perché sprovvisti di quelle di riserva. Maglie e attrezzatura sono un problema antico del calcio africano. Quando la promessa ghanese Mily Lamptey emigrò in Belgio, fu pagato 20 mila dollari e un carico di palloni, per il villaggio. Abdullaye Traoré lasciò la Costa d'Avorio per la Francia in cambio di tute e calzoncini. Fu un affare per il Pescara il libero Frangois Mendy, all'inizio degli Anni 90: anche perché per la prima volta gli immigrati, che allora si chiamavano vu' cumprà, andarono allo stadio. Ora coire moneta sonante. Non abbastanza per vincere; oppure, troppo per non intaccare l'entusiasmo. Ognuno è libero di coltivare entrambi i pensieri, ma soprattutto questo, che ci piacerà pensare al calcio d'inizio di CoreaGiappone 2002 : che in un villaggio africano, in una casa come quella liberiana di George Weah, con i tubi dell'acqua a vista e le finestre senza vetri, oggi vedrà la sua prima partita, in un televisore di fortuna, il ragazzino che insaccherà il gol del primo Mondiale davvero africano; lasciando al Marabout solo l'illusione di aver indirizzato la palla. Senegal, Camerun e Nigeria ci credono: hanno giocatori forti ma anche stregoni potentissimi. I loro riti propiziatori valgono come dei gol Il Camerun oro olimpico nel 2000 e, a destra, il nigeriano Taribo West mmm^àw^' Wm El Hadji Diouf, 21 anni, gioca in Francia con il Lens. Oggi, nella linea d'attacco del Senegal, sarà il pericolo numero 1 per i Bleus