«Ragazzi, vi riconsegno pistola e distintivo» di Fulvio Milone

«Ragazzi, vi riconsegno pistola e distintivo» NON Si ATTENUA LA POLEMICA CONTRO i PUBBLICI MINISTERI: PROVVEDIMENTI ASSURDI «Ragazzi, vi riconsegno pistola e distintivo» Festa in questura per i funzionari scarcerati che sono tornati al lavoro reportage Fulvio Milone NAPOLI Alle otto in punto hanno fatto capolino nella stanza del dirigente della squadra mobile, Giuseppe Fiore: «Capo, siamo di nuovo qui». Una pacca sulla spalla, un sorriso trattenuto a stento e tante parole che non volevano saperne di uscire dalle labbra serrate per l'emozione. «Ragazzi, un caffè come sempre?». E come sempre Fiore si è avviato per la scala a chiocciola che porta all'uscita secondaria del palazzo della questura, seguito da un giovanottone con la giacca azzurra e da un ragazzo magro, minuto, che indossava un blazer sulla camicia a righe. Fino a due settimane fa i loro nomi erano noti solo ai cronisti di nera. Poi, di colpo, il vicequestore Carlo Solimene 'e il commissario capo Fabio Ciccimarra hanno guadagnato loro malgrado le prime pagine di tutti i giornali. Sono i due funzionari arrestati venerdì 26 marzo per i presunti pestaggi avvenuti nella caserma Raniero un anno fa, dopo la manifestazione contro il Global Forum. Arrestati e scarcerati dopo quindici giomi, loro e altri cinque agenti anch'essi coinvolti nell'inchiesta. Agli amesti domiciliari è rimasto solo un sovrintendente di polizia. Paolo Chianese: la sua posizione sarà esaminata dal giudice per le indagini preliminari nelle prossime ore. L'avevano pregustato a lungo, il ritomo in questura, ufficializzato con un breve colloquio con il questore Nicola Izzo: una stretta di mano e un «in bocca al lupo» borbottato con malcelata soddisfazione. Dopo il caffè al bar, il capo della «Mobile» li ha fatti tomare nella sua stanza, ha aperto un cassetto della scrivania e ha restituito a ognuno il distintivo e la pistola consegnati due settimane fa, al momento dell'arresto. Proprio come nei telefilm americani. E' stato allora che Carlo Solimene e Fabio Ciccimarra hanno sentito finalmente Inodore di casa», al riparo dalle accuse di brutalità e umiliazioni mosse dai ragazzi portati nella Raniero, al sicuro dalle polemiche sollevate da chi vede, nella scarcerazione, un ingiusto privilegio. Sono entrambi consapevoli del fatto che l'inchiesta della magistratura è ancora aperta: certo, è caduto il reato più pesante, cioè il sequestro di persona, ma rimangono in piedi le altre imputazioni, le violenze nei confronti degli 85 ragazzi portati in caserma dopo il corteo del 17 marzo di un anno fa. Sanno, insomma, che potrebbero essere trascinati in tribunale, messi alla sbarra per difendersi da accuse che comunque sono gravi. «Ma la cosa più importante, ora, è che possiamo tomare al nostro lavoro», dicono. Solimene dice che domenica ha cassato una notte d'inferno, «con o stomaco che mi doleva da matti, forse per la tensione». Ciccimarra appare più controllato: ha preso dal padre, Filippo, poliziotto ormai in pensione, capo della Digos durante gli anni bui del terrorismo e del sequestro Cirillo, che nella questura napoletana è rimasto un mito. Tace, assorto nella lettura dei messaggi di solidarietà che Fiore gli ha appena consegnato. Solo per un attimo gli scappa un sorriso e mormora: «Speriamo che mi scriva anche una bella ragazza». L'altro, Carlo Solimene, racconta commosso di come «ogni sera sotto casa, durante gli arresti domicihari, gli amici e forse anche qualche collega si fermavano in macchina e suonavano il clacson per dimostrarmi che mi erano vicini». Ma la festa, quella vera, è negli uffici un po' scalcinati delle «squadre», al terzo piano del palazzo di marmo bianco, dove lavorano gli agenti. Alla «narcotici», che Solimene dirige da due anni, l'umore dei «ragazzi» è alle stelle: «Dotto', felice di vedervi»; «Lo sapevamo che sarebbe andata bene, dotto'»; «Dotto', permettete che vi abbracci?». Saltano fuori anche qualche dolcetto e una pila di bicchieri monouso per lo spumante. Di motivi per festeggiare, gli agenti della narcotici ne hanno più d'uno. La maggioranza dei poliziotti scarcerati, Pietro Bandiera, Michele Pellegrino, Luigi Petrone e Paolo Chianese, lavorano proprio lì. E ora, a festeggiare, ci sono tutti, tranne naturalmente Chianese che è ancora agli arresti domiciliari. In questura è venuto anche l'agente Francesco Adesso. Non è dell'antidroga: ironia della sorte, è stato distaccato presso la stessa procura della Repubblica che due settimane fa ha chiesto e ottenuto il suo amesto. Lui, però, non sembra affatto imbarazzato: «Farò il mio dovere, anche quando a dare gli ordini saranno i magistrati che mi accusano». Qualcuno, però, spiega che i pasticcini non bastano a toghere l'amaro in bocca per ciò che è accaduto. Un funzionario dice fuori dai denti che gli arresti dei colleghi sono stati frutto di una giustizia ingiusta, assoggettata alla politica: «Quei provvedimenti emessi tredici mesi dopo i fatti contestati erano assurdi, come assurdo è stato contestare il sequestro di persona. Chi può mai credere in buona fede che vi sia stato un disegno, un piano premeditato per deportare 85 persone in una caserma e pestarle a sangue? Se davvero i pm pensano che sia andata così, perché non hanno chiesto l'arresto anche del prefetto, del questore e del capo della squadra mobile? Un progetto del genere presuppone ordini precisi che possono provenire solo dai vertici». Il capo della mobile ha dato loro una pacca sulle spalle e poi li ha portati a prendere un caffè. I colleghi avevano preparato spumante e pasticcini Il vicequestore Solimene: ogni sera quando ero agli arresti domiciliari gli amici passavano sotto casa e suonavano il clacson

Luoghi citati: Napoli