Il rifiuto di «Kaiser Franz» non smuove Berlusconi di Augusto Minzolini

Il rifiuto di «Kaiser Franz» non smuove Berlusconi LA SVOLTA A SORPRESA Il rifiuto di «Kaiser Franz» non smuove Berlusconi L'ex manager della Mondadori paga la scarsa armonia con il Tesoro che insiste nel braccio di ferro e alla fine si aggiudica l'intera partita retroscena Augusto Minzolini ROMA CI sono dei personaggi che segnano un'epoca e Franco Tato, o meglio Kaiser Franz, è uno di quelli. Così l'addio del Kaiser alla sua ultima creatura, l'Enel, sarà il fatto che darà il titolo negli annali della Repubblica al paragrafo che riguarda le nomine del secondo govemo Berlusconi negli enti pubblici. Un avvenimento del tutto inaspettato perché nessuno si aspettava che il Cavaliere desse il via libera al «licenziamento» del vecchio amico Franco. Il Kaiser, infatti, è stato in passato uno degli uomini di punta di Berlusconi. Anzi grazie al rapporto di fiducia con il capo, Tato è riuscito ad imporre i suoi metodi non certo popolari nelle aziende del Cavaliere: fu il manager che strinse la cinghia nei bilanci della Fininvest e della Mondadori, dimezzò la flotta aerea dell'attuale premier, costrinse tutti i dirigenti di allora, compreso Gianni Letta, ad usare il taxi invece dell'autoblù e cancellò l'aglio - che odia quanto Berluscohi - dalla mensa di Segrate. Insomma, è stato un tipo che ha fatto scuola: tant'è che Marina Berlu¬ sconi ancora oggi lo considera il suo maestro in management. Ecco perché anche se Tato era stato l'uomo che aveva trasformato l'Enel in una nuova Iri pigliatutto per conto di D'Alema, nessuno avrebbe scommesso una lira sul suo licenziamento. Ancora alle 16 di ieri pomeriggio, Donato Bruno, presidente della commissione affari istituzionali della Camera introdottissimo negli ambienti berlusconiani, scommetteva sulla permanenza in Enel di Kaiser Franz: «Sapete le amicizie ventennali non si dimenticano. Specie Silvio ricorda sempre gli amici anche se Tato è un manager di settant'anni...». E, invece, niente. Il Kaiser ha tirato troppo la corda e purtroppo ha incontrato sulla sua strada un altro uomo tutto d'un pezzo, Giulio Tremonti, che non gli ha concesso nulla. Il ministro del Tesoro, infatti, ha offerto un'unica via d'uscita a Tato: la presidenza dell'Enel, una carica esclusivamente onorifica, ricoperta fino a ieri da Chicco Testa, cioè un politico che D'Alema con la bacchetta magica del potere aveva trasformato da un giorno all'altro in un manager. Motivo? Semplice: la gestione Tato dell'Enel non era piaciuta al govemo, soprattutto, non avrebbe rispettato quei parametri di efficienza e di credibilità sul mercato indispensabili per la confenna. Se la gestione dell'Eni di Vittorio Mincato - confermato amministratore delegato - è stata premiata dalla Borsa, il secondo mandato di Tato all'Enel, a differenza del primo tutto puntato sul risanamento del gruppo, caratterizzato da una continua espansione del gruppo in settori che con l'energia c'entravano poco, ha fatto perdere al titolo il 2007o. Un danno notevole per tre milioni e ottocentomila picco¬ li risparmiatori. Inoltre la politica di Kaiser Franz nell'ultimo periodo si è scontrata diverse volte con la filosofia del govemo di centro-destra. Soprattutto in due casi: la prima quando Tato aveva acquistato un'azienda dal grappo Enron, lo stesso grappo americano dilaniato da una serie di scandali che stanno lambendo la Casa Bianca; la seconda, quando ha tentato di comprare una centrale nucleare in Cecoslovacchia che avrebbe comportato dodicimila miliardi di lire di aumento nel debito Enel nonostante il «rosso» superasse già le decine di migliaia di miliardi. Così la filosofia dell'onnipotenza di kaiser Franz non poteva esser compatibile, nei fatti, con quella del rigore sposata da Tremonti. E poi nella guerra condotta per rimanere al suo posto Tato ha ecceduto in presunzione: peccato gravissimo per chi vuole rimanere nelle stanze del potere. Anche Mincato nelle intenzioni del govemo avrebbe dovuto lasciare la poltrona di amministratore delegato dell'Eni per diventare presidente. Ma l'uomo, un personaggio schivo, allergico alla mondanità, con un passato democristiano che lo ha abituato alle liturgie dei palazzi della politica, ha fatto buon viso e cattivo gioco. In un primo tempo ha accettato di buon grado la nomina a presidente, poi quando per la successione si è profilata la candidatura di Stefano Cao, l'ha bruciata in un rapido colloquio con il Cavaliere: «Ottima scelta, è stato un mio allievo più che brillante, peccato che sia comunista...». Tato, invece, forse per difendere l'immagine di duro che si era conquistato nel tempo delle sue continue apparizioni nei salotti romani accanto alla consorte, Sonia Raule, ha seguito il suo temperamento: tutto o niente, fin dall'inizio. Per cui non ha offerto ai suoi interlocutori altre altemative se non la conferma ad amministratore delegato o la nomina a presidente con maggiori poteri. In questa guerra con Tremonti il Kaiser ha cercato di stringere rapporti con Gianfranco Fini e Pierferdinando Casini (incontrati entrambi a cena nelle ultime settimane) e ha puntato, ovviamente, molto sul vecchio rapporto con Berlusconi. Anche quando il Cavaliere ha inviato da lui un amico comune come Fedele Confalonieri, per cercare di trovare un compromesso, Tato è stato irremovibile: «O rimango al mio posto o dovete assumervi la responsabilità di cacciarmi senza temere le conseguenze di mercato». Di fronte a questa posizione Tremonti non ha ceduto di un millimetro: «Se non interviene Berlusconi per me è chiusa: o accetta la presi¬ denza o niente». E, purtroppo, per Tato, l'agognato aiuto del vecchio Silvio non è arrivato, come pure quelli degli altri grandi azionisti del centrodestra. Ancora una volta il Kaiser ha dimostrato di avere un rapporto difficile con la politica. Al suo posto, con la benedizione di Berlusconi e di Tremonti, è finito Paolo Scaroni, manager socialista ai tempi di Craxi che si è guadagnato un prestigio internazionale alla guida della Pilkington. A sua volta sulla poltrona di presidente, rifiutata da Tato, è arrivato Piero Gnudi, che piace tanto a Prodi, Casini e Fini. In fondo per un manager che ha fatto carriera nelle aziende del premier che lascia, ne arrivano altri, che in un modoo nell'altro, hanno avuto in passato contatti con quel mondo: il nuovo presidente dell'Eni, Poli, che il tribunale di Milano mise, d'intesa con Berlusconi, per un periodo alla presidenza di Mediaset; il consigliere d'amministrazione dell'Enel, Ferdinando Napolitano, che come esperto della Booz Alien S- Hamilton ha disegnato il piano di ristrutturazione di Mediaset; il consigliere d'amministrazione dell'Eni, Marco Resca, che oltre ad essere amministratore delegato della McDonald Italia è anche nel Cda della Mondadori. Tato che va, Tato che arrivano. Franco Tato Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti

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