Bush al Lìkud: lo Stato palestinese s'ha da fare di Paolo Mastrolilli

Bush al Lìkud: lo Stato palestinese s'ha da fare DOPO IL VOTO A SORPRESA SU INIZIATIVA DELL'EX PREMIER NETANYAHU Bush al Lìkud: lo Stato palestinese s'ha da fare Il no è una«manovra elettorale». Per il leader Anp «distrugge gli accordi di Oslo» Paolo Mastrolilli NEW YORK «Il Presidente continua a credere che la via migliore per arrivare alla pace passi attraverso la creazione di uno Stato palestinese, capace di vivere in sicurezza al fianco di Israele. Questo è ciò che vuole, e questo è ciò per cui continuerà a spingere». Così il portavoce della Casa Bianca, Ari Fleischer, ha bocciato la mossa di Benjamin Netanyahu, e subito dopo ha cercato di liquidarla come un'operazione trasformistica a fini elettorali: «Ogni nazione ha la sua parte di faccende politiche interne, e noi non commentiamo questi fatti». Washington non ha digerito il voto del Likud perché contrasta con la linea di Bush, appena un mese dopo l'inizio del nuovo coinvolgimento americano in Medio Oriente, e arriva alla vigilia della probabile missione del capo della Cia Tenet, atteso nella regi' ne la settimana prossima. Nello stesso tempo, però, vuole liquidarlo come un episodio di nplflàqjr iiftepha che non deve avere impatto sul processo avviato dal-JPresidenter^Sl«tattyahu7j,ii7S o s t a n z a, ha fatto la sua'mossa per cercare di scalzare Sharon. Ma proprio lui aveva spinto il Likud ad accettare l'idea dello Stato palestinese, con l'obiettivo di accorjìtentare gli Stati Uniti, quando aveva completato la prima scalata alla poltrona di premier. Quindi Washington vuole considerare il voto di domenica come un'operazione elettorale decisa dall' ex premier per scavalcare a destra il suo successore. Ma confida nel fatto che se la mossa dovesse riuscire, e Netanyahu battesse davvero Sharon, il nuovo premier sarebbe comunque costretto ad allinearsi con la Casa Bianca. Qualche incognita però rimane, anche perché tra il clan dei Bush e «Bibi» non è mai corso buon sangue. Molti ricordano che quando Netanyahu era ambasciatore israeliano all'Onu fu messo alla porta dal segretario di Stato di George padre, James Baker, av¬ vocato di George figlio durante la disputa della Florida che gli è valsa la Presidenza. Inoltre questa dichiarazione del Likud peggiora l'immagine dello Stato ebraico, consente ad Arafat di fare la figura del moderato, e complica i tentativi americani di ridimensionare il suo ruolo e ottenere una riforma dell'Autorità palestinese. Il leader Anp, infatti, ha subito approfittato dell'occasione, dicendo che la mossa di Netanyahu è «la distruzione degli accordi di Oslo». Quindi ha ripetuto che lui, invece, accetta l'esistenza di Israele e non ha cambiato posizione. Il ministro degli Esteri siriano Farouk al-Sharaa, reduce dal vertice di Sharmel-Sheikh tra il suo presidente Bashar Assad, il leader egiziano Mubarak e il principe saudita Abdallah, ha detto che la dichiarazione del Likud dimostra come «le intenzioni israeliane al massimo livello non sono pacifiche». Le manovre par¬ titiche in vista delle elezioni, secondo al-Sharaa, avranno un effetto paralizzante sulla politica dello Stato ebraico e quindi sul processo negoziale, perché «Sharon resterà a capo del governo, ma a causa di questo voto non sarà in grado di adottare iniziative di pace durante i prossimi mesi». Molto negativa anche la reazione dell'Unione Europea, che ha parlato per bocca di Javier Solana, Alto rappresentante per la politica estera. «La sola via verso la pace - ha dichiarato Solana a Bruxelles - è la creazione di uno Stato», e quindi ha definito «molto triste» la scelta fatta dal Likud. Il diplomatico europeo però ha sottolineato che la posizione della comunità internazionale non cambia: «Tutti hanno riconosciuto la necessità di creare uno Stato palestinese. E' un peccato che le questioni di politica interna possano rendere questo processo più difficile». i^T