JOE BONANNO Il padrino che riuscì a morire nel suo letto

JOE BONANNO Il padrino che riuscì a morire nel suo letto IL CAPO Di UNA PELLE ì NSÌONE AVEVA 97 ANNi JOE BONANNO Il padrino che riuscì a morire nel suo letto E' morto a 97 anni Joseph Bonanno più noto come «Joe Bananas». Bonanno nel 1931 (a soli 26 anni) fu a capo di una delle, cinque grandi famiglie mafiose di New Yok. Si ritirò in Arizona, dove è morto, negli Anni 60. personaggio Francesco La Licata IL successo più ambito lo ha conseguito morendo vecchio e nel proprio letto. Dopo aver fatto fessi amici e nemici della Mafia, anzi -pardon - gli «uomini della sua tradizione», per dirla con la circonlocuzione che gli consentiva di affrontare l'argomento Cosa nostra senza dover pronunciare la parolina proibita. Una roccia, Giuseppe Bonanno, Joe «Bananas» per i paisà di quel continente che il vecchio boss - pur chiamando rispettosamente «il Nuovo Mondo» - considerava ima grande periferia di Castellammare del Golfo, Siciha. E lì era nato, il 18 gennaio del 1905, ovviamente da un uomo d'onore che si chiamava Salvatóre. Joe se n'è andato all'ennesimo arresto della pompa del cuore. Tante altre volte aveva vinto la battagUa con le sue coronarie, così come non lo avevano scalfito proiettili e ordigni esplosivi, neppure gli ultimi assalti che gli vennero mossi, contro la sua casa di Tucson, alla vigilia della sue formali dimissioni e pensionamento. Che avvennero nel mezzo degli Aimi Settanta, in modo drammatico per un uomo come Bonanno. Fu la copertina di un settimanale, ispirata da una debolezza del figho primogenito, Salvatore, che sancì la fine di un capomafia che dell'onore e del rispetto aveva fatto la sua religione. Quella irreparabile caduta d'immagine l'ha ricordata nel libro che, molti anni dopo, ha dovuto scrivere nel tentativo di rimettere in ordine i cocci frantumati. Così scriveva nella sua autobriogafia (Uomo d'onore, Mondadori 1983): «Nell'agosto del 1971 qualcuno mi fece vedere una copia della rivista Esquire: in copertina c'era una mia foto a tutta pagina... La didascalia diceva: Onora il padre, la storia di Joe Bonanno e di suo figlio scritta da Gay Talese. Se raccontava la storia della vita di Salvatore, cosa ci faceva la mia foto sulla copertina?». Non gliel'ha mai completamente perdonata, a Salvatore. Ma neanche l'altro figlio, Joseph, è risultato - diciamo - ineccepibile. Sentiva il disagio di quel nome ingombrante, si è allontanato dalla famiglia ed è stato l'involontaria causa di ima delle prime «sconfitte» dei Bonanno. Accadde quando un suo amico, che ra riuscito a conquistarsi la fiducia di tutti, anche del vecchio boss, risultò essere un informatore del FBI, anche se in seguito avrebbe abbandonato il doppiogioco per schierarsi dalla parte della «famiglia», fino a non esitare a dichiarare di amare i modi e la signorilità di Joe. Bonanno era mafioso per nascita, pur avendo avuto la possibilità di studiare, prima all'Istituto nautico di Trapani e poi presso quello di Trabia, in provincia di Palermo. Lui, i Magaddino, i Masseria, i Bonventre, i Profaci, i Buccellato sono la storia di Cosa nostra. Una mafia antica, diversa da quella che avrebbe poi dato spunto per essere accostata più alla criminalità che all'onorata società. Un pezzo di Siciha trapiantata a Brooklyn, a Chicago, a Memphis. Un pezzo di Siciha che azzardava il viaggio della speranza nei doppifondi deUe petroliere o nelle stive di pescherecci incerti. Proprio lui ne aveva preso uno in Francia: destinazione Tampa o Avana. Rimanevano paisà a vita, i siciliani di New York. Stavano sempre insieme, spesso non parlavano neppure l'inglese. Gli amici dicevano a Joe: «Ma possibile che stai sempre con gh italiani?». E lui, freddo, rispondeva: «Coi siciliani, prego». Impazzavano le notti folli, il proibizionismo, champagne e alcool clandestino, i gangsters ascoltavano il jazz nei locali stile art dèco, i mitra sparavano all'impazzata e i «castellammaresi» se ne stavano chiusi a riccio, a Brooklyn e a Manhattan ma anche a Detroit, Buffalo, Endicott e New York, fino ad implodere, alla fine, in una delle più sanguinose guerre di mafia. Era diverso, Bonanno, dallo stereotipo di mafioso che si adeguava al modernismo americano e si liquefaceva alle note del grande «Frank the voice», pupillo e protetto della grande mafia. No, Bonannno seguiva la «sua tradizione». Ogni tappa della sua vita americana, sarebbe stata la stessa a Castellammare o in qualche altro paese della Valle del Belice. Quando conobbe Fay e se ne innamorò dovette conquistare prima il padre della ragazza, che ovviamente era siculo e si chiamava Labruzzo. Usò il fascino della Buick decappottabile che aveva appena comprato. Il futuro suocero non oppose resistenza, anche se pretese che le visite serali alla fidanzata avessero termine all'imbrunire, non oltre le otto. Ma lui, Joe, sapeva come prendere le persone. Non per nulla aveva persino studiato recitazione, frequentando la scuola di un italiano che lo avrebbe voluto protagonista della Forza del destino. E sapeva usare certi argomenti, a giudicare da come blandisce il lettore quando, nella sua autobiografia, rievoca l'emozione ricevuta dal tramonto davanti al tempio di Segesta che cambia colore col variare della luce del sole. Era un moderato, il vecchio Joe. Oggi andrebbe tanto di moda, tra i sostenitori del cosiddetto «stile Provenzano». Per accreditare equità e senso di giustizia della mafia, raccontava quando i giovanotti in lista di attesa per l'iniziazione venivano frustati senza motivo e, se mantenevano un dignitoso silenzio davanti al dolore, venivano poi autorizzati a restituire le frustate anche ai capi. Era bravo, Bonanno, quando si trattava di confezionare l'apologia di Cosa nostra. Un esempio? Il racconto della sua stessa nasci¬ ta. Il padre era in guerra perenne con Febee Buccellato ma, alla nascita di Giuseppe «Joe», ;li chiede di fare da padrino di battesimo al figlio. «Buccellato si legge - acconsentì e gh abitanti del villaggio mi soprannominarono la "colomba della pace"». Moderato ma non imbecille. E infatti possedeva un buon metro per valutare il suo prossimo. Il rispetto per i capi non gli impediva di giudicarli: di Masseria dirà che gli si addiceva il soprannome di «Joe l'ingordo», per via del suo insaziabile appetito che ^o rendeva «volgare e sciatto». Maranzano, invece, era «un uomo raffinato, educato e intellettuale». Bonanno è la tradizione, tanto da aver avuto un ruolo nella «ricostruzione» di Cosa nostra, dopo la sanguinosa «guerra dei castellammaresi». Ha ammesso di aver fatto parte della «commissione», un organismo di comando sconosciuto in Siciha (fino agli anni Settanta), inventato negli Usa per mettere fine alle faide. Una grande riunione sancisce la pace: trecento mafiosi a Wappingers Falls, anno 1931. Era solo l'inizio, il preludio di un «convegno nazionale» tenutosi a Chicago. Solo allora, scongiurata 'eventuahtà di poter soccombere nella guerra di mafia, Joe sposa Fay. Novembre 1931, giorno 15, chiesa di St.Joseph a Brooklyn. Ecco il ricordo di Bonanno: «Il ricevimento si tenne nella sala del Knights of Columbus, sul Grand Army Plaza, vestita tutta in bianco, portava un delicato velo di pizzo che le copriva i capelli, ma non il viso. Era un velo che le scendeva anche lungo la schiena e le faceva da strascico. Intorno al collo portava un giro di perle e tra le braccia un mazzo di gigli. Io indossavo uno smoking nero con un cravattino bianco». Manco a dirlo, uno dei primi sei-vizi resi alla comunità dalla nuova «direzione» fu il ritrovamento di alcuni gioielli rubati alla Madonna, in una chiesa di Bay Ridge, a Brooklyn. Da vecchio siciliano, Joe avrà una sola moglie. Rimasto vedovo, non tradirà mai la sua Fay, preferendo - a molte offerte femminDi - la compagnia di Greasy, il suo «leale e fedele doberman». Difenderà sempre i suoi, anche se discutibili, principi. L'autobiografia sottoscriverà, con un quarto di secolo d'anticipo, l'atto di morte della mafia: «Dichiaro la morte della mia Tradizione in America. Il modo di vivere che io e i miei antenati siciliani conducevano è ormai morto. Quella che gli americani chiamano "Mafia" è soltanto un prodotto degenerato di quello stile di vita». Le è sempre rimasta accanto la figlia Catherine, presente quando dettò il suo testamento ideale: «Alla mia età è una fortuna essere ancora vivi. Naturalmente ho i miei momenti di tristezza ma, tutto sommato, sono contento di quello che ho avuto. Ho imparato che il vero potere nasce dall'autocontrollo. Ho imparato che la vera forza nasce dalla coscienza pulita. Ho imparato che la vera ricchezza nasce da una famiglia unita e da amici veri». Tutto okay, Joe, ma come la mettiamo con la coscienza? Conquistò il padre della sua ragazza con una Buick e soprattutto con lo charme imparato a una scuola di recitazione il suo mondo era una Sicilia trasportata a Brooklyn, a Memphis e a Chicago. Rimanevano «paisà» vivevano sempre insieme, non parlavano inglese. A chi gli diceva che stava solo con gli italiani rispondeva «Prego, coi siciliani» Nella autobiografia firmò l'atto di morte di Cosa nostra: il modo di vivere mio e dei miei antenati è finito, oggi c'è solo degenerazione Sopra il libro dove Joseph Bonanno ha comunicato le sue memorie Sotto «Joe Bananas» insieme con la moglie e i figli in una foto degli Anni Trenta. Sotto II boss in un'immagine più recente