La festa tra le macerie «I terroristi sono loro»

La festa tra le macerie «I terroristi sono loro» NELLA CITTA' DELLA MUKATA DOVE IL PRESIDENTE E' RIMASTO PRÌGIONIERO DELL'ESERCITO EBRAICO La festa tra le macerie «I terroristi sono loro» Mentre intorno ferve già la ricostruzione, al quartier generale dell'Anp di Ramallah è ancora tutto in rovina reportage RAMALLAH SA di polvere e rabbia la giornata della liberazione di Arafat a Mukata, fra la folla di cittadini palestinesi e di VIP che visita il raiss, che guarda come al museo le rovine degli uffici circostanti al suo, che invece è stato risparmiato dal fuoco chiruigico. Il messaggio di Arafat è tuttavia chiaro, e dice così: «Sono molto arrabbiato, la polìtica comincia domani: per ora, prendetevi la mia ira». Esce la mattina il raiss dall'edificio in cui è rimasto chiuso per trentuno giorni. E' pallido, ma tutto sommato ha un'aria energica, e anche se è accigliato vibra con la folla che lo aspetta e lo accompagna tutta la giornata, stringe mani, bacia i moltissimi visitatori importanti (anche tre deputati arabi del parlamento israeliano), si lascia avvicinare dalla gente nonostante la schiera di guardie che gli corrono dietro preoccupate; vuole dare anche il senso della vittoria ottenuta su Sharon che è stato costretto a liberarlo; vuole dare il segno della lotta dura che continua e quindi inveisce alzando la voce come non mai contro gli israeliani chiamandoli ((nazisti» e «criminali»; maltratta i giornalisti, li chiama corresponsabili dell'indifferenza del mondo, soprattutto per quel che riguarda Betlemme; grida e si infuria, ma non si dimentica, con i giornalisti stranieri, dì dire di essere pronto a ((the peace of the braves, la pace dei valorosi, che strinsi col mio amico Rabin»; e alla folla, che lo osanna e gli grida dì voler dare la vita per lui, sorride, si concede al suo entusiasmo nel vederlo libero, intona in coro con essa: «Goll'anima e col sangue ti riscatteremo, Palestina». Fa il segno della V così a lungo che una delle sue guardie del corpo alla fine della mattinata gli sorregge il braccio destro. Mukata dove al mattino un sole enorme si mostra, rosso, dietro la nuvola di polvere, la notte ha visto rotolare via i carri armati. Le macchine delle guardie inglesi si sono avviate lungo la strada per Gerico con un convoglio in cui, uno per macchina, erano stati presi in custodia i quattro assassini del ministro israeliano Rehavam Zeevi, più Fuad Shubaki che ha organizzato il trasporto navale delle armi iraniane con la Karin A, e il capo della Fronte Popolare Ahmad Saadat. Al mattino, Ramallah si sveglia ferita ma vitale: al check point c'è una animazione frenetica, poi la lunga strada d'accesso è ancora addormentata ma in città la vita ferve dì nuovo con frenesia, dì nuovo si grida alla più bella frutta nel mercato, nella piazza dei leoni un enorme ritratto dì Arafat su cui i soldati hanno lasciato delle scritte guarda tuttavia, molto belligerante, i negozi aperti, il traffico intenso . Persino i gioiellieri hanno riempito le vetrine con l'oro rosso dei gioielli arabi, aperto il Beauty salon, la Cairo Amman Bank, il True Blue, abiti da sposa, Hazen Fashion, Sadi Shoes. Nelle strade danneggiate si lavora per cancellare i segni dell' esercito. Un albergo poco oltre, le Gemza Suites, ha già chiamato una compagnia incaricata di pulire dalla polvere: «Ripuliremo tutta questa zona, se non succede niente non ci vorranno più dì due settimane». Si vedono in giro anche elettricisti che riparano i cavi, poliziotti che sorvegliano la città; ma a Mukata, là è tutto smozzicato, e sorprende l'enorme quantità dì automobili sfondate, compresa quella del Capo dei Servizi, Rafik Tirawi, una Audi. Entriamo brevemente nelle stanze attigue all'ufficio di Arafat (da lui non si può) il fortino nel cuore dell'assedio: è la parte centrale dell' edificio, che salvo sporadici scontri a fuoco non é stata colpita nelle strutture. Qui, c'è il residuo della confusione rimasta dal lungo assedio, bottiglie, residui di cibo e di giacigli improvvisati, ima confusione terribile, un'epica popolare di eroismo che avanza: Rafik Tirawi, forse il più vicino a Arafat ih tutti questi giorni, racconta: ((Arafat era instancabile, e il più coraggioso dì tutti noi. Non si é mai sgomentato, ci incoraggiava di fronte agli spari e ai carri armati. Una notte in cui i soldati israeliani rihanno chiesto di uscire, lui ha deciso che questo non sarebbe mai avvenuto. Niente resa: o il martirio, o la vita». Questo spirito di vittoria è quello che intanto Arafat mostra in giro per la città: va all'ospedale, al cimitero dove recita una preghiera, la folla grida ((Allah u Anbar» Dio è grande; una folla dì giornalisti corre con i suoi uomini amati dietro la macchina che lo porta di visita in visita; alla vista dei danneggiamenti e delle distruzioni, nasce la seconda epica dì cpesta vicenda, quella per cui lui insiste a chiamare gli israeliani «nazisti», e criminali dì guerra. La rovina lasciata dall'esercito nel Ministero della Cultura viene presentata una scelta di distruggere la cultura e il retaggio palestinese, come dice il ministro della cultura Yasser Abed Rabbo. Ritto su un banco di scuola di fronte a centinaia di bambini che dicono dì essere pronti a morire per luì, Arafat li corregge: «Per la Palestina». A Mukata visitiamo le due ali distrutte: a destra c'è un grande hangar dì macchine BMW, Mercedes, e anche una grossa Rover. Sono tutte distrutte, pancia a terra, tetto sfondato, bianche di polvere. Era il parco macchine del raiss. Un palestinese sui cinquant'anni di nome Nahìm, molto distinto, con giacca e cravatta è contento che si tratti solo dì auto: «In fondo ne avevano troppe», dice; è un impiegato pubblico. Vorrebbe la pace dice, ma anche lui é convinto che gli israeliani non ne abbiano nessuna intenzione; il terrorismo non gli piace, ma ci dice ciò che sentiremo dire da quasi tutti gli interlocutori: «Il terrorismo? Di chi? Perché questo che cos'è, se non terrorismo?». Ma aggiunge Nahim, meno male che il corpo centrale dell'edificio è sano: si potrà ricostruire, se non tornano gli israeliani. Torneranno, purtroppo, suggeriamo, se ci saranno attacchi terroristici. E lui, di nuovo: «Quale terrorismo? Di chi è il vero terrorismo?». " Nel quartier generale dei Servizi di Sicurezza dì Tirawi, a sinistra degli uffici di Arafat, ci porta al piano superiore un ufficiale che fuma una sigaretta dietro l'altra. Tutto è rotto, i mobili sono per terra, una stanza è stata usata come bagno dai soldati che sono rimasti là dentro per un mese; soprattutto, i computer sono distrutti. «Possiamo - dice l'ufficiale Abu Leith - ricostruire la nostra banca dati, ma sono furioso, disgustato, arrabbiato per il danno imma¬ ne che è stato fatto qui senza ragione. Questa è cultura? Questa è civiltà?». E ripete: «Quale terrorismo? Di chi il terrorismo?». Ci mostrano a lato del garage anche tre casseforti sfondate, e un impiegato ci dice che del denaro è stato rubato. Non abbiamo conferma. Arafat è di nuovo in ufficio; tutto il mondo si chiede dove andrà, se a Gaza lo aspetta un popolo stanco della guerra o delle fazioni avide di riprendere gli attentati; se andrà all'estero e in caso se Sharon lo lascerà tornare. Insomma il ritomo di Arafat porterà pace o ancora guerra? Certo, la distruzione è grande, e con essa la rabbia; e il termine «terrorismo» a Ramallah non è associato affatto con la tragedia dei civili uccisi nelle città d'Israele, ma piuttosto con i soldati israeliani. Come faranno dunque, con questo punto di partenza, i leader a dire finalmente «no more war», come fecero un tempo Sadat e Begin? Essi sapevano ambedue cosa fosse «war», la guerra. Le macchine dei potenti del regime sono state distrutte dai soldati israeliani Le cassaforti degli uffici sono sfondate «Hanno rubato tutto» dicono i palestinesi Negli uffici del leader assediato ci sono ancora le coperte per terra e iresti del cibo sul pavimento Arafat indicai buchi fatti nel muro della stazione di polizia di Ramallah dai colpi di una mitragliatrice pesante israeliana durante la recente occupazione militare dei Territori

Luoghi citati: Betlemme, Cairo, Citta' Della Mukata, Gerico, Israele, Palestina