Tiarini Maestro del «racconto per figure»

Tiarini Maestro del «racconto per figure» Tiarini Maestro del «racconto per figure» CONTRAVVENGO alla buona regola giornalistica di non aprire in prima persona, ma di fronte a Carlo Borromeo battezza un neonato durante la peste di Ludovico Carracci, esposto fra le opere di confronto con le pale di Alessandro Tiarini ai Chiostri di San Domenico, non posso non ricordare la scoperta di quarant'anni fa su una nuda parete nella penombra dell'Abbazia di Nonantola, così consona a questo vertice emozionale di patetismo controriformistico. Ma prima dei secoli di oblio, non appena il severissimo quadro era giunto su quelle pareti aveva certamente suscitato forte eco nella banda emiliana dei trentaquarantenni scalpitante alle spalle dei grandi Carracci e innanzitutto in Alessandro Tiarini ( 1577-1668), il giovane arruffato nll'Autoritratto di ritomo da LA MDESETTMarc Firenze dove era fuggito da Bologna con di mezzo una pistolettata, unico guizzo in una vita in seguito tranquilla da grande professionista. Il confronto è proposto come evidente fonte del quadro dello stesso soggetto del Tiarini già in San Vincenzo di Piacenza e poi in Palazzo Farnese e da esso emergono i caratteri peculiari della realtà del Tiarini. La severissima immagine intimamente reale ma classicamente ritmata di Ludovico, con la capra allusiva allo «spedale degh innocenti» nel lazzaretto che altre volte definii una «capra Amaltea», lascia il campo ad una forte esplicita concreta teatralità di gesti di esortazione simpatetica e devozionale ma anche al realismo persino brutale del cadavere della madre in primo piano, immer- STRA LA MANA Rosei so nell'ombra da cui emerge solo la mano esangue. È l'esatto opposto, nel capolavoro giovanile da Santo Stefano a Bologna San Martino resuscita un bambino, della mano del bambino di cui inizia la resurrezione che si ricolora di vita sanguigna sul restante grigio cadaverico e incomincia a muoversi, in una «instant picture» quant'altre mai. Da entrambe le pale emerge una compatta fisicità di forme cromaticamente modellate dal forte impatto di ombre e di luci che, in modo autonomo rispetto alla lezione caravaggesca diffusa a Bologna dal rivale Leonello Spada, tracciano nello spazio pittorico i ritmi del «racconto per figure». Questa è la principale virtù riconosciuta e sottolineata dal primo e fondamentale biografo, il canonico Malvasia: «prima che facesse un'opra propostagli andava a vedere gl'auttori che lo trattavano la sera e poi la mattina svegliato la ruminava allo scuro e se l'andava fingendo tutti que' personaggi, il luogo,le circostanze e gl'accidenti». Siamo agli antipodi del fotogramma caravaggesco, ma la concretezza narrativa e descrittiva delibazione immaginata» è nutrita dalla verità naturale di forme e di sentimenti di Ludovico Carracci e, nella maturità, dalle grandi presenze reggiane del Guercino, documentate nei Chiostri di San Domenico dalla formidabile pala colossale della Crodfissione della Madonna della Chiara e dal ricostruito dittico del Duomo, passato nelle raccolte ducali modenesi e rapinato da Napoleone, riportando da Rouen la Visitazione e da Tolosa il Martirio dei santi Giovanni e Paolo. Questa concretezza «buca» letteralmente lo schermo pittorico irrompendo nello spazio del riguardante con le dimensioni sovraumane dei personaggi, siano essi quelli dell'Elevazione della croce e del Martirio di santa Barbara nei Chiostri o quelli delle due grandi coppie di «favole», le Storie di Ubaldino degli Ubaldini e di Federico Barbarossa e Achille e la figlie di Licomede e La morte di Priamo di Palazzo Barberini a Roma in Palazzo Magnani. La bipartizione della vasta mostra a cura di Daniele Senati e Angelo Mazza, 120 dipinti, 20 disegni, permette ampiezza di discorso. Si parte con la cultura di ambito bolognese con il nobilissimo Cesi in prima fila, con la fuga a Firenze si approda a quella circostante della grande stagione della scuola bolognese, con il polo opposto teatralmente rappresentato, unica presenza in fondo a un corridoio, dal «sublime» Crocifisso di Reni della Galleria Estense di Modena ma proveniente da Reggio Emilia. Fino agli esiti reggiani, con la derivazione fin troppo concreta di Luca Ferrari. L'ampiezza e l'articolazione generano isole di particolare efficacia e fascino in Palazzo Magnani: la sala dedicata alle opere oggi in varie collezioni private e bancarie già in Palazzo Bonfiglioli in Strada Maggiore a Bologna, con le sontuose comici barocche originali, due Tiarini, uno Spada, un Bononi, un Cavedoni offre una parata quasi senza jaragoni della stagione d'oro boognese accanto ai «big». QueDa dedicata al Tiarini profano «da gabinetto» offre due storie con Amore sculacciato da Venere e da Diana ben degne della cultura di Tassoni e di Giulio Cesare Croce, altrettanto quanto all'inizio, di Ludovico, la burrosa Susanna brancicata dai vecchioni. Alessandro Tiarini Reggio Emilia, Pai. Magnani e Chiostri di San Domenico Or.mar-ven9-13,14,30-19,30;sab.e dom. 10-19. Fino al 16 giugno A REGGIO EMILIA UN OMAGGIO AL PIÙ' IMPORTANTE ESPONENTE DI QUELLA «BANDA» DI PITTORI SCALPITANTI ALLE SPALLE DEI GRANDI CARRACCI «La morte di Didone» di Alessandro Tiarini LA MOSTRA DELLA SETTIMANA Marco Rosei