Il generale die faceva la pace

Il generale die faceva la pace ALEKSAISIDR LEBED E' MORTO IN UN INCIDENTE AEREO: IL SUO ELICOTTERO HA URTATO I CAVI DELLA TENSIONE SU UNA MONTAGNA SIBERIANA Il generale die faceva la pace Con i carri armati aveva protetto Boris Eltsin nel '91. La competizione elettorale del '96 ne aveva fatto l'uomo più potente dopo il Presidente personaggio Anna Zafesova MOSCA ALEKSANDR Lebed ha riguadagnato, per l'ultima volta, il primo posto nei notiziari. Il carismatico generale che tante volte aveva provocato terremoti nella politica russa è morto ieri: una morte improvvisa, drammatica, che ha già fatto inevitabilmente nascere sospetti. Il governatore di Krasnojarsk è infatti perito in un disastro aereo in cui hanno perso la vita anche altre sette persone, mentre dodici sono rimaste ferite, alcune in condizioni gravi. Il governatore-generale, scortato da membri della sua amministrazione e da un gruppo di giornalisti, stava andando all'inaugurazione di ima nuova pista di sci. I due elicotteri erano già quasi arrivati a destinazione, restava solo da superare la cresta della montagna quando il Mi-8 sul quale viaggiava il governatore è andato a finire sui cavi dell'alta tensione ed è precipitato da un'altezza di 30 metri. Intorno, nella tajgà, era impossibile chiamare soccorsi e i feriti sono stati caricati sul secondo elicottero per venire trasportati all'ospedale più vicino. Ma nel feudo di Aleksandr Lebed, grande come mezza Europa, le distanze sono enormi e il generale è morto durante il volo. Le circostanze dell'accaduto sembrano chiaramente indicare un incidente: la tajgà ai piedi della montagna era coperta da una foltissima nebbia, la visibilità era ridotta. Ma la figura del 52enne governatore, «l'uomo che conoscete» come recitava lo slogan della sua campagna presidenziale, farà inevitabilmente nascere voci e pettegolezzi. Il para che era entrato al Cremlino facendo innamorare di sé mezza Russia, e che era apparso da protagonista nelle vicende cruciali del decennio eltsiniano, aveva molti elettori, ma ben pochi amici. Sembrava un Eltsin dei tempi migliori riveduto e corretto: un vero «muzhik» russo, brusco e forte, che dice pane al pane, un figlio del Lebed gioca a scacchi in una pausa della trattativa per la tregua in Cecenia popolo che non ha paura dei potenti, con la mano e la battuta pesante. Con il naso rotto in una rissa, i modi brutali («Vi spezzerò la spina dorsale», aveva promesso ai suoi oppositori a Krasnojarsk), un'espressione perennemente minacciosa sulla tonda faccia da contadino e un sorriso raro ma improvvisamente timido, per i politologi era un rozzo figlio della caserma, per i liberali un «Pinochet russo», per il popolino «uno dei nostri», facile alla rabbia, ma con una personale idea di giustizia. Nonostante l'immagine del cattivo, paradossalmente, questo generale che si era guadagnato le mostrine in Afghanistan, nel corpo più rude e fiero dell'ex Armata Rossa, i paracadutisti, cercava la pace. «La guerra è finita, basta», disse una notte dell'agosto '96 a Khassaviurt, stretto in uno stanzino dove aveva appena fatto un pezzo di storia, firmando la pace con i guerriglieri ceceni. Oggi che la guerra nel Caucaso è ripresa, gli accordi di Khassaviurt vengono considerati dal Cremlino un tradimento, ma sei anni fa Lebed aveva realizzato il sogno di tutti, un'impresa impossibile che sembrava l'improvviso lieto fine di una tragedia. Ancora prima, nel '92, il generale che odiava la guerra aveva fermato lo scontro tra russi e moldavi nel Dniestr, dove ieri è stato commemorato come un eroe. E nel '91, durante il golpe comunista, mandato dai putschisti a circondare il Parlamento ribelle di Eltsin, con i suoi carri armati ne aveva invece garantito la sicurezza. Un antipolitico che si muoveva come un orso nei corridoi del potere, dove èra entrato come una meteora, diventò per tre mesi l'uomo più potente della Russia dopo il Presidente. Era esploso alle presidenziali del '96, quando ottenne il terzo posto con il 15 per cento dei voti. Merito di una campagna abile, finanziata dal magnate Boris Berezovskij, ma merito soprattutto dello stesso Lebed, autodidatta dell'immagine. Un potenziale padre della nazione a cui faceva da perfetta metà la moglie lima, con le sue camicette di pizzo, i capelli neri raccolti a crocchia e il sorriso rassicurante. Patrio- , ta ma non nazionalista, militare ma pacifista, con una reputazione immacolata, un eroe che parlava la lingua della gente semplice e che due giorni dopo il primo turno delle elezioni si era ritrovato al1 Cremlino: segretario del Consiglio di sicurezza, consigliere presidenziale, presidente della commissione di no- , 1 1 1 Ex comandante dei paracadutisti era riuscito a firmare uno storico accordo in Cecenia nel 1995 Dopo gli insuccessi nelle presidenziali era diventato governatore di Krasnojarsk mina degli alti gradi dell'esercito, in cambio di 15 milioni di voti da regalare a Eltsin. Per Lebed non fu un affare: tre mesi dopo il presidente si era alzato dal letto d'ospedale dopo il quinto infarto per licenziarlo. Fedele al suo principio del «Ride per ultimo chi spara per primo», il generale carismatico e ingovernabile era diventato una minaccia per i suoi stessi padroni. La sua popolarità rimaneva altissima, le sue quotazioni per la successione a Eltsin non scendevano, la sua campagna elettorale per il governatorato di Krasnojarsk, da dove aveva deciso di ricominciare la corsa al potere, per finanziamenti e copertura mediatica non aveva nulla da invidiare a quella presidenziale. Ma tempi e mode cambiano e il rude «muzhik», con modi da caserma, sembrava ormai un anacronismo tra gli uomini freddi, colti e diplomatici della nuova nomenklatura putiniana. Gli intrighi di apparato e la gestione quotidiana di una regione enorme non erano il forte di Lebed, totalmente ignaro di che cosa fosse il compromesso. Perfino la sua rielezione, tra pochi mesi, era in forse. L'unica battaglia che avesse vinto in Siberia era stata di cacciare in galera Anatolij Bykov, magnate dell'alluminio dal passato criminale, che probabilmente più di chiunque altro avrebbe voluto la sua morte. Ma il sospetto di un attentato viene negato - forse con troppa insistenza - perfino dalla famiglia del generale. Il presidente Putin, che ha mandato a Inna Lebed e ai suoi tre figli rimasti orfani un , commosso telegramma definendo il 1 generale «un vero soldato della Patria», ha ordinato una commissione d'inchiesta. E probabilmente acconsentirà alla richiesta della famiglia di seppellire Lebed nel cimitero moscovita di Novodevicje, pantheon di vip.

Luoghi citati: Afghanistan, Cecenia, Europa, Inna Lebed, Krasnojarsk, Mosca, Russia, Siberia