Patologia del cyberpunk

Patologia del cyberpunk Patologia del cyberpunk PARLARE di cyberpunk come movimento tutt'ora attivo, virulento e vitale fa piuttosto sorridere. Al massimo, vantaggio non trascurabile, oggi possiamo fissarlo su un vetrino ed esaminarlo con la giusta dose di senso critico e sano distacco. Siamo sicuri che sia davvero un virus? 0 un prione che deve ancora infettare l'organismo ospite? 0 un batterio da top ten come l'antrace, che può rimanere in latenza per secoli, all'interno di un habitat particolarmente avverso? Come una pandemia di Spagnola, il cyber negli ultimi anni ha ucciso molti e contaminato troppi. Autori come John Shirley («Il cuore esploso») hanno posto le basi, per scappar via al momento opportuno, da bravi punk 77, dedicandosi ad altro (in questo caso ai riti di modificazione corporea e al nuovo paganesimo). Quello che è essenzialmente un matematico come RudyRucker (www. mathcs.sjsu.edu.faculty/rucker) non scolla l'occhio dal microscopio, conscio che l'agente infettfmte in apparenza assopito subirà prima o poi un'ennesima mutazione. Altamente contagiosa, in un casuale propagarsi di parole-virus. Se ne accorgeranno gli apostoh del cyberpunk in Italia come lo spigoloso, ma decisamente apripista Daniele Brolli (le antologie «Cuori Elettrici» e «Cavalieri Elettrici») e il puntuale e meticoloso Antonio Caronia («Il cyborg»)? Crediamo e speriamo di si, perché se molti della cyberlit hanno seguito l'esempio di Shirley (Jeff Neon con il romanzo campionato «Needle Into The Groove», Steve Erickson con il mèlo elettro-calviniano «Il mare arriva a mezzanotte»), d'altro canto kids che a virtualità e nella virtualità sono cresciuti, stanno distribuendo le loro prime release. Romanzi non romanzi tra fiction e saggistica, tra verità e menzogna, con i sogni e le partite a videogame che diventano vita vissuta in un gioco caleidoscopico di scatole cinesi. Tra tutti bastino «House of Leaves» di Mark Danielewski (a quando la traduzione per Strade Blu di Mondadori?) e il nuovissimo «Lucky Wander Boy», in uscita negli Usa in agosto, autobiografia fasulla e ode alla nostalgia riprogrammata, fatta di ricordi ormai commercializzati da tempo. Tralasciando volutamente il cyberkitsch da best-seller alla Jeffery Deaver (l'esiziale e pecoreccio «Profondo blu») e preferendo ricordare scampoli di cybercinema da «Matrix» a «Fight Club» passando attraverso «The Cube» e «Dark City» e «Metal Gear Solid» e «Silent Hill», concludiamo come da copione con un sano interrogativo, a costo di mettere in discussione quanto scritto finora. E se, come il punk da cui" prende il suffisso, il tanto, a volte troppo, discusso cyber fosse più che altro una attitudine o una categoria dello spirito? Come già sostenevano i Ramones, uno può clonare lo stile, i movimenti, l'estetica, la scarna ritmica del punk senza esserlo per niente. Allo stesso modo chi vive di bit fr byte fr game e recita la aura di William Gibson e Bruce Sterling, rischia di essere cyber quanto Nicoletta Vallorani, Gabriele Salvatores o Lucio Dalla nei suoi rari deliri electropop. 0, per finire, quanto lo smanettone sottopagato che vi arriva a casa nella speranza di installare quell'ultima, fetente, periferica. Giovanni Arduino Alessandra C

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