Tutti figli di Orsini di Monica Bonetto

Tutti figli di Orsini ALL' DAL 15 Tutti figli di Orsini Lievi dirige il vecchio testo di Miller come una sorta di incubo onirico Hi A debuttato a Cesena lo scorso febbraio con il pubblico unito in vma «standing ovation» finale, che a teatro non capita certo tanto spesso. E i critici, nelle loro buone recensioni, hanno indicato i motivi di tanto successo di volta in volta nella bravura degli attori, nella felice chiave interpretativa del regista, nell'originale efficacia della scenografia e non ultima, in una sinistra attualità del testo. E' probabile che «Erano tutti miei figli», testo di Arthur Miller, regia firmata da Cesare Lievi, interpretazione affidata a Umberto Orsini, Giulia Lazzarini e Luca Lazzareschi, scene e costumi di Maurizio Baiò, sia semplicemente un insieme armonico e riuscito di tutto questo. Si avrà modo di scoprirlo presto, dal momento che è ospite del cartellone Stabile al teatro Alfieri a partire da lunedì 15 aprile (anticipato rispetto al cartellone: martedì 16 lo spettacolo salta per lo sciopero generale, per stare in scena fino a domenica 21. Il testo non è recente: Miller lo scrisse e riscrisse per due anni al termine della seconda guerra mondiale, e assistette al suo debutto nel 1947, a Broadway, ottenendo il primo vero successo in qualità di autore teatrale. E dire che la storia raccontata non era delle più tenere, anzi. In scena compariva una famiglia borghese americana composta da padre, madre, un figlio morto in guerra e imo sopravvissuto; fin qui nulla di particolare, ma presto si viene a sapere che il padre, industriale, ha costruito la propria fortuna negli affari vendendo all'aviazione americana, durante il conflitto bellico, teste di cilindri difettose e che per colpa sua 21 piloti sono morti. Inoltre l'uomo ha sviato da sé scandalo e responsabilità facendo cadere la colpa su ima persona innocente (il padre della fidanzata del figlio disperso in guerra) che ora sta scontando in carcere un delitto mai commesso. In questo panorama di verità taciute e rimosse, di denaro sporco nobilitato perché causa di benessere e privilegi, di fortune costruite calpestando e distruggendo vite altrui, si erge la straordinaria figura del figlio superstite, incarnazione di una superiore ansia d'innocenza, fragile eppur determinato nel condannare i vizi oscuri di un capitalismo che non conosce rigurgiti di coscienza e che fa della ricerca del profitto l'unica legge morale riconosciuta. Cesare Lievi, per questa pièce che guarda al teatro ibseniano per le forti istanze etico-sociali di cui è portavoce, e alla tragedia classica per lo scontro generazionale giocato sulla contrapposizione tra verità e menzogna, ha scelto di sottrarsi a un facile realismo interpretativo esaltando invece la gamma formale e la complessità dei concetti e dei sentimenti. L'atmosfera, a metà tra il metafisico e l'incubo onirico, è suggellata inoltre dall'invenzio- né scenografica di Baiò, un telone militare a suggerire un giardino, che nasconde carcasse di aerei precipitati. Scriveva Miller, pochi anni dopo il debutto, che «una certa mentalità impersonata dal padre, se dominante, può comportare una vita barbarica per tutti noi, indipendentemente dall'altezza dei nostri grattacieU». Aveva già detto tutto. Monica Bonetto Umberto Orsini e.Giulia Lazzarini in «Erano tutti miei figli», all'Alfieri da lunedi 15

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