Cade in trappola «Manuzza» numero tre di Cosa Nostra

Cade in trappola «Manuzza» numero tre di Cosa Nostra LATITANTE DA OLTRE UN DECENNIO, ILSUPERBOSS ERA UN FEDELISSIMO Dl PROVENZANO Cade in trappola «Manuzza» numero tre di Cosa Nostra Giuffrè catturato in un ovile, in tasca le lettere della famiglia e le immaginette di Padre Pio Era armato ma non ha tentato di usare la calibro 9: «Non dico nulla, conosco i miei diritti» Accusato dell'omicidio del sindacalista Geraci, gestiva il grande business degli appalti PALERMO La «riforma Provenzano» - l'istituzione cioè di un triumvirato di fedelissimi alla testa di Cosa nostra - ha subito un duro colpo con la cattura di Nino Giuffrè, capo del mandamento di Caccamo-Termini Imerese e membro della nuova direzione strategica della mafia siciliana. Il boss era ricercato da ima decina d'anni, da quando il pentito Balduccio Di Maggio lo aveva strappato a un lungo anonimato per consegnarlo agb investigatori come importante uomo d'onore. Giuffrè è stato preso nelle campagne di Roccapalumba, nel cuore delle campagne che stanno al centro di un vasto territorio tra Palermo, Trapani e le Madonie. Stava in un ovile, accanto ad una capra die aveva appena partorito. Insieme con lui sono finiti in manette i due guardaspalle, Francesco e Placido Pravatà, e l'anziano proprietario della mandria, Domenico Tatana. Il boss, che nell'ambiente di Cosa nostra è chiamato ((Manuzza» per via di una congenita malformazione a una mano, era arniato ma non ha neppure tentato di utilizzare Tanna. Evidentemente la sua calibro 9 era una precauzione in direzione degli «amici degli amici»: mai un mafioso vero si sognerebbe di ingaggiare un conflitto a fuoco con i carabinieri. Anzi, nelle sue tasche i militari hanno trovato il solito kit del perfetto uomo d'onore: le foto dei familiari, soldi per la latitanza (6000 euro), le lettere della moglie e dei figli e le immancabili immaginette sacre di Padre Pio e della Madonna di Lourdes. Ovviamente non ha aperto bocca, tranne per dire che «non ha nulla da dire» e per aggiungere che «conósce i suoi diritti». Tutto secondo copione. Qualche dubbio, semmai, tra- spare su come i carabinieri siano arrivati alla cattura del numero tre di Cosa Nostra. La versione ufficiale parla di indagini che andavano avanti da un anno. Qualche sospettoso ha, però, avanzato il dubbio che «Manuzza» sia stato tradito da qualcuno che, contemporaneamente, ha preso la via di una località protetta sotto le vesti di arrestato per reati secondari. Di due personaggi, infatti, non sono state fomite le solite fotografie segnaletiche. Ma tutto ciò ha poca importanza e non sminuirebbe, comunque, il valore dell'operazione eseguita dai carabinieri di Termini Imerese. La cattura di Nino Giuffrè rappresenta un punto di riferimento che viene meno a Provenzano. E in un momento di crisi, come quello attuale, non è semplice per il capo sostituire una pedina così importante. Il moderato «Manuzza», pur essendo latitante, aveva finito per"assumere il ruolo di «pacificatore» in un territorio turbolento in passato contrassegnato dall'assoluto dominio di Riina e dei corleonesi. Grande mediatore, anche nell'ambito della distribuzione degli affari e degli appalti. Giuffrè garantiva, insomma, a Provenzano una sorta di rappresentanza «bipartisan»: fedele ai corleonesi ma formalmente riconducibile alla mafia palermitana che, dopo il fallimento della «linea politica» di Riina, violenta e stragista, reclamava la centralità che aveva sempre avuto in passato. E Provenzano, costretto a riparare i guasti della dissennata gestione di Totò Riina, ha dovuto recuperare il rapporto con i «palermitani» affidando il comando a personaggi di «buona indole» come - appunto - Giuffrè e Salvatore Lo Piccolo che è divenuto il «rappresentante» del vasto territorio compreso tra Paleraio e Alcamo. La zona di Trapani, invece, sembra saldamente nelle mani del giovane Messina Denaro, rimasto solo dopo la cattura di Vincenzo Vfrga, altro fedelissimo di «Binnu» Provenzano. E' un buon «camerista», il boss di Caccamo. Ha percorso tutti i gradini, dalla gavetta (quando fece il vivandiere di Michele Greco latitante proprio in quelle campagne) fino ai vertici. Ovviamente ha dovuto «fare molto» per molto «meritare». La cronaca dice che si liberò del suo vecchio capo, Salvatore lutile, «consigliandolo» di uccidersi in carcere per risparmiare gravi ritorsioni alla famiglia. Poi si liberò anche di Mico Geraci, sindacalista ostinato, che dava ombra al carisma del boss facendo politica in direzione non gradita. Geraci parlava, invitava politici del centrosinistra, come l'ex presidente dell'Antimafia Giuseppe Lumia, e contrastava le scelte sugli appalti. L'ultimo ostacolo sulla propria strada era Pino Gaeta, capomafia di Termini Imerese: venne ucciso sotto casa due anni fa, spianando a Giuffrè il vertice di Cosa nostra. Forte dell'amiciza di Provenzano, ma anche del valore aggiunto rappresentato da una moglie, l'enei^ica Rosalia Stanfa, imparentata con ima «famiglia» americana, «Manuzza» si apprestava a dirigere il ballo della spesa pubbhca: gli investimenti per il porto di Termini Imerese, i 300 milioni di euro già partiti per la ferrovia Fiumetorto-Cefalù, i lavori per ultimare l'autostrada per Messina (incompiuta da un trentennio) e il grande business dell'acqua e della diga Rosamarino. Una complicazione, la sua cattura, che finisce per aggravare i rapporti all'interno di Cosa nostra. Perché, si sa, ogni volta che si libera una poltrona c'è sempre qualche pretendente che si fa tentare dalle maniere forti. Resisterà l'ordine impartito da Provenzano di non «fare rumore», neppure in presenza di gravi dissidi? Una cosa è certa: Don Binnu è sempre più solo. [f.1.1.] Nella foto grande, l'arresto di Nino Giuffrè, membro del direttorio di Cosa Nostra Accanto, la casa dove si nascondeva Il boss

Luoghi citati: Alcamo, Messina, Palermo, Roccapalumba, Termini Imerese, Trapani