«Spianavano le case con le ruspe Uccidevano la gente in cantina»

«Spianavano le case con le ruspe Uccidevano la gente in cantina» VOCI DALLA CITTA TEATRO DEGLI SCONTRI PIÙ' DURI «Spianavano le case con le ruspe Uccidevano la gente in cantina» Un profugo: «Sono ferito perché mi hanno usato come scudo umano» Il generale Eyal Shlein: «Ci sono stati quasi solo caduti in combattimento» reportage Peter Beaumont JENIN ■ soldati israeliani si ritirano alla spicciolata dalla città cisgiordana di Jenin. I cannoni si sono fatti silenziosi. Gli ehcotteri che sciamavano furiosamente sopra i tetti delle case, sparando sull'affollato campo profughi accanto alla città, si sono ridotti a un singolo velivolo di pattuglia, che passa ogni tanto. Ci sono ancora soldati israeliani a Jenin. Ancora carri armati. Ma gli ultimi combattenti palestinesi (fra cui alcuni dei più ricercati da Israele) si sono arresi giorni fa. Tutti gli uomini sono stati rastrellati per verificarne l'identità. La battaglia di Jenin è finita: nei fatti, se non nella memoria^ La battaglia di Jenin sarà ricordata come la più cruenta della guerra di Ariel Sharon contro il terrorismo: una campagna che è stata chiamata «Operazione muro protettivo». Vi sono morti centinaia di palestinesi, fra cui molti civili. Israele ha subito la sua più grave perdita di vite umane in un singolo combattimento da molti anni in qua, allorché 13 soldati sono caduti in un'imboscata mortale. In ospedale, il dottore toglie le bende che avvolgono il ginocchio di Ali Mustafà Abu Sani per mostrarci la ferita. Scavato nel ginocchio c'è un grosso buco dove la pallottola si è fatta strada sfracellando due ossa. Il medico spiega che i problemi non derivano tanto dalla ferita in sé quanto dalla cancrena, che ha gonfiato il ginocchio al dop¬ pio della sua dimensione normale. È stata medicata appena in tempo. Ali Mustafà è alla sua sesta ferita d'arma da fuoco. Dice che i soldati israeliani lo ho hanno tirato fuori di casa e usato come scudo umano. Mentre camminavano in fila lungo una strada, un altro israeliano, di fronte a loro, ha sparato il colpo che lo ha ferito. I soldati hanno lasciato Ali Mustafà perché i vicini lo soccorressero. I vicini hanno provato a chiamare la Croce rossa e la Mezzaluna rossa, ma nessuna delle due organizzazioni era in grado di venire a prenderlo dove si trovava. Perciò Ali Mustafà è rimasto sul posto finché gli amici lo hanno caricato su una scala a pioli (usata come barella) e lo hanno trasportato fino a un camion fuori dal campo; così, finalmente, il ferito ha raggiunto l'ospedale. Ali Mustafà, insegnante di 42 anni, racconta storie dei giorni in cui è rimasto intrappolato nel campo. Riferisce deUe case spianate coi bulldozer per aprire le vie di attacco. Dice che molti degli abitanti sono rimasti uccisi, alcuni nelle cantine dalle quali si rifiutavano di uscire. Gli chiedo dei nomi. «È successo alla casa di Abu Naif Zagrah», risponde. Chi altri? «La casa di Mazen al-Ghul e di Abura alGhul». Continua: «Abu Jawad Narseh e Abu Jawad al-Asmar». Mentre Ali Mustafà parla, entra il dottor Mahmud Abu Isleih. Anche lui parla delle case distrutte in 10 giorni di intensi combattimenti: «Centinaia di famiglie sono state costrette a lasciare il campo. Dicevano loro: via dalle vostre case!». Un giovane in maglietta rossa aggiunge la sua testimonianza. Vive nel campo, si chiama Maaz Stati e ha 22 anni. Dice che molte persone avevano troppa paura per poter uscire dalle cantine e sono morte sotto le macerie. Anche sua madre, dice, è morta così. E anche ima donna che si chiamava Isa Weshaki. Racconta pure di un suo cugino, Ataf Dasuki, 52 anni, che ha aperto la porta ed è stato colpito a morte dai soldati. Isleih dice di non essersi mosso dall'ospedale per dieci giorni: «Il primo giorno di combattimento - spiega - un uomo sui trent'anni è stato abbattuto a pochi metri dalla porta dell'ospedale, vicino all'entrata della moschea». «Volevamo aiutarlo, così abbiamo gridato agli israeliani di permetterci di avvicinarci. Hanno detto di no. Due uomini del personale medico sono usciti, ma c'è stata un'esplosione e sono corsi indietro, verso l'ospedale. Alla fine, due infermiere sono uscite sventolando ima bandiera bianca. Hanno raccolto il ferito, che ormai stava spirando. L'uomo ha fatto in tempo a dire che il suo nome era Monzer al-Haj». La ferocia dell'attacco israeliano a questa piccola città e al campo profughi va spiegata. Per Israele, Jenin era la «testa del serpente» del terrorismo palestinese. Anche il terrorista suicida che mercoledì ha fatto esplodere un autobus a Haifa veniva da Jenin. Ma la presenza di terrori¬ sti giustificava l'assalto massiccio a una zona popolata da civili, assalto sfociato in una tale perdita di vite umane? Il comandante israeliano delle operazioni è il brigadiere generale Eyal Shlein. Come il ministro degli Esteri Shimon Peres, nega che ci sia stato un massacro. La loro versione è che i morti sono caduti in combattimento. Shlein ritiene che siano morti pochi civili e che l'esercito israeliano abbia dato prova di moderazione a Jenin: «Il nostro è un esercito umano» ha detto al quotidiano Haaretz. Copyright «The Guardian»

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