Il Vignola Un principe dell'architettura di Marco Vallora

Il Vignola Un principe dell'architettura Il Vignola Un principe dell'architettura U NA strana aura non proprio di sventura, ma di non piena fortuna, qualcosa d'irrisolto, di non integralmente felice, di manieristicamente inconcluso, sembra avvolgere da sempre la pur basilare figura di Jacopo Barozzi detto il Vignola (1507-1573): non tanto per l'innegabile statura della sua invenzione di architetto misuratamente e saggiamente eccentrico, o per la sua interminata influenza di trattatista, ma proprio per la curiosa opalescenza della sua immagine pubbhca. Ed è inutile negare che al cospetto dei nomi più celebri di Leon Battista Alberti, di Francesco di Giorgio Martini (di cui Siena non molto tempo fa si è regalmente ricordata), per non dire poi il più favorito e a lui strettamente contemporaneo Andrea Palladio, il Vignola non gode, sia pure ingiustamente, di altrettanta popolarità. Del resto è dal 1907 che non LA MDESETTMarco si tiene un convegno su di lui e l'ultima monografia risale al 1960, mentre questa, degnamente riparatrice e sapientemente didattica, progettata da nomi prestigiosi come quelli di Bruno Adorni, di Frommel, Thones e Tuttle, fra i maggiori conoscitori dell'architettura che va da Raffaello a Borromini e con ottimo volume Electa, è in realtà la prima mostra a lui integralmente dedicata e autenticamente approfondita. E speriamo che l'equivoco d'un importante giornale dell'arte che l'annunzia come la retrospettiva di un celebre pittore, non provochi la delusione di toipedoni idi visitatori, che si dovranno «contentare» dei nervosi disegni (raccolti solertemente da musei di tutto il mondo) di questo cultore dell'ordine classico, nel cuore vorticoso della poetica manierista. Ma l'errore storico che questa articolata STRA LA MANA allora mostra vuole sfatare è proprio quella di considerare il Barozzi, lui così estroso ed innovatore, come il propugnatore della «norma» restauratrice, il campione di un rappel à l'ordre rinascimentale, a causa forse del suo glorioso trattato La Regola delli cinque ordini, che è poi un modo pratico per semplificare la progettazione degli ordini architettonici, secondo misure ed ingombri prefissati. Ma basta pensare all'eleganza capricciosa del Palazzo Farnese di Caprarola, che lui eredita dai progetti di Peruzzi e di Sangallo il Giovane (con consigli annessi di Michelangelo e Vasari) e che da sobria fortezza trasforma in un palazzo rinascimentale con tutti i comfort di una villa, e quella sfrontata scalinata a forbice d'accoglienza e la scala intema a spirale, che prelude al Barocco borrominiano. Oppure quella solida sequenza di eleganze distese che è Villa Giulia a Roma col suo ninfeo (per il suo Papa protettore Giulio III, quello nepotista dei ritratti di Tiziano) oppure Sant'Anna dei Palafrenieri al Vaticano, prima chiesa ovale di Roma, e molte altre eccentriche invenzioni, per capire che il Vignola era un inventore estroso ed immaginoso, ma legato anche ad una sohda influenza classica (facciate segnate da paraste, piante poligonali con coperture a cupola, oppure chiese ad aula unica, con cappelle connesse voltate a botte) per giungere al sontuoso progetto, ahimè non concluso, del possente Palazzo Farnese a Piacenza, destinato a Mai^herita d'Austria, figlia naturale di Carlo V. Che è un prodigio di forza e di sprezzatura in muratura. Certo, non tutto viene portato a termine, o ci permane (vedi Chiesa del Gesù): più a causa però delle vicissitudini politiche, che non della sua anima irrequieta, com'era costume all'epoca, con gli artefici manieristi. Lui era invece posato e operoso, lo dimostrano qui anche i raffinati ritrattini a sanguigna del Bertqja o di Federico Zuccari, che lo avrebbe poi trasfigurato negli affreschi di Caprarola in un San Giacomo, viandante stabile, tra vaporosità veronesiane. Anche se il Vasari, che spesso si attribuisce invenzioni del rivale o si pavoneggia d'aver contribuito alla sua fortuna, spesso maligna. Per esempio d'aver sostituito Michelangelo alla fabbrica di San Pietro senza grande costrutto, o d'esser stato ben sette anni a Bologna per risolvere la ferale faccenda della facciata di San Petronio, senza nulla ottenere. Che però riconosce esser opera «della quale non fu mai fatta né la più utile né la mighore». Certo l'immaginario del Vignola era vario e tormentato: giovane, orfano di nobile familia decaduta (e con «madre tedesca», il che forse non é trascurabile) se ne viene a Bologna per imparare la pittura, ma capisce di non esser dotato. È un cultore della prospettiva nato, e traduce la sua passione nel fornire di disegni preparatori i grandi maestri degli intagli lignei. Peccato non sia arrivata da New York la luminosa formella di Fra Damiano da Bergamo, in cui fiorisce questa zampillante passione del costruire puro di Barozzi. Poi, quando passa da Bologna il Primaticcio, che é a Fontainebleau alla corte di Francesco I (ed é presente qui con un magistrale autoritratto) lo segue, probabilmente a tracciare prospettive nei suoi affreschi, con la scusa che dovrà perfezionare le copie bronzee delle sculture del Belvedere. E la mostra é affascinante anche per questo, perché tra disegni, dipinti, monete e documenti, ricostruisce la vita avventurosa di questo principe dell'architettura, il cui genio polimorfo sembra come esser stato offuscato dai crudi rovesci della Storia. Jacopo Barozzi da Vignola. Vignola (Mo). Palazzo Boncompagni Orario10-12,15,30-18 Chiuso il lunedi. Fino al 7 luglio PROGETTI. PLASTICI E DISEGNI CELEBRANO IL GENIO SFORTUNATO D'UN CULTORE DELL'ORDINE CLASSICO NEL CUORE VORTICOSO DELLA POETICA MANIERISTA Particolare dello scalone di Palazzo Boncompagni LA MOSTRA DELLA SETTIMANA Marco Vallora /'