Barak: il Nobel Arafat ha mentito al mondo

Barak: il Nobel Arafat ha mentito al mondo L'EX PRIMO MINISTRO ISRAELIANO CHE A CAMP DAVID ARRIVO' A UN PASSO DALL'ACCÒRDO Barak: il Nobel Arafat ha mentito al mondo «Gli avevamo offerto uno Stato indipendente con il 90o7o dei Territori Lui ruppe il negoziato voluto da Clinton e scatenò il terrorismo suicida» intervista Fiamma Nirenstein TEL AVIV LI ULTIMA immagine famosa è quella che lo fotografa di ritorno da Camp David, con le lacrime agli occhi, con il no di Arafat in tasca. Ehud Barak invece adesso ha un aspetto concentrato, attivo: è nell'attualità di questo scontro. Non ha l'aria di un ex primo ministro battuto da Arafat, battuto da Sharon, battuto dal pubblico, ma piuttosto quella di chi ha imparato bene la lezione della storia, e ha intenzione di trasmetterla a piena voce a tutti. Nel suo ufficio di Tel Aviv ci consegna in esclusiva oltre alla sua verità sulla guerra, anche un autentico programma pohtico che induce a pensare che prima o poi lo vedremo di nuovo inseguire l'antico sogno che si infranse a Camp David; essere un nuovo Ben Gurion, il fondatore di un Israele dell'era della pace. Com'è questa guerra, signor Barak? Crudele? Inutile? Giusta? Eccessiva? Ben condotta? «Di ogni guerra, nei decenni, si può dire che sia inutile. Questa è una guerra obbligata, impossibile per noi da evitare: Arafat l'ha iniziata, noi non abbiamo avuto nessun'altra scelta se non rispondere alla mostruosa ondata dì terrorismo suicida». Lei quindi, fosse al posto di Sharon, farebbe né più né meno quello che sta facendo Sharon? «Ognuno è sé stesso. Io avrei in mente tre punti: il primo è combattere contro il terrorismo in modo forse ancora più duro di quello che si fa oggi, finché non fossi sicuro di averlo almeno ridotto ai minimi termini. Al secondo posto, però, terrei sempre aperta la porta di una trattativa secondo i principi di Camp David». E come? «Intanto, awierei la costruzione di una barriera che in imo o due anni ci separasse gli uni dall'altri secondo questa idea: da una parte Israele e il 12-13% del West Bank che contiene circa l'SO'/o dei coloni, smantellando via via gli altri insediamenti isolati». Lei annetterebbe quel 130Zo? «No, resterebbe aperto a negoziati. Il negoziato è la dimensione chiave per porgere ai palestinesi, e anche a noi stessi, la speranza». Crede che la sinistra si potrebbe ricostruire intorno a una proposta così moderata? «La sinistra è cambiata: non aspetta più un angelo salvatore, né che Israele diventi il Benelux. E anche la destra può approvare la divisione: anche chi non teme il problema demografico, sa che non arrivano da noi terroristi iracheni o siriani perché siamo distanti. Invece israeliani e palestinesi sono gli uni dentro gh altri». Torniamo alla guerra: lei è un ex capo di Stato maggiore, approva il comportamento dell'esercito? «Io sono per estirpare il terrorismo, ma con un'estrema attenzione a non colpire i civili». E' proprio quello che il mondo vi rimprovera: colpirei civili. «Qualunque altro esercito sarebbe più duro e aggressivo de! nostro, qui i terroristi sono mescolati alla popolazione civile. Non toccare i civili, comportarci eticamente rimane però fondamentale: abbiamo potuto godere dei risultati delle guerre del '48 e del '67 perché ci sentivamo dalla parte giusta moralmente, eravamo attaccati e ab¬ biamo facilmente fatto capire al mondo le nostre ragioni. In Libano e poi con la seconda Intifada, abbiamo vinto, ma poiché avevamo perduto il senso di un primato morale, la nostra società, la nostra storia stessa non se ne è giovata. Adesso dobbiamo conservare il nostro standard morale, perché si capisca che mentre noi cerchiamo di ridurre al minimo le perdite del nemico, il nemico volontariamente cerca di uccidere il maggior numero possibile di innocenti». Arafat sostiene che l'ondata di violenza nasce dall'occupazione israeliana. «Posso testimoniare che non vi è in questo nessuna verità: a Camp David egli ha ricevuto da noi, con la garanzia definitiva di Clinton, l'offerta di uno Stato indipendente demilitarizzato con più del 900Zo dei territori, una parte di Gerusalemme, il diritto al ritomo dei profughi sul suolo palestinese, l'impegno a un ingente aiuto economico. Ma Arafat rifiutò persino di continuare il negoziato, facendo infuriare Clinton. Ruppe, tornò a casa, lanciò un attacco violento. Nei ristoranti, sugh autobus, nelle strade hanno cominciato a esser deliberatamente uccisi donne e bambini. E' nata qui la strategia del terrorismo suicida, qui sono state cambiate tutte le regole del gioco, e se si accetta anche solo un po' questo terrore, non solo Israele, ma anche voi, saremo destinati a pagare un prezzo esorbitante. La nostra guerra è anche nel vostro interesse». Signor Barak, si dice che la vostra offerta a Campo David non era vera, che lei avrebbe perso alle elezioni e che le proposte erano una farsa. «Questi sono bla bla senza fondamento. Avrei senz'altro potuto dargli tutto quello che avevo promesso: quando la trattativa aveva successo, il VO1^ degli israeliani erano favorevoli alla pace. I sondaggi non contano: il popolo avrebbe certamente votato per la pace. se Arafat non avesse tradito qualsiasi aspettativa. Il pubblico israeliano è mentalmente sano: se c'è disponibilità a parlare, si va avanti; ma se soffre stragi, perde la fiducia, cambia candidato. Avrei vinto le elezioni se Arafat non avesse mentito». Mentito? «Mentito in ogni senso: prese il premio Nobel per la Pace per un'intenzione che non aveva; quando discutevamo la mappa del suo Stato, cominciò a parlare di Banthustan, mentre sarebbe risultato contiguo per il 900/*). Non fece vedere le mappe al suo popolo, e lo indusse a pensare a un inganno». Come mai rifiutò, se andava tutto bene? «Perché era fondamentalmente diversa l'interpretazione della reciproca offerta. Noi intendevamo: due Paesi fianco a fianco, ognuno nei suoi confini. Arafat aveva una visione diversa: vedeva la Palestina, lo stato dei Palestinesi, accanto a uno Stato in balia della democrazia e della demografia. Si era immaginato di potere ottenere nella trattativa che il futuro restasse tutto aperto così da puntare a uno Stato forse binazionale, poi a uno stato che fosse appendice di quello palestinese, e infine palestinese. Insomma, due Stati accanto, di cui uno presto sparito». Il mondo è convinto di due cose: che la guerra infligga ad Arafat grande sofferenza e lo metta a rischio insieme al suo popolo, e che comunque lui non sia in grado di controllare il terrorismo. «Questo secondo punto è ridicolo: Arafat è un grande attore, una volta proposi a Peres di dire alla commissione del Premio Nobel di scambiarglielo con un .Premio Oscar. La sua apparenza fragile e anziana nascondono una grande forza, una effettiva presa su tutte le organizzazioni, i documenti provano che le operazioni terroriste di Fatah nelle sue varie ramificazioni sono a suo libro paga, le altre sono sotto la sua benedizione». C'è tanta disapprovazione verso Sharon da creare addirittura un'ondata di antisemitismo in Europa. «Io credo che la gente di buona volontà capirà presto». E Sharon? Vuole Arafat morto? Non lancia l'esercito in un'operazione sconsiderata di occupazione? «Sharon disse molto prima di essere eletto che era pronto a concessioni dolorose», i Lei ci crede? «Sì. Ma quando gli si chiede di svelarle, lui dice: Barak prima di me le ha esposte tutte e guardate cosa ne ha ricavato». Le sembra che oltre all'opzione militare Sharon abbia in mente altri piani strategici? «Vedo alcuni segnali, il ripetere che ci vuole una zona cuscinetto, il continuo riferimento a un cesate il fuoco e alla possibilità di tornare a trattare». Trattare con Arafat? A Bush non pare più realistico, figuriamoci a Sharon. E lei lo ritiene possibile? «L'uomo, si comporta come un terrorista, si atteggia a terrorista, parla da terrorista, è stato sempre un terrorista, forse dunque è un terrorista. E tuttavia non mi formalizzerei: se è lui che la storia ci presenta, che sia ancora Arafat». ^j^ Questa è "™ una guerra obbligata, impossibile da evitare: il capo dell'Anp l'ha iniziata Noi non abbiamo avuto nessun'altra scelta che rispondere. 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