«In Palestina un muro e non i carri armati»

«In Palestina un muro e non i carri armati» SHLOWIO AVINERl, EX DmETTORE GENERALE DEL MINISTERO DEGLI ESTERI DI ISRAELE «In Palestina un muro e non i carri armati» Su «Global» una proposta del diplomatico israeliano: occorre chiudere le frontiere e ritirare le truppe, la pace verrà dopo analisi Shlomo Avineri ALTRO che processo di pace. Il grande obiettivo di raggiungere un accordo duraturo tra Israele e i palestinesi è stato oscurato dalle enormi difficoltà per negoziare un semplice cessate-il-fuoco. Non si riesce nemmeno a immaginare in che modo - dopo i fallimenti dei negoziati di Camp David e di Taba - si possa ricominciare a discutere. Per capire quanto grande sia stato quel fallimento, ricordiamo che cosa era pronto a offrire il governo israeliano di allora, guidato da Ehud Barak: 1) via hbera alla proclamazione dello Stato palestinese; 2) ritiro di Israele dal 97"?*) dei territori occupati nel 1967; 3) smantellamento di 25 insediamenti israeliani con l'evacuazione di circa 25.000 coloni; 4) contiguità piena di tutto il territorio palestinese; 5) spartizione di Gerusalemme; 6) controllo congiunto sul Monte del Tempio; 7) rientro di un numero limitato di rifugiati palestinesi fuggiti durante la guerra del 1948. Eppure in quell'occasione, tra la metà del 2000 e il gennaio del 2001, Yasser Arafat ha rifiutato le offerte di Barak, controproponendo che Israele accettasse in linea di principio il rientro di 3 mihoni e 700 mila persone, tutti i rifugiati del 1948: cosa che a »ran parte degli israeliani semjra un rifiuto della legittimità stessa dello Stato di Israele. La vittoria elettorale senza precedenti di Ariel Sharon è dovuta all'impressione che Arafat ha prodotto su una larga maggioranza di israehani; che nulla lo soddisferebbe salvo il pratico dissolvimento di Israele. Da allora in poi, la spirale della violenza ha enormemente allargato la distanza tra le due parti. Il fallimento di Camp David e di Taba è un evento che segna un'epoca; ricordiamo che all'inizio del processo di pace aperto a Oslo nel 1993 il 700Zo degli israehani era favorevole a raggiungere un compromesso. Oggi gli israeliani che vorrebbero por fine all'occupazione dei territori palestinesi e. favorire un allentamento delle tensioni hanno in mano solo una carta .'11 disimpegno unilaterale. Ha molti limiti, ma può darsi che sia la meno peggiore tra le soluzioni possibili. Si tratterebbe di ritirare le truppe israeliane da gran parte della Cisgiordania e da Gaza, più o meno secondo le linee di demarcazione proposte da Barak a Camp David; di smantellare una trentina di insediamenti israeliani isolati, offrendo ai 30.000 sfollati una abita¬ zione nel territorio di Israele; di riconoscere de facto l'indipendenza della Palestina; di lasciare sotto controllo musulmano la Moschea di Omar sul Monte del Tempio; di erigere una efficace linea di separazione tra le due comunità, interrompendo il pendolarismo dei lavoratori palestinesi in territorio israeliano (in modo da rendere molto difficile l'ingresso di guerrigheri e di attentatori suicidi). La questione dei lavoratori palestinesi è ovviamente la più complicata. Perderebbero l'impiego. Però si può dire che Israele ha responsabilità del loro benessere economico solo finché occupa la loro terra. Una situazione come l'attuale, in cui decine di mighaia di palestinesi poco pagati e privi di organizzazione sindacale vanno ogni giorno a lavorare in Israele, non è né stabile né propizia a una rìconciliazipne tra i due popoli. Casoriiai, ricorda- i «Baìitustan» (territori ad autogoverno dei neri) creati dal governo sudafricano di soli bianchi nell'epoca dell'Apartheid. Il disimpegno (Unilaterale è certo un'idea nata dalla disperazione; eppure sta trovando molti appoggi in Israele, da diverse parti politiche. A sinistra ne sono fautori, sia pure in modi leggermente differenti, Barak e l'ex ministro degli Esteri Shlomo Ben-Ami, come pure una delle più convinte «colombe» del partito laburista, Haim Ramon. Al centro, la appoggia Dan Meridor, ora-membro del governo Sharon. A destra, Michael Eitan, imo dei «falchi» del gruppo parlamentare,"del Likud, il maggior partito di destra. L'ex capo del Servizio di sicurezza, l'ammiraglio Ami Ayalon, ha fondato un movimento per battersi in favore di questa soluzione. Il disimpegno unilaterale non risolve il conflitto. Ma, come lo storico fallimento di Camp David ha dimostrato, attese troppo grandi che vengono deluse attizzano la violen¬ za. Guardiamo a un esempio non lontano, quello di Cipro, che da quasi trent'anni è divisa dalla «linea verde» tra le due •"comunità,-greca e torca, senza nessun accordo ufficiale ma anche senza significativi episo- ; di di violenza da molto tempo a questa parte. Forse dividere con un rigido confine israeliani e palestinesi può essere la non-soluzione meno peggiore in un mondo dove le soluzioni sono sfuggite anche ai diplomatici più abili. Più in là, quando Arafat scomparirà dalla scena e un elettorato israeliano rasserenato eleggerà un leader più moderato si potrà pensare a nuovi negoziati. H^irn. Il fallimento "" degli ultimi colloqui di Camp David e di Taba è un evento1 che segna un'epoca Oggi la proposta di un disimpegno senza trattative ha molti limiti ma è l'unica praticabile 99 Si tratterebbe di richiamare le truppe da gran parte déll^Cisgiordania 2 b e di Gaza, di smantellare certi insediamenti e così riconoscere l'indipendenza «de facto» della Palestina 99 f&Ém Separare le due ""comunità solleverebbe il problema déliavà^tòri palestinési Ma neppurel'attuaie situazione di mancanza di garanzie sindacali e sottoretribuzione e propizia a una riconciliazione 99 Militari israeliani controllano la situazione dalla torretta di un carro armato a Tulkarem, ladttà.occupata martedì notte nell'ambito dell'operazione «Muro di difesa»