Domani gli Usa saranno meno forti

Domani gli Usa saranno meno forti Domani gli Usa saranno meno forti A Washington molti credono che la globalizzazione giochi a loro favore. E' il contrario Al momento, gli Stati Uniti svolgono un ruolo dominante in tutti gli aspetti del processo di globalizzazione, che copre il mondo di una rete sempre più intricata di interdipendenze. Ma, per l'appunto, una rete è solo la connessione di una serie di punti. E le reti possono assumere un sorprendente numero di strutture e di forme; possono variare enormemente nel grado di centralizzazione e nella complessità: una tela di ragno, una rete elettrica, un sistema di trasporti urbani, Internet sono i primi esempi che vengono in mente. In genere si ritiene che chi sta al centro della rete abbia più potere; ovvero che il perno della ruota ne controlli i raggi. Così si tende a vedere la globalizzazione (o il globalismo, termine che preferisco) come un sistema che fa perno sugli Stati Uniti ed estende i suoi raggi in tutte le parti del mondo. C'è del vero in questa rappresentazione schematica. Gli Stati Uniti sono al centro sotto quattro aspetti: l'economia, perché hanno il più ampio mercato dei capitali; la forza militare, perché sono l'unico paese in grado di intervenire in ogni parte del pianeta; la mentalità e le abitudini, perché sono il centro della cultura di massa; l'ambiente, perché inquinano più di tutti gli altri paesi, e senza il loro consenso ogni misura di salvaguardia è impossibile. I fautori di una scelta unilaterale ed egemonica nella politica americana sono molto attratti da questo tipo di rappresentazioni della realtà. Ma occorre stare attenti, perché sono vere fino a un certo punto. E' riduttivo immaginare un impero in cui gli altri paesi quanto più sono piccoli tanto più sono obbligati a sottomettersi. In primo luogo, la struttura delle interdipendenze mondiali varia a seconda dei casi. Solo in campo militare l'immagine della ruota e dei raggi si avvicina davvero alla realtà; e anche lì, occorre tenere conto che molti Stati hanno a che fare assai più con la prepotenza dei propri vicini che con lo strapotere degli Stati Uniti; cosicché alcuni di loro sono indotti a invocare la forza degli Stati Uniti per ristabilire gli equilibri. Come esempio concreto, i militari americani sono benvenuti in gran parte dell'Asia orientale come contrappeso alla crescente forza della Cina. Già nel campo dell'economia l'immagine della ruota e dei raggi non è appropriata, perché i flussi del commercio mondiale hanno altri due poli alternativi di grande importanza, Europa e Giappone. La politica dell'ambiente ha centri d'attenzione ben lontani dagli Stati Uniti, come la tutela delle specie in pericolo in Africa o della foresta pluviale in Brasile; i dissensi sulle emissioni di anidride carbonica, con la mancata ratifica dei protocolli di Kyoto, fanno sì che in gran parte del mondo la politica degli Usa venga percepita come una minaccia collettiva. In secondo luogo, l'immagine radiale della globalizzazione non rende l'idea delle reciproche vulnerabilità. Anche in campo militare, gli Usa non sono fuori della portata di qualunque attacco, come hanno dolorosamente appreso l'il settembre del 2001. Mentre l'essere la più forte economia del mondo non ripara dal contagio dei fenomeni che si producono nei mercati finanziari mondiali, come le crisi del 1997 hanno dimostrato. In campo culturale, è vero che la cultura americana dilaga nel mondo, ma è anche vero che gli Stati Uniti importano idee e accolgono immigranti in misura maggiore di quasi tutti gli altri paesi. Quanto all'ambiente, tutti i paesi sono vulnerabili alle scelte di tutti gli altri; l"'effetto serra" non dipende solo dall'enorme consumo di fonti energetiche che si fa negli Usa, ma anche dalle centrali elettriche a carbone di cui è piena la Cina. In terzo luogo, l'immagine del mozzo e dei raggi non raffigura la complessità delle connessioni. Sul mercato dei CHE CI PORTA LA GLOBALIZZAZIONE? Sì NO 60 50 40 30 20 10 P9U POVERTÀ PIÙ LIBERTA Joseph Nye è preside drilli .Mm I'. Kennedy Seluiol of Covcrnmcnl iiirihiiveniilii ili Harvard. Tradiizlohe di lìilrio Pasquali

Persone citate: Joseph Nye, Kennedy Seluiol