Disubbidire per non uccidere di Oreste Del Buono

Disubbidire per non uccidere LUOGHI COMUNI Personaggi e memorie dell'Unità d'Italia di Oreste del Buono e Giorgio Boatti (gboatti@venus.it) Disubbidire per non uccidere La lettera di don Milani ai cappellani dell'esercito e una ricerca di Rochat sulle sentenze dei tribunali militari SCENDETE nel pratico. Diteci esattamente cosa avete insegnato ai soldati? L'obbedienza ad ogni costo? E se l'ordine era U bombardamento dei civili, un'azione di rappresaglia su un villaggio inerme i processi sommari per semplici sospetti, le decimazioni? Eppure queste cose e molte altre sono U pane quotidiano di ogni guerra". Don Milani, naturalmente, nella sua lettera ai cappellani militari della primavera del 1965, che così prosegue: "Quando ve ne sono capitate davanti agli occhi o avete mentito o avete taciuto. Non potete non pronunciarvi suUa storia di ieri se volete essere, come dovete essere, le guide morali dei nostri soldati". A metà degli anni Sessanta, un attimo prima dei refoli antiautoritari deUa ribelhone studentesca del '68, c'è chi - prete esUiato nell'impervia pieve di Sant'Andrea di Barbiana - ha già molto, se non tutto, compreso. E se Don MUani riesce a scrutare U suo Paese e la sua storia recente con tanta diretta perspicacia - e cogliervi le costanti che punteggiano ogni guerra, ogni istituzione totale, ogni vecchio o nuovo snodarsi del potere - non è per frequentazioni con dotte ricostruzioni di storiografi o raffinate analisi di politologi. E' piuttosto la vitale e cristallina attenzione con cui in ogni passo della sua vita - travalicando le apparenze del mondo, gli orpelli deUa storia e deUe convenzioni intreccia i nodi deUa più irriducibile spiritualità con l'insopprimibUe tensione verso gli altri. Accostamento che fa, della sua vita, l'icona - non ancora pienamente compresa, neppure nei nostri anni - di una severa, matura e contraddittoria (vista che è pervasa anche di ispida tenerezza) immagine di paternità dispiegata verso gli altri. Soprattutto i più indifesi. Da questo punto di vista chi si occupa del crinale tra i Sessanta e i Settanta neUa nostra storia civUe dovrà, prima o poi, mettere a fuoco la bruciante diagonalità che oppone U "paterno" Don MUani al "fraterno" Pier Paolo Pasolini, altra opposta e carismatica icona di quegli anni di transito. E a confermare uno scorcio di questa inesplorata "diagonabilità" provvede una pagina deUa documentatissima biografia di Don Milani scritta da Maurizio Di Giacomo e recentemente rieditata. Qui si rammenta appunto come U priore di Barbiana, ormai morente, non rinunci ad ascoltare la registrazione di un intervento tenuto qualche tempo prima da Pasolini nel corso di un pubblico dibattito Dot già-e Doh 3mese. là l'inteUettuale friulao attacca duramente, soprato non condividendo l'idea - di MUani - che si possa privUe"la cultura come terreno di battaglia". Via - lasciando l'opposizione MUani-Pasolini a chi se ne voifra occupare - interessa qui tor lare aUa vicenda deUa lettera appeUani militari. Come è noto presa di posizione esporrà Don MUani agli attacchi virulenti deUa moderata italiana e lo durra assieme a Luca Pavolini, direttore responsabUe di Rinasciè U settimanale del PCI, infatti, ibblicare lo scritto L'obbedienlon è più una virtù - davanti ai " ;i, accusato, da una denuncia fex-combattenti, di apologia dista npa cor dir ta- ap za giujdic di reato Le affermazioni di Don MUani sul comportamento degli eserciti in guerra, e dunque anche di combattenti del nostro esercito nel corso deU'ultimo conflitto mondiale, infrangono bolse retoriche. Accendono memorie che in quei primi anni Sessanta quasi tutti sembrano intenzionati a rimuovere. A tanti anni di distanza è consolante vedere come queU'elusione non sia riuscita, sconfitta daU'impegno di alcuni coraggiosi e caparbi storici. Ne è emblematica prova U volume che Giorgio Rochat, decano deUa storiografia militare italiana, ha dedicato ad una prima ricognizione tra le sentenze emanate dai nostri tribunali militari nel corso del 1940-43. Sono duecento sentenze, inquadrate da un' ampia introduzione densa di Uluminanti intuizioni e di ipotesi di lavoro che attendono altre esaustive ricerche. Tuttavia queste sentenze raccolte ora nel volume di Rochat, se fossero venute aUa luce al tempo deUa quereUe tra Don MUani e i cappellani militari, avrebbero sottolineato la veridicità delle affermazioni del priore di Barbiana. Svariati e diversissimi e dislocati su ogni fronte gli episodi che passano al vaglio dei tribunali militari. Si va daUe insubordinazioni verso gli ufficiali aUe diserzioni, daUe sottrazioni di cibo da dividere con i propri commUitoni o da portare a donne deUe zone occupate agli atti di autolesionismo. DaUe brutalità verso popolazioni indifese a vicende di un'insensatezza surreale. Come queUa che vede come protagonista S.R., classe 1915, appartenente "di fatto" al 13" Reggimento fanteria. Già perché S.R. fingendosi caporal maggiore "si imbarcava clandestinamente su un bastimento diretto in Grecia e qui per cinque mesi prestava regolare servizio a Castoria". Poi assume un nuovo nome e parte - sempre mai richiesto - per l'Albania, dove prende servizio nel 4" Battaglione Guardia di Frontiera di Corda e qui, avendo rubato deUe sigarette viene arrestato. Risultando al tempo stesso "volontario di guerra" e "renitente". Un rebus da romanzare. Di ben altro tragico tenore la vicenda gravissima - e troppo spesso dimenticata - deUa criminale condanna aUa fucUazione, a Sebenico, di 29 soldati itahani (2 ufficiali, 23 alpini, 3 carabinieri) accusati dal tribunale del XVIII corpo d'annata - dopo una superficiale, sbrigativa inchiesta - di resa in campo aperto davanti al nemico. Essendo stati sorpresi mentre presidiano l'isola di Brac, davanti a Spalato, da un attacco di partigiani jugoslavi. L'accusa è assolutamente ingiusta e colpisce combattenti dei quali successivamente, con sentenza del 24 aprile 1953, U Tribunale MUitare di Bari ha riconosciuto l'innocenza. Ma i poveri ragazzi di Cuneo, di Asti, di Novara, di Torino - solo due dei condannati non sono piemontesi ma provengono da Lucca e Piacenza - non ci sono più. Caduti l'S agosto 1943 sotto U piombo del plotone di esecuzione che ha eseguito l'assurdo verdetto di un generale che voleva dare un esempio. No, l'obbedienza - come spiegava don MUani - non è sempre, non è più, una virtù. Don Lorenzo Milani scrisse "L'obbedienza non è più una virtù" nel 1965

Luoghi citati: Albania, Asti, Barbiana, Cuneo, Grecia, Lucca, Novara, Piacenza, Spalato, Torino