«Per la lega Arafat rimane un grande pericolo»

«Per la lega Arafat rimane un grande pericolo» DIRETTORE DEL CENTRO DI STUDI STRATEGICI DELL'UNIVERSITÀ' DI BAR ILAN INTITOLATO A BEGIN E SADAT «Per la lega Arafat rimane un grande pericolo» 11 professor I nbar: preoccupano le sue sobillazioni e l'ondata di terrorismo suicida intervista GERUSALEMME TUTTALTRO che stupito: così il professor Efraim Inbar, direttore del Centro Besa (dalle iniziali dì Begin e Sadat) di Studi Strategici dell'Università dì Bar Ilan. Metà degli Stati ambi (dieci su ventidue) non hanno mandato delegazioni dì massimo livello; il discorso di Arafat sul teleschermo è stato cassato all'ultimo momento e ì palestinesi sono usciti dì sala per poi rientrar¬ vi; la proposta del principe saudita è uscita ìn tono minore, ì soliti toni sovreccitati si sono mescolati al senso della stanchezza del conflitto. Professore, è sorpreso che un summit di solidarietà con Arafat gli abbia invece addirittura impedito di parlare al pubblico dei delegati? «Per niente: l'antipatia della maggior parte del mondo arabo per il leader palestinese è nota. Lo considerano un pericolo pubblico. Finché si tratta di lodarlo ìn pubblico, di compiangere la sofferenza del popolo palestinese, va tutto bene. Ma è considerato un terribile disturbatore, un estremista, oppure un opportunista». Ma la solidarietà con llntifada èìlleadditutti! «Preoccupano il suo atteggiamento sobillatorio e l'ondata di terrorismo suicida durante questa delicatissima situazione dì guerra americana contro il terrorismo, mentre Zinni tenta disperatamente di ottenere da lui un cessate-il-fuoco e non ci riesce. Questo summit doveva caratterizzarsi agli occhi del mondo per una proposta di pace: non è strano che gli appelli di Arafat, che chiede tutto a tutti e non concede niente a nessuno, non vengano ascoltati volentieri». Ma che interesse avevano i siriani a spingere i loro vassalli libanesi a impedire ad Arafat di rivolgere un pubblico saluto al mondo arabo? «Interpretazioni precise, al momento non possono essercene. Siamo dì fronte a un'arena in cui si svolgono giochi dì potere e dì egemonia molto complessi. E dietro, la minaccia dì Nasrallah e degli altri integralisti islamici, più forte del solito. Mubarak non è andato, sapendo cosi dì sminuire l'incontro: non a caso i giordani, della stessa linea moderatalo hanno seguito a ruota. Bashar Assad ha fatto la solita parte del duro e i libanesi gh sono andati dietro: ha usato il summit come un podio e ha ridimensionato la proposta di Abdallah. Non ha simpatìa per Arafat, specie quando questi cerca l'egemonia». Lei pensa che questo summit abbia un significato più pacifista, che la proposta saudita possa aver e un seguito? . «Sinceramente, non vedo nessuna possibihtà che esca dal carattere che ha sempre avuto; public relations, (jara dì leadership, buoni litoli sui giornali...». Lei è pessimista su qualsiasi possibilità dì un esito positivo del conflitto attuale? «Nel lungo termine, non sono pessimista. Sono paziente: abbiamo visto un paese come l'Egitto, forse quello che storicamente sì è contrapposto più direttamente all'esistenza stessa di Israele, firmare per primo ia pace. Lo stesso ha fatto poi la Giordania. La verità è che tutto insieme il mondo arabo, poiché è preso dalle sue convulsioni inteme, non addiverrà mai a una pace. Solo un'intesa diretta come quella che nacque fra Begin e Sadat; al dì là di ogni summit collettivo, può ottenerla». Lei pensa che Israele abbia fatto bene a non lasciare andare Arafat? «Le cose non stanno così: Sharon ha detto che Arafat poteva partire e tornare se avesse dichiarato il cessate il fuoco e non vi fosse stato un grande attentato. Bastava che si dichiarasse e sarebbe subito partito. E visto che non lo ha fatto, e non bisogna dimenticare che Zinni è qui solo per ottenere queste tre parole, "cessate il fuoco", perchè accettare qualunque cosa senza richièdere ad Arafat un gesto di scambio? Era la tecnica di Oslo, e non ha funzionato».

Luoghi citati: Bar Ilan, Egitto, Gerusalemme, Giordania, Israele, Oslo