La sfida himalayana di Enrico Camanni

La sfida himalayana La sfida himalayana IL documentario di spedizione ha seguito le fortune e le disgrazie deh'alpinismo extraeuropeo, in Darticolare di queh o himalayano. Quando nel 1909 il fotografo Vittorio Sella documentò con una macchina da presa il viaggio esplorativo in Karakorum del Duca degli Abruzzi, si trattò, appunto, di pura documentazione, con immagini che oggi ci appaiono di qualità sorprendente, ma che allora erano destinate a far breccia soprattutto in un pubblico di amatori e studiosi. Il salto di qualità viene nel secondo dopoguerra, con le grandi spedizioni nazionali alle cime più alte della terra. I filmati che accompagnano le varie conquiste («Victoire sur l'Annapuma» di Marcel Ichac, «Nanga Parbat» di Hans Hertl, «Itaha K2» di Marcello Baldi e Mario Fantin), al di là di ogni valore artistico e documentario, sono dei trionfalistici spot promozionali di quella nazione - Francia, Austria, Italia - che per prima è riuscita a sventolare la sua bandiera sulla cima di un ottomila. Oggi i commenti, le musiche e l'enfatizzazione degli avvenimenti suonano più come orchestrazioni di stato che testimonianze alpinistiche. I toni cambiano completamente dopo la benefica ondata di rinnovamento degli Anni Settanta, che rivoluziona il mondo dell'alpinismo e ne muta i riferimenti espressivi. Il regi- La shimal fida ayana sta francese Bernard Germain, nel 1981, presenta «Un Pie pour Lenin», che non è affatto la celebrazione della sua ascensione alla cima simbolo dell'Unione Sovietica, ma una raffinata e impietosa denuncia del conformismo comunista fino in vetta ai settemila metri. Cinque anni dopo, con il bellissimo film «Cumbre», lo svizzero Fulvio Mariani racconta la prima scalata solitaria del Cerro Torre senza un filo di retorica: Marco Pedrini, il protagonista, è un ragazzo come tutti gh altri che per un giorno si è permesso di dare un'occhiata sopra le nuvole. Un ingrediente ricorrente nei film di spedizione, oltre alle immancabili e noiose marce di avvicinamento (tutti i registi sentono l'obbligo di soffermarsi su Kathmandu, i mercati, i villaggi, la vita degli sherpa, con scampoli di antropologia spicciola), è la tragedia. Un po' perché fa parte del copione, un po' perché in Himalaya si muore sul serio. Il risultato cinematograficamente più apprezzabile lo raggiunge il regista austriaco Kurt Diemberger nel 1989 con «K2, sogno e destino», documento realistico e sconvolgente di una deUe più terribili tragedie degli ottomila. Diemberger è al contempo protagonista e testimone. La sua compagna Julie Tullis muore a pochi passi dalla telecamera. Enrico Camanni

Persone citate: Bernard Germain, Diemberger, Fulvio Mariani, Hans Hertl, Kurt Diemberger, Lenin, Marcello Baldi, Mario Fantin, Pedrini, Vittorio Sella

Luoghi citati: Austria, Francia, Italia, Unione Sovietica