LAZAR In Italia non c'è il fascismo di Cesare Martinetti

LAZAR In Italia non c'è il fascismo LAZAR In Italia non c'è il fascismo intervista Cesare Martinetti corrispondente da PARIGI B ERLUSCONISMO non è fascismo, dice Marc Lazar, ma qualcosa di nuovo, di diverso e non solo italiano. Lo specifico itahano è oggi il rischio di «opposti radicahsmi», un clima nel quale si possono inserire i terroristi, com'è avvenuto con l'omicidio di Marco Biagi. Italianista, politologo, direttore de l'Ecole doctorale di Sciences-Politiques a Parigi, Lazar ci spiega i sentimenti degli intellettuali francesi a poche ore dall'apertura del Salone del libro, nel quale l'Italia è ospite d'onore, ma anche grande imputata. ' Ptoféssor Lazar, che cos'è questo «mal à l'Italie» che ha oggi la Francia? Perché gli intellettuali francesi hanno l'ossessione dell'Italia? K «Perché ne fanno un capro espiatorio o, se vuole, uno spaventapasseri di tutte le loro paure o ossessioni: il fascismo vecchio e nuovo, il potere della televisione...». Ma la pensano tutti così? «No, infatti la cosa stupefacente è che i veri specialisti di Italia, in Francia, non sono affatto su questa linea ma cercano di capire e aspettano ad esprimersi». Mentre gli altri parlano. «Soprattutto giornalisti e artisti». Gli esperti di Italia tacciono per paura di andare contro un'opinione dominante? «No, ma quasi nessuno li intervista. Se imo dice che l'Italia è una cosa complicata, che non si può semplificare e se provi a sfumare nessuno ascolta. I giornali hanno bisogno di opinioni forti». Lei pensa che l'Italia venga rappresentata in modo sbagliato all'opinione pubblica francese? «Sì. Ma è sempre stato così. Per i francesi l'Italia è passione, desiderio. Conosciamo benissimo la letteratura, l'arte, il cinema, la cultura. Ma anche la moda, la società, gli stili di vita. Per gli intellettuali parigini di St-Germain passare le vacanze in Toscana è un mito». Cos'è che non funziona? «La realtà italiana è sempre stata vista in modo deformato, forse per un eccesso di passione». Sta pensando alla politica? «Certo. Qui per esempio c'è sempre stato il mito del buon pei. Il partito comunista era amato anche dagli intellettuali che in Francia erano anticomunisti. E il pei fu considerato "democratico" ben prima che lo diventasse davvero, fin dal '56». Vuol dire che i francesi hanno sempre avuto una visione mitica della politica italiana? «Sì, negli anni 70 c'era il mito dell'unità sindacale, della forza dei lavoratori italiani che contrattavano col governo e imponevano riforme. Negli anni 90, Mani pulite è stato un modello: ci sono magistrati che sono andati in Italia a studiare il caso. Il giudice Halphen, uno degli inquisitori di Chirac, ha considerato i giudici milanesi un esempio». Non vorrà mica dire che : l'Italia per voi francesi è sempre stato un mito positivo? «No, certo. Sul piano dei rapporti ufficiali e istituzionali c'è stata anche una "demonizzazione" dell'Italia, un paese considerato non totalmente affidabile, poco serio, corrotto e populista. Avevate anche tutti i cliché negativi». Come se l'Italia sappia esercitare soltanto emozioni forti? «Esatto, da un estremismo all'altro, passione e odio che deriva dalla cattiva conoscenza che i francesi hanno dell'Italia: molti ne parlano, pochi la conoscono». E adesso che mito c'è? «Un mito negativo, il mito di Berlusconi che agli occhi dei francesi è.il resistibile eroe di Brecht, Arturo Ui, è la reahzzazione della profezia di Orwell in 1984)1. Tra gli intellettuali di sinistra? i «No, non c'entra solo de.stra o sinistra. Nel '94 furono i giovani socialisti a manifestare contro Berlusconi, qui a Parigi, per denunciare il rischio di fascismo e di telecrazia con il sostegno di un'ampia parte del centro destra. Lo fecero anche intellettuali come Baudrillard e Paul Virilio. Ma quando poi, due anni dopo, nel '96, le elezioni sono state vinte dal centrosinistra, nessuno ha più detto niente. Ma come non c'era la telecrazia in Italia? Ecco alcuni intellettuali francesi sono così: parlano, parlano e poi si dimenticano». E qui, destra o sinistra non c'entra. Adesso il pensiero dominante, come si è visto nella manifestazione di sabato al teatro Odeon, afferma che in Italia c'è un nuovo fascismo. Lo pensa anche lei? «No. Io penso che Berlusconi ha vinto le elezioni perché ha fatto politica, perché è un attore pieno della vita politica. Dopo la sconfitta del '96 ha ricostruito la sua coalizione, ha rafforzato le alleanze ha imposto i suoi temi nel dibattito politico, ha approfittato degli errori della sinistra e con la Casa della libertà ha fatto una proposta politica che rispondeva alle domande della maggioranza della società italiana». A tutta la società? «In particolare a due parti. A quello che voi chiamate il popolo delle partite Iva e a quella parte di società composta prevalentemente di anziani in cui giocano molto le paure, nei confronti degli stranieri, dell'Europa e che guarda molto la televisione. Un popolo che una volta ha potuto magari anche votare per la sinistra e che oggi vota per Berlusconi». Un'operazione politica di successo? «Una grande operazione politica. E guardi che non era né fatale, né ineluttabile che l'Italia diventasse berlusconiana». Lei pensa che Berlusconi ha conquistato la società e lo Stato? «No, questo è un altro grande errore di prospettiva con cui gli intellettuali francesi guardano l'Italia pensando che ci sia soltanto Berlusconi. Invece lui non è solo, è in un governo di coalizione, deve fare i conti con i suoi alleati. E poi nel paese ci sono ben altri poteri: c'è il presidente della repubblica, ci sono i giornali, i sindacati. Semplificare non aiuta a capire. Grosso modo metà società italiana è con Berlusconi, l'altra metà è contro. Lui è popolare, ma anche molto impopolare». Insomma, lei vede il quadro in movimento? «Sì, con due preoccupazioni rovesciate, quelle della radicalizzazione del governo che appare sempre tentato dall'estremismo, occupare tutti i posti di potere, attaccare il ruolo del sindacato, denigrare l'opposizione e la cultura». E l'altra preoccupazione? «Che in modo speculare si radicalizzino gli oppositori, quelli che non vogliono rassegnarsi a capire e ad accettare il risultato de le elezioni, quelli che criticano in continuazione la sinistra, anche a ragione, ma che in questo modo rischiano di provocare uno scontro permanente e di isolare l'opposizione. E c'è il rischio che gruppi terroristici cerchino di approfittarne, come purtroppo è avvenuto martedì a Bologna». E vista con gli occhi della Francia istituzionale? «Il governo è preoccupato e vuol capire. Intanto non è chiara quale sarà la posizione europea dell'Italia. Certo se la scelta è quella dell'asse con Aznar e Blair, gli interessi sono opposti. Nemmeno Chirac fa campagna elettorale su posizioni come quelle». Nessun politico francese si dichiara dalla parte dì Berlusconi? «No, solo Alain Madelin, che è candidato alle presidenziali per i liberali ed ha posizioni liberiste». Professor Lazar, lei pensa che in Italia ci sia un regime o l'inizio di un regime? Che, come si è detto sabato all'Odeon, sia iniziata la fascistizzazione dell'Italia? «No, secondo me non c'è rischio autoritario, caso mai c'è il rischio opposto: Berlusconi è l'uomo dell'antipolitica, la sua pohtica rappresenta la fine dell'interesse comune, pensa che la democrazia sia il quadro ideale nel quale far prevalere gli interessi privati. Il messaggio che gli ha permesso di vincere le elezioni è il contrario dell'autoritarismo. Lui promette un minimo di regole in modo che ciascuno possa fare affari e arricchirsi». Lei considera Berlusconi un pericolo per la democrazia? «Sì, nella sua politica ci sono rischi di snaturamento e perversione della democrazia: l'uso della politica a fini personali. E' un populismo nuovo, che sa parlare ai poveri e agli abbienti, che a tutti trasmette lo stesso messaggio di libertà o di licenza, di egoismo e individualismo». Lei pensa che Berlusconi sia un caso unico in Europa? «Lui è unico, il malessere, il fenomeno, la patologia, no. E' molto diffusa, è quella che in sintesi chiamiamo rifiuto della politica». Ieri sera s'è aperto il salone del libro con l'Italia invitata d'onore, ma senza alcun ministro del governo Berlusconi. «E questo è un errore, perché se non c'è confronto, tra Francia e Italia si allarga il solco». ^L|bI Non c'è rischio W^ autoritario, ma esiste il pericolo di una perversione della democrazia Berlusconi è l'uomo dell'antipolitica, rappresenta la fine dell'interesse comune: poche regole, in modo che ciascuno jjftgfr possa fare affari jy^ Qj^ Qui da noi ™" c'è stato il mito del buon Pei, partito amato anche dagli intellettuali non comunisti E negli Anni Novanta i magistrati di Mani Pulite sono stati considerati un modello AA da imitare ^^ Manifestanti protestano contro Vittorio Sgarbi e contro il primo ministro Berlusconi, all'inaugurazione del 220 Salone del Libro di Parigi ole doctorale di Sciences-Politiques a Parigi