Le compagne di prigione ora fanno il tifo per lei

Le compagne di prigione ora fanno il tifo per lei FINITO L'ISOLAMENTO IERI HA INCONTRATO I PARENTI Le compagne di prigione ora fanno il tifo per lei «Ha paura e non parla, ma si comporta proprio come una mamma» «Deve aver ricevuto una buona notizia: stringeva un foglio e sorrideva» personaggio Claudio Laugerl e Marco Neirotti TORINO Cf E', in questo blocco D delle Vallette dove da cinque giorni è rinchiusa Anna Maria Franzoni, una zingara straordinaria negli abiti e nel volto scolpito. Poco prima di Natale ha ritirato con dignità commossa il diploma per la bambola che aveva costruito per la beneficenza dell'Unicef. Ora Anna Maria potrà incontrarla nel corridoio e specchiare in lei la sua vita, nomade, seppur diversamente: dalla famiglia patriarcale di Monte Acuto Vallese alleeremo» di Cogne, da qui di nuovo a Monte Acuto, in fuga dalle telecamere, e poi a questa stazione, supercarcere delle Vallette, Torino. L'avevano messa in una cella singola, sottoposta al «piantonamento a vista» disposto dal gip, Fabrizio Gandini, «senza privarla dei conforti che, in questo momento indubbiamente grave per lei, possano comunque alleviarne la pena». La pena l'allevia, appunto, il contatto umano. Quello delle vigila- trici è ammirevole, non è la fredda attenzione a un'incolumità, è un sostegno. Ma un'altra parete si è sgretolata: quella tra lei e il marito Stefano Lorenzi. Ieri pomeriggio, dopo l'inteiTogatorio, sarebbe andato a trovarla (il direttore del carcere, Pietro Buffa, nonha confermato né smentito l'indiscrezione). Stefano sarebbe stato accompagnato da alcuni familiari, ma non si sa se all'incontro abbia preso parte anche il figlio Davide. L'ingresso in carcere dei familiari sarebbe avvenuto su un blindato, per non destare attenzione. A sgretolarsi è anche la parete del rapporto - finora timido e guardingo - con le recluse del blocco D. «Con le altre non parla, perchè ha paura: è intimorita dall'ambiente, per lei nuovo. Ma è una mamma, si comporta proprio da mamma, come tutte le mamme», dicono due donne appena uscite dal carcere dopo un breve periodo di detenzione. Le loro parole dipingono una signora giovane e cortese, che saluta tutti, tranquilla e serena: «Non l'abbiamo mai sentita piangere, oggi deve avere avuto buone notizie perchè leggeva un foglio di carta e sorrideva. E' una persona che si cura molto: la doccia, i panni lava¬ ti». E non avrebbe attirato l'ostilità di tutte le detenute: ci sarebbe chi è disposta a scommettere sull'innocenza. Arma Maria è una delle due detenute che vengono sorvegliate continuamente da un'ispettrice. Nella cella c'è un lettino, im comodino e un tavolo attaccato alla parete. Mangia regolarmente (il menù ieri sera prevedeva riso, prosciutto e verdura) e prende solo un blando sedativo, prescritto dal medico. E' uno strano mondo, una strana sohtudine il carcere di Anna Maria, così abituata ad aspettare Stefano, così certa delle sue figure di riferimento. Legge le lettere, non molte, e tutte con agganci con la famiglia. Fuori di qui, dopo questa seconda giornata di interrogatori, sa benissimo che c'è la stessa distesa di telecamere che l'ha accerchiata nelle altre tappe del suo ultimo nomadismo. Fuori di qui può intuire le auto dei magistrati e dell'avvocato di fiducia, Carlo Federico Grosso, che se ne vanno svelte, quella dei giudici addirittura intercettata e inseguita fino a una barriera autostradale da una troupe tv. Per assurdo da quella caccia non è mai stata al sicuro come in questa palazzina. Lo scriveva il dottor Gandini con un imperativo immaginifico: «Il complesso indiziario a carico della Franzoni è grave, bisogna però evitare l'irreparabile. In particolare non deve essere consentito esporre ulteriormente l'indagata alla curiosità dell'opinione pubblica, non essendo la gogna una pena vigente nel nostro ordinamento». E' al sicuro, dalla gogna. Da che cosa non lo è ancora? Dalle accuse. E lo sa, se tornano a chiederle ragione delle sue parole e dei suoi gesti. Ma nemmeno da una solitudi¬ ne che ora si va stemperando. Si è parlato di ribellione a lei da parte delle altre. Chi è stato in questo braccio e ne ha visto la multietnica sofferenza e voglia di riscatto, può facilmente immaginare la stizza, il risentimento, di chi deve sgomberare perché una donna con un'accusa gravissima deve essere sola e controllata. Ora, a quanto si dice, avrà una compagna di cella. E dalle compagne del braccio sentirà parlare dei loro figli. Ce ne sono 16 o 17. E allora quella frase che ha gelato tutti («mi aiuti a fame un altro?») qui avrà nuova eco. L'Anna Maria Franzoni di oggi quella che raccontano le donne appena liberate - non esce dall'«isolamento» come lo si pensa guardando i film (celle nascoste, diverse dalle altre, senza voci né rumori), ma esce dall'isolamento fra detenute. Il carcere è insofferenza, insopportazione reciproca, ma è anche solidarietà, comunicazione. E' possibile che, con l'accortezza delle vigilatrici, le nigeriane e le altre ragazze d'Africa la portino a vedere gli straordinari foulard, le stupende decorazioni che creano nel laboratorio al piano più alto.

Luoghi citati: Africa, Cogne, Torino