Minacce al sindaco di Cogne: attento, la pagherai

Minacce al sindaco di Cogne: attento, la pagherai SI INDAGA SULLA MISTERIOSA «OPERAZIONE» CHE SAREBBE STATA ARCHITETTATA PER SCAGIONARE L'IMPUTATA Minacce al sindaco di Cogne: attento, la pagherai Ha ricevuto una lettera che lo incolpa di non aver difeso l'immagine del paese retroscena Brunella Giovara inviata a COGNE SU Cogne volano i corvi, e le minacce, le telefonate intimidatorie, le accuse di depistaggi di un'inchiesta per omicidio, e il sospetto dell'esistenza di un piano per proteggere Anna Maria, portato avanti dai famigliari e dagli amici. E allora volano anche calunnie e querele, e volano gli stracci come nessun paese vorrebbe mai che succedesse. I panni sporchi e sporchissimi di solito si lavano in casa, ma questa volta no: in piazza, e nelle case di chi in un modo o nell'altro è entrato negli atti dell'inchiesta sulla morte di Samuele, come possibile omicida, come accusatore di un possibile assassino, come testimone. «Brutta cosa», rimugina il sindaco Ruffier, e non è solo perché anche lui ha ricevuto una lettera di minacce, in cui lo si accusa di essersi comportato malissimo, di non aver difeso il paese, e gli si raccomanda di fare molta attenzione, altrimenti... Ieri Ruffier ha ricevuto una telefonata di Luciano Violante, che gli ha detto che salirà a Cogne per le vacanze di Pasqua. «Stai tranquillo», gli ha detto. Ma lui è solo molto preoccupato, e anche triste. «Cosa succederà ancora?». Questo è il clima di Cogne, questo è il vero «mostro di Cogne», quando ormai tutti pensavano che la faccenda fosse ormai lontana non fosse che per i 24 chilometri che separano il pc . e dal tribunale di Aosta - e non dico risolta, ma almeno affidata al giudizio di persone esperte, e «aspettiamo a vedere se è davvero colpevole, Anna Maria». La frase «aspettiamo il processo» poteva ben risolvere il momento e pacificare gli animi. Così non è: l'affare di Montroz ha fatto crescere un prato di zizzanie che moriranno tra due generazioni, almeno. Se qualcuno pensava che davvero la faccenda fosse limitata e circoscritta ad una sola famiglia - quella direttamente toccata dall'omicidio - ebbene si è dovuto ricredere: altre persone soffrono, perché ingiustamente accusate dell'omicidio di Samuele. Altri - i coniugi Enrietti - stanno in queste ore male - anzi malissimo - perché agli inizi dell'inchiesta sono andati a denunciare ben quattro loro compaesani: Oraziana Blanc, il marito Carlo Ferratone, Ulisse Guichardaz e Daniela Ferrod. Oggi si difendono: «Non siamo stati dei depistatori». Paola Croci Enrietti, ad esempio. Il giorno 12 marzo va dai carabinieri di Cogne per rendere «spontanee dichiarazioni». Il giorno prima c'è stato il marito, Alberto Enrietti (entrambi sono amici dei Franzoni). Il giudice Oandini esamina le loro dichiarazioni, e scrive: «La portata di tali dichiarazioni non pare in grado di inficiare la ricostruzione dei fatti. Le ipotesi alternative, allo stato degli atti, non trovano alcun riscontro», ovvero non ci sono prove che i quattro abbiano commesso l'omicidio. «Vengono infatti prospettati degli ipotetici moventi, che avrebbero potuto determinare e giustificare la commissione del reato. Tuttavia non vengono allegati i concreti elementi di fatto, suscettibili di verifica e di riscontro. La portata di tali dichiarazioni è vagamente calunniatoria, anche in considerazione del fatto che la Croci intrattiene contatti telefonici con la famiglia dell'indagata, contatti nei quali si parla esplicitamente delle dichiarazioni rese ai carabinieri dalla Croci». E a questo proposito il gip aggiunge un riferimento importante: alle conversazioni effettuate in data 11 marzo, intercettate tra la Croci, Stefano Lorenzi e Oiorgio Franzoni «dalle quali risulta, tra l'altro, l'esistenza di una non me-' glio identificata "operazione" posta in essere dall'entourage dell'indagata». Cosa significa? Su questo punto le indagini sono in corso. «Noi non abbiamo accusato o calunniato alcuna persona», ripetevano ieri Paola e Alberto Enrietti. «Non vedo perché tra tanti che hanno parlato con i carabinieri, sono saltati fuori solo i nostri nomi». Il motivo è nel fatto che nessun altro ha fatto nomi e cognomi. Si difende anche il maresciallo Catalfamo, accusato dal giudice di aver tenuto comportamenti perlomeno «sconcertanti». L'aver parlato a lungo con la Franzoni subito dopo il delitto, senza relazionare a nessuno, tantomeno ai suoi superiori. L'aver accompagnato Stefano Lorenzi in una lunga passeggiata (5 ore), a lungo rimasta misteriosa. Ieri il mistero si è chiarito: il maresciallo in reakà ha accompagnato il suo amico ad un colloquio con il pm Cugge, in un posto lontano dai riflettori. E ieri Catalfamo si è detto «sereno e tranquillo». «Ho sempre riferito tutto ai miei superiori e al magistrato» (circostanza della quale evidentemente il giudice non ha trovato traccia negli atti). Una cosa gli spiace, ed è che i Lorenzi non lo ritengano più un amico. Risulta da un'intercettazione fatta nel residence di Lillaz: «I carabinieri? Altro che amici!». La frase è di un componente della famiglia di Anna Maria. II maresciallo accusato dal giudice di comportamenti «sconcertanti» si difende: ho sempre riferito tutto ai miei superiori La misteriosa passeggiata con Stefano Lorenzi fu un trucco per portarlo a un colloquio segreto con il pubblico ministero

Luoghi citati: Aosta, Cogne