«Così curiamo le madri killer, ma il loro dolore durerà per sempre»

«Così curiamo le madri killer, ma il loro dolore durerà per sempre» VIAGGIÒ NEtifaERGASTO' mHITChì - : i,.;,.-.,.,;,::..,.; «Così curiamo le madri killer, ma il loro dolore durerà per sempre» A Castiglione delle Stiviere l'unico centro per le donne che hanno assassinato i figli: «Capiscono ciò che hanno fatto d'improvviso» reportage Paolo Colonnello inviato a CASTIGLIONE DELLE STIVIERE NON ci sono sbarre nò divise in cima a questa collina tra le campagne mantovane e il lago di Garda. E quando si entra nessuno grida il tuo nome e il tuo numero di matricola. Non c'è bisogno di muri quassù, né di catene. Perchè quando si oltrepassa la rete metallica che cinge un bosco e i prati ormai fioriti e poi le case basse dei reparti psichiatrici, imo il carcere ce l'ha già intomo al cuore. E da lì non si può scappare. Non ha un nome questo posto, soltanto una sigla, O.G.P.; Ospedale giudiziario psichiatrico, località Ghisiola. Ma i detenuti comuni lo chiamano «l'ergastolo bianco». Perchè quando si varca questa soglia, sull'ordine di carcerazione non c'è una data ma è come se ci fosse scritta sempre la stessa frase: fine pena, mai. «Certo dopo un po', cinque, dieci, magari vent'anni, si esce. Ma 0 ricordo e il dolore rimarranno tutta la vita: devono imparare a conviverci». Il dottor Giuseppe Gradante, 51 anni, primario, è un signore gentile che cammina leggero tra il silenzio della natura e i corridoi del reparto femminile Morelli: 12 detenute-pazienti ricoverate, l'unica struttura in Ita¬ lia dove finiscono le madri impazzite che hanno ucciso i figli. Senza una sentenza, che nfessun tribunale può emetterla. Senza condanne, se non quella della loro, coscienza. Dorme «incapaci d'intendere e di volere» al momento del fatto. Qui le chiamano «figlicide»: un giorno, il più brutto, se la terapia avrà successo, torneranno a capire e il loro dolore diverrà sconfinato; nessun carcere potrebbe ferirle di più. E' qui che, forse, tra qualche tempo finirà la mamma di Samuele, Anna Maria Franzoni. Finalmente lontana dalle cronache, dai riflettori, dalla morbosità, sola in questo piccolo paradiso di prati e uccellini cinguettanti che fa da contomo all'inferno dell'anima. Perchè quando si Uccide un figlio, s'inizia a pagare in quel momento stesso. «Il percorso terapeutico prevede che la donna prima o poi debba ricordare e affrontare l'evento traumatico in tutta la sua drammaticità. E' il momento più difficile dove di solito tentano di mettere in atto gesti estremi e di autolesionismo. Ma poi, superata la crisi, da qui, può iniziare una risahta. La consapevolezza è l'unico indizio di sanità mentale». Il dottor Gradante ne ha viste tante in 25 anni di carriera. «Purtroppo - spiega - di donne che hanno ucciso un figho ne arrivano anche due o tre ogni pochi mesi. Tranne in quest'ultimo peri¬ odo dove in 15 giorni abbiamo ricoverato due casi». E c'è un dato impressionante, perchè sono solo e sempre le donne ad uccidere i figli minori. «Nel caso di bimbi piccoli, sì. In tanti anni di professione non ho mai riscontrato un caso di un papà che abbia ammazzato un figlio piccolo. E' sempre la mamma che compie un gesto così estremo. E dagli studi effettuati in questo ambito, risulta che la maggior parte delle vittime ha sempre un'età compresa tra i 3 e i 5 anni». Perchè secondo lei? «La donna uccide il figlio non come espressione della sua maternità ma come conseguenza abnonne del suo ruolo di madre che si delinea quando il bambino inizia a svilupparsi» E quali sono i motivi ài questa «abnormità»? «Perchè la dorma vive il suo ruolo in modo particolarmente drammatico e perchè, attraverso meccanismi anche sottiUssimi, ancora oggi la donna finisce per essere il soggetto debole in ambito famighare. Magari ha poca voce in capitolo nell'economia della casa, sviluppa un senso d'inferiorità, non si sente capita dal marito. Ne derivano depressioni, ansia, insonnia. In genere comunque c'è una patologia mentale di fondo che esplode in un contesto particolare». Ma chi sono queste donne che uccidono i loro i figli? «Sono donne generalmente tra i 28 e i 35 anni che soffrono di patologie mentali, spesso di natura depressiva e che si manifestano il più delle volte improvvisamente». Nel caso della mamma di Cogne si è parlato della «sindrome di Medea», il mito della madre che assassina i figli per punire il marito. Ma si possono applicare i canoni del dramma euripideo in vicende dove gli stessi protagonisti non trovano spiegazioni dei loro gesti? «In parte si. La donna non potendo aggredire il marito che considera onnipotente, si rifa sui soggetti più deboli della famiglia: uccide i figli, elimina la stirpe dell'uomo. Ogni caso comunque fa storia a sé. Bisogna analizzare i componenti del disagio: la famiglia, il lavoro, il rapporto col marito. Componenti che entrando magari in contrasto tra loro, possono determinare ima patologia». Non ci sono celle nell'ospedale giudiziario e nemmeno sbarre alle finestre: una rete bassa e sottile circonda il perimetro della collina ed è l'unico segno della blanda detenzione cui sono sottoposte le detenutepazienti in «misura di sicurezza». Però non scappa quasi mai nessuno. «Qui possono venire i parenti anche tutti i giorni. Il rapporto con la famiglia, per guarire alme¬ no un po' è importantissimo. E ancora di più lo è il rapporto con il marito. La nostra equipe stabilisce insieme a loro il trattamento e molte ce la fanno proprio perchè la famiglia non le abbandona mai. Però...». Però, dottor Gradante? «Però il ricordo del loro bambino rimarrà per sempre, non le abbandonerà mai. Una donna che uccide il figlio è come se ammazzasse anche sé stessa». •■■'.■■■■■■■■■■: bS«ì«3 Un'immagine dell'Ospedale giudiziario psichiatrico dì Castiglione delle Stiviere, vicino al lago di Garda

Persone citate: Anna Maria Franzoni, Giuseppe Gradante, Gradante, Morelli, Paolo Colonnello

Luoghi citati: Castiglione Delle Stiviere, Cogne, Ghisiola, Medea