Pazner: siamo pronti alla pace ma difenderci è nostro diritto
Pazner: siamo pronti alla pace ma difenderci è nostro diritto l/EX AMBASCIATORE IN ITAElt- :—— RTAVOdE DEL PREMIER Pazner: siamo pronti alla pace ma difenderci è nostro diritto «Arafat dopo gli accordi di Oslo ha avuto l'occasione di ottenere quello che chiedeva però ha preferito rispondere con la violenza» intervista fiamma Nirenstein GERUSALEMME AVI Pazner è stato ambasciatore in Italia e a Parigi ed è oggi lo spokesman di Ariel Sharon. La sua casa è situata a cento metri dal caffè Cafit, che rischiò di saltare in aria pochi giorni fa con centinaia di avventori, e che solo l'eroismo di un cameriere ha salvato; il suo ufficio è a duecento metri dal caffè Moment, in cui un terrorista suidicida ha fatto, sabato notte, undici morti fra i 23 e i 31 anni: Pazner, in questa normale giornata di funerali e di sangue appare stanco e molto provato, ma sottolinea soprattutto la volontà del suo governo di cercare di nuovo la pace e fa una proposta ad Arafat. Signor Pazner, Sharon continua a usare toni molto duri. Ma questa è veramente una guerra? Non si parla qui di forze troppo dispari perché questa possa essere la sua definizione? «Abbiamo attraversato purtroppo ogni tipo di guerra: è sempre una tragedia a parte, e in ognuna Israele ha sofferto il rifiuto e l'aggressività del mondo circostante. Adesso, dopo la guerra d'indipendenza, quella del Sinai, quella dei sei giorni, quella del Libano, quella del Golfo, dopo questo lungo cammino, eccoci a una guerra contro il terrorismo. Una guerra che non abbiamo cercata; che i palestinesi vogliono chiamare intifada, intifada della Moschea di Al Aqsa.. ma non è un'intffada. E' una guerra iniziata con un terrore enorme, senza precedenti, contro di noi proprio mentre cercavamo di chiudere per sempre il conflitto con i nostri vicini. E' una guerra che ormai si configura come quella degli americani contro il terrore. Siamo nella stessa situazione, un mondo che ci odia ci vuole morti e delegittima la nostra stessa esistenza». C'è una grande differenza rispetto agli Usa, e tutti ve la rinfacciano: l'occupazione. Molti sostengono che se decideste di mettervi fine, anche il terrore cesserebbe. «E' una visione semplicistica e partigiana. Era poco più di un anno fa che proponemmo di porre fine alla situazione d'occupazione rimasta dopo l'accordo di Oslo, e creare uno stato palestinese. Abbiamo avuto un sonoro rifiuto da parte di Arafat. Arafat scelse la violenza e non abbiamo nessun segno che adesso voglia scegliere un'altra strada». Adesso tutto il mondo, e anche gli americani sostengono che fate un uso eccessivo della forza, che Sharon non vuole la pace, che non lascia speranza ai palestinesi che per questo insistono col terrorismo suicida. «E' una visione completamente sbagliata, piena di pregiudizi. Vi siete già dimenticati che l'ondata terrorista è arrivata quando ancora Barak era primo ministro, il mito di Sharon è inventato, e questo terrorismo è diventatao sempre più crudele, direi vizioso: colpisce donne e bambini e ragazzi per scelta. Così pensano di piegarci, di costringerci con la forza». Quello che specie l'opinione pubblica europea vede oggi ùù di orni altra cosa è la : orza dell'esercito che si abbatte sui palestinesi: non dimentichi che ci sono stati cinquanta morti in pochi giorni. «Noi combattiamo a viso aperto contro il terrorismo, dopo migliaia di attentati, mentre la nostra vita è minacciata, senza prendere di mira la popolazione civile e ci dà gran pena quando qualcuno ci va di mezzo; dobbiamo cercare di smantellare le oi^ganizzazioni terroriste. e i loro armamenti. A Tulkarem abbiano compiuto un'operazione mihtare molto importante: abbiamo neutralizzato centinaia di uomini armati e decisi a tutto; abbiamo preso 50 ricercati; abbiamo smantellato fabbriche di armi, sequestrato cinture esplosive, scoperto una manifattura di Kassam2. Ci dispiace molto per la perdita di vite umane, ma dobbiamo cercare di difendere la vita dei nostri citta¬ dini». Ma gli attentati continuano; non sarebbe più logico cercare ima strada di concihazione, che dia ai palestinesi qualche speranza di potere vedere concludere l'occupazione? «Se c'era bisogno di un'ulteriore prova (e ne abbiamo già date a centinaia nonostante l'ondata di incitamento all'odio) della nostra buona volontà, ecco che sfidando il suo proprio governo e tornando sulle sue posizioni Sharon rinuncia a un punto della sua politica che sembrava inamovibile, ovvero i sette giorni di silenzio prima di rimettersi al tavolo a fissare i termini del cessate il fuoco, ovvero dell'accordo Tenet..» E poi? «Cominciamo da qui: vorrei che intanto Arafat facesse a sua volta un passo importante, ovvero che fermasse il terrore fino all'arrivo di Zinni, l'inviato americano questo giovedì» Arafat è in grado di compiere un passo del genere? Controlla il campo? «Assolutamente, sì. Oltretutto il novanta per cento di tutti i terribili attentati di questi giorni, così mirati e crudeli, sono stati rivendicati proprio dai suoi uomini, le Brigate dei martiri di Al Aqsa del Fatah, i tanzim. Forza 17..». Lei spera che la visita di Zinni possa servire a qualcosa? «Si, lo spero dal profondo del cuore. Noi siamo pronti a lavorare praticamente per la pace». Lei crede veramente che Sharon sia pronto a «concessioni penose» come ha sempre ripetuto senza specificare di che cosa si tratta? «Lo è talmente tanto che ha accettato che i ministri Ivet Liberman e Benny Elon abbandonassero la coalizione aprendo una crisi molto difficile». «Combattiamo a viso aperto una battaglia contro il terrore che invece colpisce donne e bambini»
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