Khalim, morto a 23 anni a fianco dei berretti verdi

Khalim, morto a 23 anni a fianco dei berretti verdi i FRATELLI; «GLI UFFICIALI USA DANNO GU ÓRDINI E NO» ANDiANO A COMBATTERE CONTRO I MILIZIANI PI BIN LADEN» Khalim, morto a 23 anni a fianco dei berretti verdi Per duecento dollari al mese, come migliaia di altri giovani afghani, veniva «affittato» dal suo comandante per partecipare all'operazione «Anaconda» reportage Francois Chipaux KWAJAKHE1L Dall'interno della casa si leva un lungo lamento. Alcune donne in una stanza piangono e si percuotono la testa. In un piccolo locale accanto, un uomo, Niaz Mohammed, le mani appoggiate a un bastone, il viso parzialmente nascosto dal turbante, soffre visibilmente. Due giorni fa, gh è stato riportato il corpo del suo figlio più grande, Khalim, 23 anni, ucciso al primo giorno dell'offensiva americana contro i Taleban e i combattenti di Al Qaeda a Shah-E-Kot. Khalim, come i due suoi fratelli, Tameen, 22 anni, e Fazal, 18, da due mesi è mezzo era agli ordini del comandante Khushkar, dell'etnia Ahmadzi, di cui fa parte la loro famiglia. Un mese fa Khushkar ha, in un certo senso, «affittato» i suoi uomini al comando delle forze speciah americane installate dall'inizio dì gennaio a Gardez; il salario mensile per ciascun combattente è dì 200 dollari, più divìse, scaipe, cibo e l'eccitazione dì poter stare al fianco di militari super-equìpaggiati. «Eravamo tutti molti esaltati quando siamo partiti con gli americani alla volta di Zormat - racconta Tameen ì cui occhi sono rossi di pianto -, appena anivati vicino al fronte, siamo stati fatti entrare in una gola; improvvisamente siamo stati centrati da colpi di mortaio e da razzi. Khalim è stato ucciso subito. Ho chiesto aiuto, ma nessuno si è avvicinato. Così io, Fazal e un altro amico abbiamo caricato il corpo dì mìo fratello su un'automezzo. Gli americani erano lontani». Niaz Mohammed ascolta, forse per la centesima volta, questo racconto che gli fa inumidire gh occhi. Rannicchiati sulle ginocchia, ignorando il dramma che lì circonda, Meena, 3 anni e Bilal, 2 anni, due dei tre bambini dì Khalim, osservano l'inconsueta agitazione. Niaz Mohammed, la gola serrata dall'angoscia, sussurra: «Se gh stranieri donano il loro sangue, noi dobbiamo essere pronti a donare il nostro. Quando i miei figli sono partiti per il fronte, ero preoccupato perché il nemico è forte, anche se è Dio che decide». Khalim, come i due suoi fratelli, partecipava alla prima operazione militare. «Dieci giorni fa gli americani hanno dato a ciascuno di noi un kalashnikov russo, ci hanno spiegato come funzionava e ci hanno spediti al fronte», spiega Tameen che aggiunge: «Penso che ora ci daranno armi americane». Tameen e Fazal, che ascolta silenziosamente il fratello, sono comunque pronti a ripartire e a combattere. «Voghamo farla finita con questa gente che è venuta qui nel nome dell'Islam, ma che non sono musulmani», afferma Tameen, alludendo ai miliziani stranieri venuti a fianco dei Taleban o con il capo dì Al Qaeda, Osama bin Laden. Come Khalim, sono migliaia ì giovani afghani che combattono con le truppe americane, o piuttosto per la strategìa americana. Lakhdiwal, l'ultimo villaggio a 8 chilometri davanti alla montagna coperta dì neve Chah-e-Kot mostra le sue alte case di fango e ì suoi vasti forti quadrati. Secondo Inayat, un giovane combattente afghano, è in uno dì questi forti che sono momentaneamente alloggiati 15 militari americani, che da questo posto di osservazione ideale, contribuiscono alla direzione delle operazioni. Inayat dipende dal comandante Zia, della provìncia dì Logar, non lontano da Gardez. Sabato anche Inayat è entrato nella gola dove è stato uccìso Khalim: «Eravamo su 25 automezzi, quattro dei quali portavamo americani. Hanno cominciato a piovere colpi dì mortaio. E' stato colpito anche uno degli automezzi americani. Sono saltati tutti giù, ma un militare è morto. Noi abbìamno avuto due vìttime e tredici feriti». Aerei americani, quasi invìsibìlì nel cielo blu, sorvolano le vicine montagne. Inayat e ì suoi compagni non hanno la più pallida idea dì che cosa riserverà loro il futuro: «Gli americani danni gh ordini - dicono - e noi andiamo sulla linea del fronte». Il comandante Ismail, che afferma dì avere a sua deposizione trecento combattenti, è uno degli uomini che dopo 1' 11 settembre sì è offerto di partecipare alla lotta contro ì terroristi. Per questo ha subito ricevuto tre telefoni sateUitari, radio e varie attrezzature, comprese infonnazioni per localizzare i Taleban e gh uomini di Al Qaeda. Ismail opera nel distretto di Jaji, nella province di Paktia, non lontano alla frontiera pakistana. «Noi - spiega - pattughamo le zone tribali, dove il govemo afghano non dispone di ima forte autorità. Noi temiamo le infiltrazioni dalla frontiera pakistana. Dieci giorni a Jaji erano arrivare forze speciah, ma ora ci sono soltanto afghani». Ufficiale nell'armata nazionale afghana al tempo dell'ex presiden¬ te .NajibuUah, braccio destro di Ahmed Chah Massoud dal .1992 al 1996, il comandante Ismail dice di èssere rientrato nel suo villaggio durante il regime dei Taleban. Come altri suoi pari, è uscito dall'ombra al momento buono e gli americani pagando i suoi uomini gh hanno fornito, con armi, viveri e munizioni, l'occasione per ritrovare il suo antico ruolo. Nella zona ci sono altri comandanti nella sua condizione. Resta da vedere come questi uomini accetteranno di rientrare nei ranghi dell'armata afghana in seno alla quale non potranno comandare. Copyright Le Monde Nelle ultime 48 ore gli americani hanno compiuto duecento incursioni aeree e sganciato 75 bombe

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