Viaggio nel «Nuovo Texas» del Petrolchimico

Viaggio nel «Nuovo Texas» del Petrolchimico SEDICIMILA DISOCCUPATI E POCHE ALTERNATIVE DI TROVARE UN PÓSTO DI LAVORO Viaggio nel «Nuovo Texas» del Petrolchimico Da troppi anni la gente convive coi veleni ed un grande «sogno infranto» reportage GELA TIRANO un sospiro di sollievo i cittadini di questa piccola metropoli che non riesce ad essere né came né pesce. Non é Nord, malgrado la nuova e ancora fragile area industriale e le migliaia di tonnellate di ferraglia condensate nella raffineria del Petrolchimico che la notte regalano angosciose inquietudini postmoderne. Non é neppure profondo Sud, con le centinaia di punti vendita di prodotti della comunicazione elettronica alternati alle luci dei pub del lungomare che evocano suggestioni rubate ai film di Altman e Scorsese, ai Planet hollywoodiani, e innestate in un corpo sociale sostanzialmente rimasto immutato nella testa. Anche in questi giomi difficili Gela sembra quella di sempre: precaria e indefinita. Ma anche incazzata, disillusa, delusa nel vedere sbiadire un sogno mai avverato ma oggi seriamente compromesso da una parola estranea, importata ma immediatamente entrata nell'uso quotidiano per il suo elevato valore intimidatorio. Stiamo parlando del pet-coke, che i capi della raffineria (ma anche gran parte degli operai minacciati dalla disoccupazione) definiscono carburante buono per alimentare le centrali e il ciclo produttivo e, invece, i magistrati considerano scorie altamente nocive per la salute. Certo, la storia è vecchia perchè da anni Gela convive coi veleni, ma adesso c'è di nuovo che i magistrati non intendono più fingere di non vedere e di non sapere. Già, chi poteva immaginare - quarant'anni fa - che una parte del sogno del riscatto sodale siciliano, il mito del «nuovo Texas» di Enrico Mattei, sarebbe diventato questo terribile boomerang di oggi. Storia crudele, quella cominciata alla fine degli Anni Cinquanta. A Gela vivevano poco più di 35000 persone. Ricorda l'operaio Antonio La Falaga, uno dei «vecchi» del Petrolchimico: «C'era tanta povertà. tra i lavoratori. I proprietari stavano bene con la produzione del cotone e del grano, i braccianti dovevano sottostare alla vergogna dell'arruolamento giornaliero in piazza. La riforma agraria apriva i primi spiragli e la terra parcellizzata dava della buona uva precoce che veniva esportata». E poi c'era il mare. «Il più bel mare del mondo» enfatizza l'operaio, spalleggiato dal collega Antonio Scordio. Entrambi sembrano rimpiangere il tempo di quando Gela viveva anche col pesce e la costa era una spiaggia continua. Sabbia chiara e fine, «la sabbia dorata» celebrata da Quasimodo nella poesia «Ad un soldato nemico», recitano i due operai. Tutto ciò non bastava, però, a frenare l'emorragia che portava linfa lavorativa al Nord e nei freddi paesi delTEuropa:.un crudele e disumano cammino della speranza, alla ricerca di una vita migliore. None difficile, dunque, comprendere quali aspettative potesse generare la scoperta del petrolio e i discorsi di un uomo come Enrico Mattei, capace di accendere entusiasmi e di accattivarasi le simpatie popolari sostenendo come ricorda Carmelo Vasta in una ricostruzione della nascita del Petrolchimico - che «...nella nostra epoca (siamo all'inizio del boom economico, ndr) è l'economia che deve piegarsi alla politica e non l'inverso». Cioè l'uomo d'affari deve seguire una politica sociale evoluta e «una grande impresa non deve affermarsi solo nel campo oiganiz- zativo e finanziario, ma radicarsi saldamente nella massa popolare». E nel discorso tenuto a Gagliano Castelferrato (Ernia), poche ore prima di venire assassinato, Mattei incalzava: ((Amici miei, io vi dico solo questo: noi ci sentiamo impegnati con voi per quanto c'è da fare in questa terra. Noi non portiamo via il metano; il metano rimane in Sicilia, rimane per le industrie, per tutte le iniziative, per quello che la Sicilia dovrà esprimere». Eccolo il fallimento: quelle parole sono rimaste inattuate e incompiute, come tante cattedrali nel deserto siciliano. E dire che ne erano state accese di speranze: il 10 marzo 1965 il presidente Saragat inaugura lo stabilimento di Gela atterrando sulla pista dell'aeroporto militare di Ponte Olivo, a 8 chilometri dalla cittadina. «E' la prima volta - scrive Vasta - che un presidente della Repubblica mette piede a Gela e l'ultima volta che un aereo plana sulla piana di Gela». La metamorfosi è repentina. La popolazione raddoppia, arrivano i tecnici da Ravenna e dal Nord, nasce una città nella città assolutamente autono- ma ed autosufficiente. Il «quartiere petrolifero» di Macchitella con le sue casette linde e ordinate, i suoi negozi, gli uffici, persino un distaccamento dei vigili urbani. Una razionalità che avrebbe dovuto far da guida alla prevedibile espansione, figlia del benessere prodotto dai quasi cinquemila stipendi della raffineria e delle rimesse degli emigrati. Soldi incanalati soprattutto nelPacquisizione del «mattone»: la casa per sé, per i figli e per i figli dei figli. Ventimila vani abusivi, la crescita nel caos, aNord del paese: Margi,Settefarine. Cantina Sociale, Olivastro, Costa Zampogna. Cooperative, edilizia pubblica e privata. Llacp che costruisce le case popolari a mare, a due passi dalla spiaggia dove forse si poteva pensare ad oigannizare il turismo. O forse no, dal momento che il Petrolchimico - non era ancora tempo di depuratori, marmitte catalitiche e salvaguardia dell' ambiente - aveva fatto il vuoto col puzzo di uova marce e periodici divieti di balneazione.Così Gela si buscò il marchio, ancora non dismesso, di «Gela la brutta». La speranza iniziale si andava trasformando - quale che fosse il partito al potere - in una strenua difesa del presente anche se orrido ma a stipendio fisso. L'alternativa, d'altra parte, sarebbe stata di arrivare vent'anni prima alla considerevole cifra dei 16000 disoccupati di oggi, anche se c'è più d'uno che su questi dati non si giocherebbe la faccia. «Gela ebbe un grande sponsor». ricorda il prof. Vincenzo Giunta, docente di storia e filosofia che ha allevato più d'una generazione di gelesi. Il sen. Salvatore Aldisio, democristiano scomparso nel 1964 e sepolto con la moglie niella chiesa di San Giacomo che aveva fatto costruire insieme con un intero quartiere ovviamente a lui dedicato, ancora oggi può far mostra di sé, attraverso non un semplice busto ma di una intera statua di bronzo davanti al municipio. Il prof. Giunta, che pure ha un passato di comunista (ruppe negli Anni Cinquanta) e che è stato sindaco socialdemocratico di una giunta «scandalosa» (de e fascisti insieme) dal 1986 all'87, non ha difficoltà a riconoscergli «una linearità politica» oggi non più riscontrabile». «Certo, si poteva anche cedere a qualche atteggiamento disinvolto, ma l'obiettivo era il bene comune. Quelli erano personaggi che non perseguivano l'anicchimento personale. Pensi che quando contrastavo la costruzione di un albei-go troppo vicino alla spiaggia, lui mi diede pubblicamente ragione, anche se gli interessi in gioco erano notevoli». Già, la politica. Il professore le attribuisce le colpe maggiori, il «sogno infranto» è «figlio della disorganizzazione e della precarietà pennanente». Di rissosità innata nei gelesi, parla l'aw. Franco Gallo che ha guidato l'amministrazione di centrosinistra per sette anni, fino alle clamorose, recenti dimissioni, originate probabilmente da considerazioni che qualche cosa devono avere a che fare con la rissosità (nella fattispecie in casa ds) e coi guasti di una certa scelta consociativa del suo partito. «Se non si è creato - dice - tutto ciò che era necessario perché l'industrializzazione non rimanesse un fungo senza radici è anche per miopia politica. Ed oggi ci troviamo stretti nello spazio angusto di dover scegliere tra la salute e il pósto di lavoro. Forse sarebbe stato utile, invece di abdicare completamente al Petrolchimico in cambio di piccoli privilegi di casta, penso a qualche bega sindacale, forse - dicevo - sarebbe stato utile chiedere di cogestire il processo di trasfonnazione di questo colosso, costringendolo a scelte che guardino veramente al futuro». Parole al vento? Qui a Gela pochi parlano di «strategie di trasformazione»: ancora ojjgi impera la «difesa del presente e poi si vedra». E il decreto di ieri? «Sarà rimesso in discussione dalla magistratura tra sei mesi azzarda Gallo -. Ma intanto Berlusconi passerà per il salvatore della patria e a maggio Gela avrà un sindaco berlusconiano». (f.LLl Non è Nord, malgrado la nuova e ancora fragile area industriale, e non è nemmeno profondo Sud, con le centinaia di negozi di prodotti elettronici Un mito che è nato all'epoca di Mattei e si è trasformato in un boomerang L'ex sindaco: tra sei mesi i magistrati dovranno intervenire di nuovo