la guerra rischia di stritolare i produttori europei

la guerra rischia di stritolare i produttori europei ASSOCIAZIONI DI CATEGORIA IN ALLARME: I RICORSI DA SOLI NON BASTANO, SERVONO RITORSIONI IMMEDIATE la guerra rischia di stritolare i produttori europei Export penalizzato mentre la Uè sarà invasa dai prodotti respinti dagli Usa analisi Flavia Podestà ALLE otto del mattino i centralini di Federacciai sono già bollenti. La tensione corre sul filo dentro e fuori i confini nazionali, in quel gioco di triangolazioni multiple tra le associazioni di categoria dei vari Paesi europei che ha portato, il 4 marzo scorso, Eurofer - il loro organismo di rappresentanza comune a Bruxelles a presentare alla Commissione la richiesta perentoria di varare, a protezione del mercato dell'acciaio del Vecchio Continente (160 milioni le tonnellate prodotte nel 2001 ), misure assolutamente speculari a quelle varate dagli Usa. I signori delle ferriere - che, per restare nel BelPaese, non hanno solo i volti noti dei Riva o dei Lucchini, dei Beltrame o dei Banzato, dei Pasini, Stabiumi, Amenduni, Arvedi ma anche quelle dell'universo dei trasformatori di cui è campione Steno Marcegaglia - siano o meno colpiti direttamente dai dazi americani, sono convinti che la mossa prote¬ zionista dell'amministrazione Bush si traduca inevitabilmente in una turbativa del mercato che non gioverà a nessuno. Tanto più visti i chiari di luna della congiuntura economica che ha già fatto archiviare un primo trimestre pesante. Concordi gli acciaieri del Vecchio Continente nell'apprezzare la reazione decisa - ed è la prima volta che succede nella lunga storia delle ristrutturazioni siderurgiche realizzate nell'Unione a partire dagli anni '80 - della Commissione che non si è limitata a promuovere le vie legali, ricorrendo al Wto. «La soddisfazione in diritto va bene, ma non basta perché il giudizio è comunque molto lungo, mentre i dazi esplicheranno i loro effetti dirompenti da subito», concordano senza distinguo di sorta i siderurgici tricolore raggruppati in Federacciai come i giganti europei della stazza di Acelor, la holding che raggruppa la francese Usinor (primo produttore europeo di acciaio), la belga Arbed e la spagnola Acelaria. Severissime contromisure immediate, dunque, per evitare di finire bastonati due volte: non solo penalizzati sul fronte dell'export che indirizza verso gli States, annualmente, 6 milioni di acciaio prodotto in Europa, ma anche invasi dai 16/18 milioni di manufatti siderurgici prodotti altrove nel mondo e non più assorbiti dal mercato americano, perché messi fuori mercato dai dazi fissati da Washington. Eppure la fermezza del commissario Lamy non basta a placarne l'irritazione e il timore che, con il negoziato bilaterale sulle riduzioni di capacità produttive eccedenti, non si porti a casa nulla visto che gli americani - scandiscono in Federacciai (che ieri ha incontrato il sottosegretario alle Attività Produttive Adolfo Urso) - «si sono cullati sugli allori. non hanno mai messo sul tavolo una sola tonnellata di capacità da smantellare, non hanno rinnovato impianti e processi produttivi ed hanno sempre fatto pagare il conto dei loro problemi all'Europa». Che, infatti - a prezzo di cure costate lacrime e sangue - ha ristrutturato, innovato gli impianti, riorganizzato e concentrato l'offerta, ha drasticamente ridotto la propria capacità produttiva (chiusi impianti per 20 milioni di tonnellate nei soli ultimi 5 anni) ed ora è più efficiente e competitiva che mai. «Ed ora - dicono ad Eurofer non possono far pagare a noi il conto delle loro inefficienze e, soprattutto, delle loro ristrutturazioni». Si, perché è proprio questo il sospetto che rende durissima la partita. Tra i signori delle ferriere c'è, infatti, la consapevolezza che Bush, con l'acciaio, sia costretto a misurarsi con un grattacapo dieci volte più grosso del caso Enron. Sono almeno una quindicina le società siderurgiche statunitensi in amministrazione controllata ed un conto spannometrico fatto dagli analisti europei del settore, che prescinde dalle perdite dirette registrate nei bilanci - stima in 30 miliardi di dollari il dissesto finanziario indotto dai fallimenti: sui fondi pensione e le casse malattia che in Usa sono strettamente legati alle sorti delle aziende. Bush con i dazi decisi sull'import di acciaio, non solo chiude 0 mercato con buona pace del Wto, come stigmatizza Confindustria definendo la decisione «anacronistica e antistorica rispetto a tutte le azioni in corso per l'allargamento del commercio internazionale». Ma si appresterebbe anche a fare concorrenza in dumping: retrocedendo le risorse raccolte con i dazi, che si potranno ristrutturare a costo zero. Glielo consente un provvedimento approvato da Congresso e Senato americani, due anni fa. Contro questi «aiuti di Stato» l'alto là di Eurofer è assoluto. Qualcuno vagheggerebbe anche ritorsioni, ma poi è costretto a fare i conti con la realtà europea: disarmata, grazie alla sua frammentazione, nei settori di punta - dall'elettronica alla difesa, dalla farmaceutica alle biotecnologie - dove gli Usa stravincono e dilagano sui nostri mercati. Eurofer insorge: gli americani vogliono scaricare su di noi i costi delle loro inefficienze e delle mancate ristrutturazioni