Ventotto occhi per scovare un indìzio

Ventotto occhi per scovare un indìzio TESTIMONI NELLA VILLA DELL'ORRORE Ventotto occhi per scovare un indìzio Oltre alla mamma, 13 persone videro la scena del delitto retroscena inviato a COGNE ANCHE il tempo di un'indagine si misura in stagioni, seppur brevi. Qui a Cogne è già passata quella del dubbio a 360 gradi, del lavoro a tutto campo. Ed è passata anche quella dell'attenzione più mirata con rUievi e riscontri, domande e risposte. In attesa della quarta stagione - quella di un provvedimento, di ima richiesta al gip, comunque di un doloroso «raccolto» - è incominciato lunedì il tempo del mosaico, delle tessere accompagnate a mettersi ognuna al suo posto. Ed è la stagione più delicata, quella che dovrà reggere a controprove, contestazioni, al confronto fra un'accusa e una difesa. Allora i giorni del mosaico diventano quelli in cui può affiorare un dettaglio, un «non ci avevo fatto caso» se non risolutivo almeno determinante. Ecco allora che questi 28 occhi - quelli della mamma di Samuele e di altre 13 persone - che hanno percorso giardino e pareti della villetta di Montroz diventano ancora più importanti. Sulla base delle investigazioni, dei rilievi scientifici, dei dati dell'autopsia, un piccolo risveglio di memoria - in gente che non si è precipitata sul posto pensando che avrebbe poi dovuto riferire a un giudice - può incidere sulla verità: l'anta di un armadio rimasta aperta, un gancio alla parte senza nulla appeso. Quattordici persone - sembravano meno nei primi giorni, ma la conta si è fatta via via più precisa - 14 diversi sguardi sulla scena del massacro. Ciascuno ha catturato uno spicchio di verità, ciascuno ha «sporcato» in qualche modo, e comunque anche in buona fede, la scena. Ciascuno può ora aggiustare nel mosaico una tessera rimasta buia. Come l'arma. Anna Maria Franzonì è la mamma che vede il corpo e grida, chiede aiuto. La troveranno disperatamente frastornata. La prima ad accorrere è Ada Satragni, medico di base, speciahsta in psichiatria, stimata dai professori torinesi con i quali ha conseguito la specialità, definita molto capace a integrare la cura farmacologica con quella terapeutica del dialogo. La Satragni tenta un primo soccorso. E, mentre lava le ferite per andare a capirle, viene raggiunta da una vicina di casa, Daniela Ferrod, e dal suocero. Marco Savin. E' lui a proporre: «Chiamiamo l'elisoccorso». Mentre telefonano accorre Alberto Enrietti, maestro di sci, titolare di una stazione di servizio. Per due volte entra nella stanza, cercando di essere d'aiuto. E vede quel copriletto, vede sul copriletto non soltanto il sangue ma i segni più terribili della devastazione. Sono cinque persone che si muovono dentro e fuori la casa, quando su quel pezzo di monta¬ gna incomincia ad alzare vento l'elicottero, che ha difficoltà a posarsi. Scende il medico Leonardo lannizzi, che subito incomincia le manovre rianimatorie. Si discuterà poi sull'ora della morte, ma il comportamento del medico è ineceppebile: per lui il decesso è fissato nel momento in cui deve arrendersi, quando il suo lavoro non ottiene più battiti cardiaci. Con lui ci sono due guide alpine, Elmo Glarey e Ivano Bianchi. La loro testimonianza è significativa di come la situazione sia confusa, di come più che ipotesi si cerchi di capire per soccorrere meglio. Dirà Glarey di essere andato d'istinto a vedere le scale, per cercare lì del sangue: è una ipotesi sensata quella che lo assale, la scena di un bimbetto che inciampa, cade e picchia contro gli spigoli. Invece Bianchi entra nella stanza, vede quegli schizzi ovunque, percepisce l'irrealtà della situazione, la sua dimensione agghiacciante. Dirà poi di aver cercato, vista la ferita sulla fronte di Samuele, un'ascia o una roncola. E' questo il primo momento in cui nella villetta affiora D concetto di omicidio. Intanto è arrivato un altro vicino di casa, Vito Perret, e anche lui entra, guarda questa scenografia di sangue, insieme con il suocero della Ferrod, Ottino Guichardaz. Sono già 10 persone a muoversi tra muri e porte, tra scale e arredi, tra oggetti d'ogni sorta. Calpestando, toccando, for¬ se inconsapevolmente spostando. E ciascuno vede uno spicchio al quale non può dare valore da indagine. Valore da indagine che invece sta per cominciare. Mentre accorre Stefano Lorenzi e si china sul corpo del figlio, mentre gli prende la mano e gli parla con dolcezza, gli uomini dell'elicottero si dicono, con cautela, a bassa voce: «E' mèglio chiamare il 112». Infatti, poco dopo l'arrivo di un altro amico di famiglia, Renzo Berard, salgono a Montroz i carabinieri del maresciallo Simone Gemignani. E qui incomincia a blindarsi la scena del dehtto. L'unica persona che ancora si accosta alla casa è la baby-sitter della dottoressa Satragni che, su sollecitazione della psichiatra, porta un bicchiere con dell'acqua e e delle gocce di tranquillante a Anna Maria. Da questo momento i carabinieri della stazione di Cogne diventano i veri registi di ciò che accadrà. Sono loro - troppo spesso di fronte a sofisticate indagini si dimentica il ruolo di chi sta in prima linea - a garantire che più nulla possa essere toccato. Agli uomini del Reparto operativo spetta sentire testimoni, 28 occhi, che però non sono andati lì per imprimersi in mente una scena. Ma ciascuno di loro può avere posato lo sguardo su un insignificante dettaglio che oggi, alla luce dei rilievi, può ingigantirsi, diventare un pezzo forte di questa terza stagione prossima a scivolare nella quarta. La dottoressa Ada Satragni Anna Maria Franzoni

Luoghi citati: Cogne, Montroz