Nella casa dell'ultimo kamikaze «Vogliamo essere tutti come lui»

Nella casa dell'ultimo kamikaze «Vogliamo essere tutti come lui» IL MITO INSÀNGUiNATO DI UNA SOCIETÀ'SENZA SPERANZA Nella casa dell'ultimo kamikaze «Vogliamo essere tutti come lui» A Betlemme si leva ancora il fumo dalle macerie della caserma attaccata dagli F-16. Per la gente è colpa di «Sharon il macellaio» reportage Fiamma Nirenstein CI E' una specie di sospensione del tempo davanti alla caserma che durante la notte è stata distrutta dagli FI6, un cumulo di pezzi di cemento grigio, in alto un soldato in tutta mimetica che come in una scena di teatro cerca carte dentro una stanza sfondata, davanti due giovanotti armati, intomo bambini, altri giovanotti/ragazzi. Il sole picchia forte, il bombardamento non ha fatto vittime, il filo di fumo che si leva dalle rovine viene proprio dal centro dell'edificio, dove c'erano gli uffici dell'Intelligence, che avrebbero secondo Israele organizzato l'ultimo attacco terrorista suicida, quello al quartiere religioso di Beit Israel a Gerusalemme. Il suicida proveniva, reclutato da poco, dalle Brigate di Al Aqsa al secolo i Tanzim di Fatah. Il giovane con gli occhi chiari di 25 anni che fa la guardia è un soldato, non ha la divisa, ma il mitra a tracolla, accanto a lui una guardia più giovane, 20 anni. Sono oltraggiati per l'attacco alla loro caserma: «Era il mio posto di lavoro» dice il primo. Dell'attacco terrorista suicida, partito sabato da poco lontano, non ha altro da dire che «il ragazzo ha fatto la cosa più giusta», una frase che la cronista sente ripetere mille volte. «Mohammed al Dararmeh è un eroe che tutti vorremmo emulare». «Tutti lo vorremmo per figlio»; «Tutti lo vorremmo per fratello». Un suo amico e maestro, un uomo dei Tanzim («non credo che sarò uno shahid (un martire, ndr), per ora ho altri compiti») del Campo di Deheishe, Amjad Halawi, racconta che Mohammed ha tanto sofferto per la morte del suo più caro amico, di diciotto anni, a un posto di blocco, da allora non è stato più la stessa persona allegra e sorridente». Probabilmente, quella è stata l'occasione del suo reclutamento. La sofferente società dell'Intifada è un mistero, la vita si è nascosta dietro «la situazione» come tutti ripetono. Toni ed espressioni amare sembrano il costume generale. Non negozi, né ristoranti, né persone che se ne vanno facendo affari, non ragazze che parlano d'amore, o madri che accompagnano i bambini. Non si vive più, nell'Autonomia Palestinese. Sembra incredibile che nella cittadina di Gesù non ci siano altro che negozi chiusi, lutti, fucili, bambini che a frotte si muovono sempre come inseguiti dall'ombra della guerra, tanzim (che qui sono molto potenti) a gruppi, soldati e poliziot- ti, chi in difesa, chi solo col fucile a bandohera. Tutti shahid potenziali quando parlano con la giornalista, tutti interamente disegnati dalla situazione attuale, senza più passato, né futuro, né famiglia. Il livello di politicizzazione è totale, si parla moltissimo dei posti di blocco e più spesso ancora dell' occupazione; e moltissimo di Sharon, responsabile di ogni male, «Sharon il macellaio di Sabra e Chatila», «Sharon, assettato di sangue». Lo pensano tutti, anche le ragazzine con la divisa blu della scuola svedese, e anche i bambini. Lo pensano tre ragazzine di 16 anni, Reen Karake, bionda, con tanti piccoli orecchini; Amani Jamil, Nila Zahran, brune. Amani non crede che ci sarà mai e poi mai la pace, gli israeliani sono tutti uguali, se Arafat rifiutò, aveva ragione. Sì, Amani potrebbe anche diventare una shahid; Reem che ammira molto il martire di Deheishe, però non se la sentirebbe di fare la sua fine. Si torce le mani dall'imbarazzo, cerca venia definendo il terrorista suicida «Il migliore uomo del mondo. E comunque ci uccidono in tanti: sarebbe stato ucciso in un altro modo». E gli israeliani innocenti uccisi negli attacchi terroristici? Niente di più lontano: «con questa situazione, non dobbiamo smettere mai di combattere, Sharon è assetato di sangue». Mentre parliamo un gruppo invisibile di tanzim sta attaccando probabilmente la strada delle gallerie, o il quartiere di Gilo che si vede poco lontano. Tutti fuggono e si sparpagliano. A Deheishe, la strada di abitazione dello «shahid» è tutta imbandierata e piena di gente. I tanzim che incontriamo nella zona giudicano combattenti molto efficaci i «Gruppi della Moschea di Al Aqsa». Nel meandro del campo profughi pieno di scritte di odio, fra miriadi di bambini, Omar Lajour, un altro trentenne spiega: «Israele ha violato il cessate il fuoco, Arafat ha tentato la via della pace, ma Israele ha ucciso Carmi, ha violato la tregua, Sharon è sempre un generale assetato di sangue». Punto. Inutile ogni replica o ulteriori domande. Il fratello dello shahid, Amer, 24 anni, ci accoglie far le mura della via tappezzate di foto del terrorista suicida. Imbraccia il mitra e porta anche un paio di occhiali scuri postmoderni sulla fronte. Ripete di essere fiero, ma confessa la sua sorpresa: 5 fratelli, 4 sorelle, ma lui non ha detto niente a nessuno, non era particolarmente militante né particolarmente religioso. «Solo venerdì prima dell'attentato del giorno dopo, gli dissi che doveva smettere di pensare sempre al suo amico ucciso, e che doveva tornare al suo buon umore, al suo lavoro di falegname. Lo pregai, mi promise che l'avrebbe fatto. Era bravo, aveva studiato carpenteria. Ma la situazione è terribile: anch'io, come lui, sento dentro un grande odio. Siamo prigionieri». Hai viste quelle foto di donne e bambini uccisi da Mohammed? La risposta: «Un gesto santo, anche loro uccidono i nostri innocenti». Fra i bambini che corrono attorno molti vogliono diventare martiri. Uno di 11 anni però - che giocava a calcio con lo zio shahid e che ne porta 0 nome - da grande vuole fare il dottore. C'è sempre un giusto a salvare il mondo. Niente è più lontano dalla mentalità delle persone che vivono qui del pensare alle vittime israeliane innocenti morte negli attentati: la guerra è ormai totale Fermi davanti a un tank, quattro scolari palestinesi chiedono il permesso di passare

Luoghi citati: Betlemme, Deheishe, Gerusalemme, Israele