In Via del Fratello, i randagi sfrattati dal falso decoro di Giovanni Tesio

In Via del Fratello, i randagi sfrattati dal falso decoro In Via del Fratello, i randagi sfrattati dal falso decoro RECENSIONE Giovanni Tesio NOSTALGIA o allucinazione? Rovine perdute che segnano i fasti di una cronaca onirica o creature di marginalità epico-comica che non emergono se non da un'urgenza di poesia? Emidio Clementi, voce del grappo Massimo Volume, con il suo secondò romanzo, «La notte del Fratello», riesce a disegnare un mondo antieroico e sbrindellato piantandolo nel cuore di una «Suburbia» o Suburra bolognese che sta (stava) a sua volta piantata come una raggiera nel cuore di un ostensorio assai poco ostensibile. Vie tutte corrispondenti ad una toponomastica •veridica, ma mondo perfettamente inven- tato, resoconto affabulatorio e favoloso di una storia spremuta dallo smaliziato incanto di un lettore di Benni e di Celati (ma anche di Martin Mystère). Via del Fratello è solo la via di un quartiere in cui si volgono le gesta di un grappo di scombinati, aperti al più grande teatro della vita che può spingersi fino a Sasso Marconi, Calderara di Reno o a Marzabotto. E' su via del Fratello che affaccia il Bar di Lele, luogo di conversazione e di combutte. E' qui che corrono i due numeri civici di una casa occupata ad oltranza, almeno fino al momento in cui la polizia arriva a sgombrarla a vantaggio di un risanamento che separa la storia in un prima e in un poi: un prima di randagi bravi a filare la perla dei loro fallimenti, un poi di professionisti pronti a convertire la vita in falso decoro. L'io narrante è Munì e viene da San Benedetto del Tronto. Stanco di «lavori precari e deprimenti» sale nella città dei sogni giusto per entrare nell'orbita di un ras del sottosuolo, assoldato in una scalcinata banda-terzetto di palombari e razzolatoli di cantine, che gerarchicamente comprende in primo luogo l'autorità subumana dell'increscioso Zaccardi, cui s'accompagna la presenza in qualche modo ausiliatrice della RECENGioT SIONE nni o «negra» Sofia. E poi il fallito e mitico Lele, il cultore di nazismi assortiti e pittoresche patacche mentali, lo sconfitto in vena di far da maieuta e pigmalione ai sogni di mondanità covati da Mimi, e naturalmente dal Mimi medesimo, più portato a cioncare il cioncabile che a calarsi nei demoniaci misteri contrattuali di Zaccardi. Giovando alla macchina narrativa il semovente emblema del gruppo (l'Ape sgangherata su cui i tre scorrazzano) non meno che la fondamentale figura del nemico di Zaccardi, Mauro Rigoni, l'imperatore del Fratello, il «Reincamato nel suo stesso corpo», l'eterno sfidante di una lotta radicale che include a sua volta un'assortita fauna di avventizi (da Mitterrand a Bogart) interpreti di storie gravidamente ed estrosamente poetiche. Tra scatti e scarti continui dentro una zona d'invenzione che mescola sogno e realtà. Clementi scrive il piccolo poema di un tempo che fu. La necessità è quella stessa del narrare un mondo di morti che ci faccia sentir vivi. L'avviso è più grave, anche se non suona grave. Un tempo di liquidazioni che si profila entro gli anni novanta, ma che non si limita ad una consideri \zione dei nuovi costumi, evocando una condizione di sempre: il «Dio della Polvere» e dell'«Oblio» che richiama al comune destino. In questo senso le cantine di Zaccardi sono nientemeno che le nostre. Jt Lanott^' ( Emidio Clementi La notte del Fratello Fazi.pp. J60;ei1,36 ROMANZO

Luoghi citati: Bar Di Lele, Calderara Di Reno, Marzabotto, San Benedetto Del Tronto, Sasso Marconi