Terrorismo, restano in carcere i marocchini di Guido Ruotolo

Terrorismo, restano in carcere i marocchini Terrorismo, restano in carcere i marocchini Il gip convalida il fermo per gli otto accusati di sovversione Loro negano tutto: «Anche col ferrocianuro non c'entriamo» Sul nono sospettato deciderà il tribunale di Reggio Calabria Guido Ruotolo ROMA «Si sono proclamati tutti innocenti. Le contestazioni che gli sono slate rivolte sono state generiche. L'accusa non ha scoperto le sue carte e noi siamo fiduciosi che il Tribunale del riesame accoglierà le richieste di scarcerazione che presenteremo una volta che gli atti saranno depositati». Escono dal portone del carcere di Regina Coeli i difensori del gruppo di marocchini fermati per terrorismo, gli avvocati Fabio Frattini, Elisabetta Gentili, Domenico Martelli e Domenico Naccari. L'udienza di convalida dei fermi si è appena conclusa: il gip Fabrizio Gentili ha deciso che otto dei nove marocchini resteranno in carcere, accogliendo le richieste del sostituto procuratore Franco lonta. Per 0 nono indagato, Mohamed Ikbal, che si è consegnato tre giorni fa a Reggio Calabria, si dovrà pronunciare il gip di quella città. La procura di Roma porta a casa un primo risultato. In questa fase iniziale delle indagini ha bisogno di raccogliere indizi, elementi, di aspettare rapporti dettagliati dagli investigatori, del Ros dei carabinieri e della Digos, e nell'attesa chiede che gli indiziati restino al sicuro, in carcere, per evitare fughe e inquinamenti delle indagini. In particolare, punta l'attenzione su alcuni degli inda- gati, forse tre o quattro al massimo. Lo scenario delineato è potenzialmente gravissimo: un gruppo di terroristi sarebbe stato pronto a colpire l'ambasciata americana. A sostegno di questa tesi vanno il ritrovamento di quattro chili e quattrocento grammi di un composto di cianuro e di dieci chili di polvere pirica, una fotocopia delle Pagine Gialle dove è segnata la piantine tradale della zona di via Veneto, un dépliant-opuscolo dei lavori del Giubileo 2000, con la mappa delle reti idriche sotterranee dell'area e un misterioso buco praticato in un muro di calcestruzzo a tre metri nel sottosuolo, tra via Lucullo e via Boncompagni, ai confini delle fondamenta di palazzo Margherita, sede dell'ambasciata degli Stati Uniti. L'ipotesi attentato - vera o suggestiva che sia - viene presa fortemente in considerazione da Washington. Il settimanale «Time» che va oggi in edicola si chiede se «le strade di Al Qaeda conducono a Roma», mentre ambienti diplomatici di Oltreoceano ribadiscono che «la collaborazione tra Italia e Stati Uniti, nella lotta contro il terrorismo, resta stretta ed efficace», e oggi vi sarà un incontro a Roma tra gli inquirenti e lo staff diplomatico dell'ambasciata. Dunque, l'udienza di convalida dei fermi. Nella saletta del carcere di Regina Coeli, solo il pm lonta, il gip Gentili, gli indatati e i loro avvocati. L'udienza è stata registrata, nessun ufficiale di pg ha partecipato agli interrogatori. «Ci è stato chiesto il riserbo più assoluto - spiegano gli avvocati difensori - possiamo solo dire che non sono stati contestati elementi indiziari concreti. La nostra convinzione è che i nostri assistiti siano innocenti, gran parte di loro, di fede musulmana, si è dichiarata non praticante, non frequenta moschee e di Al Oaeda conosce solo quello che ha sentito dalla televisione o letto sui gioma- li». I difensori del gruppo dei quattro maghrebini fermati nella casa di via Buscemi dai carabinieri sottolineano: «Quell'appartamento era un porto di mare. Diversi nostri assistiti si sono dichiarati ambulanti, hanno detto che si ritiravano in quell'appartamento verso le nove di sera per uscirne alle cinque del mattino. Di quel composto di cianuro, poi, non ne sapevano nulla, e va sottolineato che è stato ritrovato non nella casa ma nella cassetta estema del contatore del gas. La polvere pirica, si sono difesi, non era altro che ciò che rimaneva dei botti di Capodanno». Il ferrocianuro di potassio. Secondo l'affittuario dell'appartamento di via Buscemi, Jmile Aziz, lui la cassetta del contatore del gas non l'ha mai aperta e la chiave era nella disponibilità dell'appartamento, che era «un porto di mare». Ma a che serviva quel composto chimico? Le mappe e le cartine ritrovate in via Buscemi e in via Sava, nel quartiere di Tor Bella Monaca, il buco scoperto dai tecnici dell'Acea e dai carabinieri nel sottosuolo, a pochi metri dall'area delle fondamenta dell'ambasciata americana, rappresentano indizi concreti, anche se vanno tutti approfonditi, che portano a un attentato. Su quel «buco», le cui fotografie sono state allegate agli atti dell'inchiesta, stanno cercando di capirne di più gli investigatori. «Nel sottosuolo romano - dice perplesso un poliziotto - vi sono tantissimi camminamenti che si incrociano. Il muro tra via Lucullo e via Boncompagni, come tanti altri, sono stati eretti da tempo per precauzione, per inlerrompere la possibilità di passare da inf camminamento all'altrQ.NpftaHjlamoJacertew? che il buco sia stato praticato di recente, sul punto, sull'ultima ispezione fatta, i tecnici sono stati alquanto generici». Interrogatorio di cinque ore, i sospetti maggiori su tre o quattro elementi Oggi incontro a Roma tra gli inquirenti e lo staff diplomatico dell'ambasciata Usa Un poliziotto controlla i cunicoli sotterranei di Roma dopo l'allarme per il possibile inquinamento dell'acquedotto

Persone citate: Domenico Martelli, Domenico Naccari, Elisabetta Gentili, Fabio Frattini, Fabrizio Gentili, Jmile Aziz, Mohamed Ikbal