Bush-Corea del Nord, duello sul 38° parallelo di Maurizio Molinari

Bush-Corea del Nord, duello sul 38° parallelo Bush-Corea del Nord, duello sul 38° parallelo Il presidente al confine dell'«Asse del Male», Pyongyang: «Boss del Male è lui» Maurizio Molinari corrispondente da NEW YORK George Bush inizia la sua visita in Corea del Sud con un aspro botta e risposta a distanza con Kim Jong II, leader del Nord, uno dei tre paesi da lui definiti «Asse del Male» (gli altri sono Iran ed Iraq). Prima di lasciare il Giappone il presidente americano ha parlato di fronte alla Dieta di Tokio, sottolineando l'impegno degli Usa affinché «in Asia non si ricorra più alla forza nelle dispute politiche». Senza mai nominare direttamente la Corea del Nord, né ripetere l'espressione «Asse del Male», Bush ha ribadito con determinazione l'impegno «affinchè il Sud-Est asiatico divenga una regione dove la proliferazione di missili e armi di distruzione di massa non minaccino più l'umanità». Poche ore dopo, atterrato in una base militare a Sud di Seul, il capo della Casa Bianca ha ricevuto la risposta di Kim Jong II attraverso «Radio Pyongyang»: «Gli attacchi dell'I 1 settembre sono stati l'inevitabile conseguenza delle pohtiche di Bush, è lui il vero e unico Boss del Male, senza pari nel resto mondo; senza i suoi disegni da guerraifondaio le nostre relazioni potrebbero migliorare». «Ma se gli imperialisti americani ed i reazionari giapponesi vogliono scatenare una seconda guerra di Corea - ha ammonito la radio di Stato del regime comunista - sappiano che la nostra vendetta sarà cento, mille volte più terribile». Di fronte alla base dove è atterrato centinaia di coreani hanno manifestato contro gli Usa mentre altri innanzavano cartelli a favore di Bush: «Se ve ne andate qui arrivano i comunisti». In questa atmosfera politica ad alta tensione Bush - quando in Italia erano le due del mattino - è andato a visitare assieme al premier sudcoreano Kim Dae Jung la fascia smilitarizzata lungo il 38" Parallelo che separa le due Coree dopo l'armistizio del 1953. Per incontrare un contingente dei 37 mila soldati Usa schierati lungo il confine Bush è arrivato a poche centinaia di metri dal territorio deir«Asse del Male». Ai marines ha mostrato una foto satellitare della penisola, dove risalta la differenza fra le luci disseminate ovunque nel Sud e presenti solo in alcune zone della capitale del Nord. «Questa è la differenza fra la luce della libertà e della democrazia e il buio del totalitarismo» ha detto. Operazioni militari. La macchina del Pentagono lavora a pieno regime. Il generale Charles Campbell è arrivato a Kabul con il compito di creare il nuovo esercito afghano, e un team di esperti militari è giunto nello Yemen per addestrare le truppe locali alla lotta al terrorismo. Nelle Fihpine vi sono stati ieri i primi scontri a fuoco fra soldati dell'esercito e i miliziani di Abu Sayyaf. Le truppe Usa non sono rimaste coinvolte ma erano a breve distanza. Forze speciali si stanno addestrando negli Stati Uniti in vista di possibili operazioni terrestri limitate in Somalia, dove aumenta la presenza di Al Qaeda. Ufficio propaganda al Penta- gono. Il «New York Times» ha rivelato l'esistenza dell'«Office of Strategie Influence» (Ufficio influenza strategica) affidato dopo l'I I settembre al generale Simon Worden e incaricato di diffondere «notizie favorevoli» alla guerra contro il terrorismo. Grazie a un budget di milioni di dollari e a un team di esperti nel condurre azioni di guerra psicologica, il generale Worden ha avuto l'incarico di gestire operazioni «bianche» e «nere»: le prime riguardano la diffusione di informazioni vere, le seconde di pura e semplice disinformazione. Fra i consulenti sotto contratto c'è il Ren- don Group di Washington, pagato centomila dollari al mese, già artefice dell'offensiva d'informazione a favore dell'opposizione irachena nel mondo arabo. Il Pentagono ha reagito con grande imbarazzo alla fuga di notizie, tentando di far fronte alle accuse di propaganda affermando che l'ufficio di Worden ha l'unico scopo di «divulgare le ragioni dell'America». La questione può comportare per il Pentagono seri grattacapi, perché la «disinformazione» svolta nei confronti di grandi agenzie di stampa - il «New York Times» cita la Reuters e la France Presse - può finire sui giornali americani e dunque violare le leggi votate dal Congresso alla metà degli Anni Settanta che impediscono a Cia e Difesa di fare propaganda in patria. Non a caso l'unica vera smentita giunta ieri dal Pentagono è stata: «Le azioni intraprese non si sono svolte e non sono dirette verso gli Stati Uniti». Cioè: verso l'estero invece sì. Il regime comunista: «Gli attacchi dell'11 settembre sono frutto della sua politica» II «New York Times» rivela l'esistenza di un ufficio propaganda al Pentagono che diffonde false notizie Un momento degli scontri che hanno punteggiato ieri l'arrivo di Bush a Seul: un dimostrante è portato via dalla polizia