Berlusconi e Fini, vertice di 40 minuti per un patto di «non belligeranza»

Berlusconi e Fini, vertice di 40 minuti per un patto di «non belligeranza» DURO BOTTA E RISPOSTA FIORI-BONAIUTI. «BASTA CON QUESTO PERICOLOSO SCONTRO ISTITUZIONALE», «NON SA DI CHE COSA PARLA» Berlusconi e Fini, vertice di 40 minuti per un patto di «non belligeranza» Il leader di An vuole poter designare il direttore generale senza il gradimento del premier In cambio non lancerà candidature per la presidenza: escedi scena l'ipotesi Baldassarre retroscena Ugo Magri ROMA PER mandare Silvio Berlusconi su tutte le furie, c'è un metodo semplicissimo: basta sostenere che lui sta esercitano pressioni sui presidenti delle Camere per le nomine Rai. Publio Fiori, che aveva dichiarato ieri qualcosa del genere, è stato centrato immediatamente da una saetta scagliata dal premier tramile il suo portavoce. Paolo Bonaiuti: «Fiori non sa di che parla... Il presidente del Consiglio non è intervenuto, non sta intervenendo e non interverrà nella vicenda Rai». La quale s'è ingarbugliata, argomentano a Palazzo Chigi, proprio perché Berlusconi non ha voluto occuparsene direttamente, altro che storie. In assoluta buona fede, Berlusconi davvero pensa di aver rispettato fino in fondo l'autonomia di Pera e Casini. Specie con quest'ultimo, sono parecchi giorni che non si sentono neppure via telefono. Se aveva dei malumori (eccome se ne aveva), il Cavaliere li ha tenuti per sé in un esercizio di pazienza che dev'essergli costato qualcosa, in termini di self control. Più che fare scene madri del tipo «ricordati, caro Pier Ferdinando, che su quella poltrona ti ci ho messo io», il Cavaliere ha tentato una strategia fondata sull'aggiramento. Mostrando qualità manovriere da professionista della politica, ha puntato al «divide et impera». Nella fattispecie, si è sforzato di rompere l'asse tra Casini e Fini che fin qui l'aveva messo seriamente in difficoltà. L'operazione, almeno in parte, sembra essergli riuscita. Ufficialmente non è filtrato nulla, dopo il lungo colloquio di ieri sera (quaranta minuti faccia a faccia) tra il premier e il suo vice. Fonti vicine a entrambi sostengono la cosa più ovvia, che Berlusconi e Fini si sentono più volte al dì, e dunque un loro incontro non fa notizia. In realtà, da quanto si è potuto capire, la notizia c'è, e riguarda proprio la Rai: tra i due è stata raggiunta un'intesa sul metodo. D'ora in avanti, nella partita di Viale Mazzini, eviteranno di mettersi reciprocamente i bastoni tra le ruote. Le indica- zioni che da oggi faranno giungere ai presidenti delle Camere, perché le valutino nella loro saggezza, non saranno più tra loro in competizione. Anzi, risulteranno alla fine perfettamente complementari. La premessa è quella cui il leader di An teneva di più: poter designare per la poltrona di direttore generale della Rai una figura di sua totale fiducia, senza che il premier faccia pesare il proprio gradimento. Fini è uscito dal colloquio serale convinto di avere portato a casa il bottino sperato. In altre parole, Berlusconi gli consentirà ampia facoltà di scelta tra i tanti nomi che circolano: da Guido Paglia a Massimo Magliaro, da Mauro Masi a Mauro Miccio. Tramontano così soluzioni barocche, di cui si parla¬ va ieri nel Transatlantico di Montecitorio, tipo: direzione generale al Ccd, in cambio della rinuncia a un consigliere d'amministrazione che andrebbe ad An. Niente di tutto questo. Fini ha puntato diritto alla meta. Berlusconi non gli ha sbarrato la via. A sua volta, però, il vice-premier rinuncerà a lanciare candidature per la presidenza Rai che possano entrare in conflitto con le soluzioni preferite dal Cavaliere. In altre parole, esce definitivamente di scena il nome di Antonio Baldassarre, che An aveva indicato quale possibile numero uno. Restano quelli di Carlo Rossella e, sempre più favorito, di Clemente Mimun. Inoltre, Fini fa un passo indietro rispetto alla scelta del nome. In base al criterio di reciprocità, eviterà di sollevare obiezioni sul colui che il presidente del Consiglio vorrà suggerire a Pera e Casini. Anch'agli confida nella buona volontà del Cavaliere. Il primo effetto pratico di quest'intesa è che i tempi della decisione finale inevitabilmente si stringono. Una volta ottenuto da Berlusconi ciò che voleva. Fini non ha più interesse a tirarla troppo per le lunghe. Anzi. Si spiega dunque il colpo di acceleratore dato ieri dal vice-premier, e la sua telefonata a Casini per convenire che si possono aspettare ancora un paio di giorni, cioè il tempo necessario per far votare a la Camera la legge sul conflitto di interessi, ma giovedì sera dev'essere il termine ultimo per le nomine. Casini, in quel preciso momento, ha avuto la conferma di avere perso una sponda. O, perlomeno, di non averla più salda come prima di partire venerdì scorso alla volta della Grecia. Da uomo politico nato nella Prima Repubblica, ha capito di non poter resistere a dispetto dei santi. Quando si hanno tutti contro, meglio essere realisti. Così ha promesso che giovedì sera metterà la firma sotto le nomine. A patto che Berlusconi non si impunti su Rossella (Mimun, per Casini, può andare). Berlusconi osserva la stretta di mano fra il presidente Ciampi e il card. Sodano all'ambasciata d'Italia presso la Santa Sede

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