«I miei testi: Clinton, Schroeder, Kohl, Dini» di Giuseppe Zaccaria

«I miei testi: Clinton, Schroeder, Kohl, Dini» «I miei testi: Clinton, Schroeder, Kohl, Dini» Milosevic chiama a deporre i potenti della terra: li interrogherò io Giuseppe Zaccaria inviato all'AJA Slobodan Milosevic chiama a deporre i polenti della terra: quelli, almeno, che lo furono finche in Jugoslavia contava anche lui. «Intendo chiamare a deporre Bill Clinton, Madeleine Albright, Gerard Schroeder, Helmut Kohl, l'ex ministro degli esteri Klaus Kinkel con il suo collega italiano dell'epoca, Lamberto Dini, il segretario generale dell'Onu Kofi Annan, molte delle persone che presero parte alle conferenza di Rambouillet...». Sarà un lungo elenco, una trentina di nomi, che presto il presidente Richard May troverà sulla sua scrivania sotto forma di richiesta ufficiale, una sorta di «clusterbomb» depositata sotto gli equilibri politici intemazionali. Le «cluster bombo, o bombe a grappolo, furono usate dalla Nato durante le incursioni sulla Jugoslavia e ieri buona parte dell'intervento di Milosevic è stato dedicato a documentarne gli orribili effetti sulla popolazione. Questo, però, è un grappolo di citazioni che provocherà effetti meno letali ma forse più dirompenti. A buona parte degli uomini più famosi della terra verrà chiesto di presentarsi all'Aja. L'articolo 9 dello statuto del Tpi proclama il primato di questa procedura su qualsiasi legislazione nazionale. Il presidente May può prendere nota e invitare le persone designate, ma non ha il potere di costringerle a comparire. Se però non lo facessero, in qualche modo comprometterebbero l'autorità del tribunale che esse stesse, attraverso il Consiglio di Sicurezza dell'Onu, hanno contribuito a creare. Milosevic lo sa e gioca le sue carte senza alcuna remora. Forse converrà precisare che la presenza di Dini non dovrebbe avere nulla a che fare con la vicenda Telekom, ma piuttosto col «salvataggio» di Rugova e con il ruolo di «ambasciatore» dell'Ue che il nostro ex ministro svolse: convincendo Milosevic ad accettare prima i risultati delle elezioni comunali di Belgrado, nel '96, poi la presenza dell'Osce in Kosovo. Slobo, in ogni caso, va dritto per la sua strada. Parla di Kosovo, di Nato, di bombardamenti occidentali e anche dei kosovari del dopoguerra: difendendo con passione la minoranza serba, come se fosse ancora presidente in carica. Non dedica una sola parola alle accuse riguardanti Croazia e Bosnia. Il perchè è chiaro: l'ex presidente non si cura di accuse sostenute dagli stessi governi, in qualche caso dagli stessi governanti, che fino a Dayton (dicembre '95) parlavano di lui come del «grande costruttore di pace». Milosevic vuole che questa sfilata di potenti confermi le proprie tesi sul ruolo che la Serbia - e lui stesso svolsero fino a quell'epoca. Ruolo politico, beninteso. Quanto alle trucide vicende guerresche (soprattutto bosniache, e nel caso della Croazia concentrate a Vukovar) vale la tesi sostenuta l'altro ieri. Gruppi di banditi o volontari possono esser stati responsabili delle azioni più sanguinarie, senza che per questo la responsabilità possa essere iscritta al capo di un altro Stato. Nel torrenziale intervento di Milosevic (altre sei ore, ieri) l'elemento che più risalta è il modo in cui finora l'imputato ha difeso sé stesso con l'aria di non farlo. Non si è mai detto «innocente» (anzi, a questa domanda nella lontana prima udienza rispose col famoso «It's your problem»): contìnua piuttosto a parlare dei serbi e della Nato, di informazione e campagne di propaganda, con l'aria di riferire sempre e soltanto fatti. Tra la foto di una bambina massacrata, di una famiglia carbonizzata, di un autobus distrutto o dei trattori di rifugiati albanesi colpiti senza ragione, in un procedere simmetrico di immagini e orrore, lui mantiene il registro di un notaio. Però non appena intrawede spiragli per una battuta, una notazione, un aneddoto pohtico o una reazione sferzante, ne approfitta. Ieri mattina, per esempio, uno dei vice procuratori (la signora Del Ponte era a Banja Luka) ha sbadigliato di fronte alla ripetizione ossessiva di foto della Jugoslavia distrutta. «Forse al procuratore queste cose non interessano...», ha ironizzato Slobo. Le immagini di quei 76 giorni di bombardamenti continuano a provocare reazioni inorridite e Milosevic a tratti inserisce commenti a effetto: «Questi due corpicini coperti da pigiami erano di bambini che stavano dormendo: chissà se può dormire chi ha compiuto un simile orrore». 0 ancora: «Questa era una contadina che lavorava in piena campagna: a quale pazzo può essere venuto in mente di lanciarle una bomba?» Tutto questo, però, riguarda il passato. Del presente Milosevic continua a parlare come un presidente in carica, raccontando la situazione in Kosovo, di 3 mila serbi uccisi dopo la guerra, 2.400 rapiti, 1.300 scomparsi per sempre. «Alla Cnn ho visto centinaia di Volte le immagini dei grandi Buddha di pietra distrutti dai taleban: non un solo fotogramma dei 170 Ara monasteri e chiese fatti saltare in Kosovo e Metohja dagli estremisti albanesi...». C'è anche spazio per una veloce polemica con il presidente Richard May, il quale al secondo giorno d'intervento chiede cortesemente a Milosevic quanto preveda di parlare ancora. Lui ribatte: «Non ho difensori, mi sono preparato da solo: diciamo che sono circa alla metà delle cose che ho da dire». E non appena May si prova a porre un termine a quest'alluvione, lui reagisce: «Non credo che lei abbia il diritto di limitare le mie dichiarazioni...». L'incidente però rientra subito. Tornato gentile Slobo promette che lunedì prossimo parlerà solo per un' altra ora e mezza. Poi, largo ai testimoni d'accusa. Un battagliero Slobodan Milosevic nella seconda giornata della sua arringa. Parlerà ancora lunedi, per un'ora e mezza ..