«Una carneficina in nome del potere personale» di Giuseppe Zaccaria

«Una carneficina in nome del potere personale» «Una carneficina in nome del potere personale» Per quattro ore e mezzo l'accusa elenca orrori al processo contro Milosevic Giuseppe Zaccaria inviato all'AJA «So che questo processo entrerà nella storia», dice Carla Del Ponte, e nello stesso istante il faccione di Slobo si contrae in un sorriso sardonico. Il processo incomincia, con la dovuta solennità si celebra un rito atteso da tutto il mondo, però gli officianti appaiono tesi come se risentissero della pressione mediatica. La parola è all'accusa, per quattro ore e mezza nell'aula si rincoirono rievocazioni e racconti, ma ciò che ne emette sembra appartenere più alla storiografia che al diritto. E' vero, a un certo punto della sua introduzione la signora Del Ponte annuncia che il Tribunale intemazionale «ascolterà le testimonianze di militari di alto rango, diplomatici, rappresentanti dei governi e altre persone di alto livello», ma in attesa che questi testimoni-chiave compaiano le cose sembrano avviarsi in modo incerto, ancora a metà strada fra un esame delle responsabilità dell'uomo e un giudizio poUtico. Nonostante le enfatizzazioni di questi giorni l'Aja non è, e non deve essere una nuova Norimberga. Qui non esistono vincitori che giudichino i vinti, se non altro perché, dopo dieci anni di sangue, nei Balcani non ha vinto nessuno. Qui non si processano un regime e una classe politica ma si giudica un uomo solo. Eppure nelle premesse di ieri l'impostazione dell'accusa è apparsa profondamente legata a due presupposti: da un lato l'idea della «Grande Serbia» che avretìbe unifi-'cato la politica dell'orrore in Croai zia.'BBsnia'l KSSSvò' dall'alida la personalità di Milosevic. Chi è l'ex presidente di Jugoslavia? A giudizio della signora Del Ponte, «un tattico eccellente ma un pessimo stratega», un uomo che «non ha fatto altro che seguire la sua ambizione, al prezzo di immense sofferenze imposte a coloro che gli si opponevano o rappresentavano una minaccia per la sua strategia personale del potere». Nel quadro dipinto dal procuratore non c'è spazio per le mezze tinte: «Questo processo entrerà nella storia e noi dobbiamo svolgere il nostro ruolo alla luce della storia... Non cercate ideali dietro gli atti dell'imputato: tutto nell'accusato Milosevic è strumento al servizio della sua corsa verso il potere... è stato autore dei peggiori crimini conosciuti dall'umanità... non le convinzioni personah, né il patriottismo o l'onore, e nemmeno il razzismo o la xenofobia hanno animato le sue azioni, ma solo la ricerca del potere personale». Insomma, se una sintesi si può trarre da questi primi interventi, il Milosevic disegnato dall'accusa è un incantatore di serpenti che per più di dieci anni ha mobilitato le masse serbe sventolando ideali cui era il primo a non credere. E che per questo ha inflitto a innumerevoli vittime «sofferenze la cui lettura oggi è insostenibile». La questione centrale resta però la medesima: anche a voler considerare esatto questo excursus storicopolitico, esiste prova che Slobodan Milosevic, finanziando i serbi di Croazia e di Bosnia oppure non opponendosi al sorgere delle varie milizie, abbia ordinato i massacri, reso possibili le «pulizie etniche»? La signora Del Ponte lo ritiene responsabile anche della sorte «dei serbi rifugiati dalla Croazia, dalla Bosnia, dal Kosovo, abusati dal suo potere, e le cui paure furono nutrite, amplificate, manipolate per servire i suoi piani criminali». All'intervento del procuratore più famoso del mondo ieri è seguito quello del primo dei suoi assistenti, l'inglese Geoffrey Nice, che nel presentare un quadro più preciso delle accuse ha usato registri diversi. Prima, testimonianze di donne che in Bosnia hanno subito di tutto, rilette coi toni che tante sofferenze meritavano; poi la proiezione di alcuni filmati che dovrebbero dimostrare un elemento già ampiamente acquisito, ovvero l'attaccamento di Slobo al potere. Uno, in particolare, mostrava l'inizio della storia. Il famoso discorso di Kosovo Polje col quale nell'87 l'allora «compagno» Milosevic reagì allo stupro di alcune suore ortodosse da parte di albanesi. Un serbo kosovaro gli si rivolse dicendo: noi protestiamo e la polizia ci picchia. La risposta che valse una presidenza fu: «Nico vas vise nece tuci», nessuno vi picchieràpiù. Le tesi del procuratore Nice rappresentano l'ovvia estensione del quadro disegnato dalla Del Ponte, ma con un passaggio in più. A un certo momento, dopo aver ricostruito un'altra tragica vicenda bosniaca, il viceprocuratore ha detto: «Milosevic non ha mai voluto confrontarsi con le sue vittime: era in grado di osservare quesi eventi dal suo alto scranno politico, di osser¬ vare i crimini commessi da altri in suo nome...». Ed ecco il passaggio rivelatore: «In un'epoca come questa, in cui stampa, radio e televisione ci portano la guerra in casa, lui non poteva non sapere...». L'assioma si estende: se non ha ordinato sapeva, e comunque non poteva non sapere, e se non poteva non sapere non ha fermato i massacri. Da questa frase scaturisce la prima, seria polemica del processo: Jacques Verges, celebre avvocato francese che appartiene al gruppo dei «consigberi legah» dell'ex presidente, spara ad alzo zero definendo simili argomenti «ridicoli e puerili». Secondo Verges, non solo l'intervento della Del Ponte è stato «polemico, violento e ingiusto, al punto tale da accusare Milosevic di essere responsabile delle sventure del serbi cacciati dalla Croazia. Qualche responsabihtà ce l'hanno anche i croati, mi sembra...». Ma ancora più duro Verges è stato con Nice: «Dopo aver parlato di uno stupro ha detto che Milosevic ne era di sicuro al corrente dato che guarda la tv. E' un argomento pueiile, siamo al livello di bambini delle elementari». La sensazione è che qualcosa stia cambiando dentro e intorno alla «Norimberga del Terzo Millennio». D'un tratto, e in maniera del tutto inaspettata, i finanziamenti a un Tribunale nato per durare 15 armi sono stati tagliali, quasi a voler porre un termine a un'attività che fino ad oggi può nutrirsi di un solo «imputato eccellente». Nel.lo stesso ^ipmento, sir,apre un processo «storico» eppure tenuto assieme dà un collante che storicamente non ha grandi probabilità di reggere.'L'Idea della «Grande Serbia» si è perpetuata negli anni come conseguenza delle inteipretaziorà giornalistiche di un documento firmato nel 1^86 da alcune mummie nella Belgrado accademica. Era il famoso «Memorandum» dell'Accademia delle Scienze - per altro sempre riprodotto in forma parziale - in quel momento dedicato più che a un espansionismo nazionalistico alla difesa di un'etnia che, a torto o a ragione, si riteneva discriminata. Insomma: il forte impatto, ma forse anche il limite di questo giudizio, consistono nel fatto di avere ancorato tutto ad una visione «politica» degli eventi che - come ogni visione «politica» - può cambiare, in base ad avvenimenti, convenienze e circostanze. L'improvvisa aggressività dei consigberi legah di Milosevic - fino a pochi giorni fa attentissimi a non disturbare giudici e procuratori - forse si spiega anche con il cambiamento del clima che accompagna e sostiene questo processo. Nato come primo esempio di organo supernazionale di giustizia, col processo a Milosevic il Tribunale dell'Aja affronta anche un giudizio sulla sua stessa esistenza. «Un tattico eccellente ma un pessimo stratega Ha seguito soltanto la sua ambizione al prezzo di immense sofferenze per chiunque gli si opponeva». Per l'avvocato Verges sono argomentazioni" «ridicole e puerili» krar g •:-~ nw J ; Carla Del Ponte a circuito chiuso, a beneficio della sala stampa di Scheveningen, durante la prima giornata del processo