Chi non lavora fa l'amore di Cesare Martinetti

Chi non lavora fa l'amore LA FRANCIA HA SCOPERTO CHE LE 35 ORE NON SONO RIUSCITE A AUMENTARE L'OCCUPAZIONE, MA HANNO CAMBIATO IL MODO DI VIVERE Chi non lavora fa l'amore Cesare Martinetti corrispondente da PARIGI ..C ì, sono pigro. E allora?» ^O Xavier Royaux, direttore commerciale di Jean SMontmarin, inventore della campagna di lancio del cyber mercato www.houra.fr, non nasconde il sottile piacere di essere stato uno dei primi a osare lo slogan che rovescia il tabù: «La gente non si vergogna più della propria pigrizia. Prendersi il tempo della vita significa vivere nello spirito del tempo. Tutto questo è diventato possibile grazie alla riduzione del lavoro». E i pubblicitari, filosofi e interpreti del presente, ne approfittano. «Prendetevi la comodità di andare veloci», dicono le ferrovie. «Fatevi la scorta di tempo libero», suggerisce Telemarket. ((Aspettando di lavorare meno in ufficio, lavorate di meno in vacanza», consiglia Monoprix. Tre anni dopo che la promessa elettorale è diventata realtà per legge, la Francia scopre che le 35 ore non serviranno ad aumentare l'occupazione (dopo due anni di crescita, da otto mesi è in calo), ma stanno cambiando i riflessi della società. «Il lavoro non è più la grande ideologia, né un imperativo categorico», spiega il sociologo Michel Maffesoli. «Gli individui si ritirano verso la sfera privata», sentenzia Guy Groux, direttore del centro di ricerche Cevipof. «Anche gli internisti, che sono studenti, rivendicano la riduzione del lavoro», si lamenta Bernard Kouchner, ministro della Sanità da sei mesi impegnato nell'irrisolvibile rompicapo delle 35 ore negli ospedali. La Francia 2002 sta rivelando una faccia sconosciuta e L'Express, in ima documentatissima inchiesta, si chiede: «Ma chi ha ancora voglia di lavorare?». In effetti, spiega Xavier Charpentier, stratega di una grande impresa di pubblicità, «il lavoro è stato desacralizzato, non definisce più l'uomo come individuo sociale ed è un vero mutamento di civiltà». Ciò che rende una persona interessante non è più la sua professione, ma ciò che questa persona fa nel tempo libero. La domanda del lunedì mattina è diventata: «Cosa hai fatto nel weekend?». E già il giovedì sera o al più tardi il venerdì mattina, salutando i colleghi di lavoro, si dice: «Bon weekend!». Le 35 ore, sentenzia Charpentier, sono il sintomo di una vera «rivoluzione nella mentalità e rispondono a un nuovo desiderio: avere più tempo libero per meglio realizzarsi. Pubblicitari e politici ne devono tenere conto». I pubblicitari l'hanno capito, i politici non si sa. In tempi di campagna elettorale in Francia si parla di tutto, ma le 35 ore sono trattate con prudenza. Certo,- la sinistra ne rivendica paternità ed effetti positivi, ma con cautela perché da otto mesi il tasso di disoccupazione è tornato a crescere e tuttora l'amministrazione pubblica è alle prese con la gestione della riduzione del tempo di lavoro che, dopo averla imposta alle grandi imprese, non sa come risolvere nei propri uffici. E il Consiglio Costituzionale, soltanto un mese fa, ha bocciato la copertura finanziaria della legge mettendo in grave imbarazzo il governo Jospin. La destra semplicemente evita la questione perché nessuno, come ha detto in un'intervista Alain Juppé, l'ultimo premier gollista, può pensare di vincere le elezioni contro le 35 ore. Un economista moderato, ma spesso critico con Chirac come Nicolas Baverez, ha scritto che le 35 ore sono uno scacco economico, sociale e finanziario. E soprattutto non producono lavoro dato che la disoccupazione è scesa dal 12,5 air8,5 nei primi due anni quando l'economia tirava; e ora che tira un po' meno, ma che le 35 ore sono obbligatorie per tutti, è risalita al 10 per cento. Dati controversi e su cui si può discutere all'infinito. E' certo invece che, concepita come una misura per creare lavoro, la rivoluzione delle 35 ore ha innescato cambiamenti di costume che nessuno aveva immaginato. Un'indagine dell' istituto di sondaggi Ifop, per esempio, dice che il 62 per cento dei francesi ritiene che la riduzione del tempo di lavoro ha avuto un impatto negativo sull'economia. Lo stesso 62 per cento dice però che ha avuto un effetto molto positi¬ vo sulla propria vita privata; ma il 61 per cento afferma che l'impatto è stato disastroso sulla vita professionale. Chi tiene al proprio lavoro si ammala, Il Nouvel Observateur parla di un'«epidemia» di depressione sul lavoro e i più depressi sono i quadri sottoposti a un doppio stress: più responsabilità, meno riconoscimento. Per loro le 35 sono state un disastro, per il direttore aggiunto dell'Edf di Besangon la fine: si è ammazzato qualche mese fa, i medici della sicurezza sociale hanno riconosciuto un legame «diretto e determinante» tra la sua depressione, il lavoro e il suici- dio. «E' rimasto schiacciato tra due opposte esigenze aziendali - ha raccontato un suo collega -: gli chiedevano di tagliare i bilanci e contemporaneamente doveva assumere centodieci persone per effetto della riduzione del tempo di lavoro». E c'è da aggiungere che sicuramente gli toccava lavorare ben più delle 35 ore uguali per tutti. Il solito sondaggio Ifop di appena un mese fa sintetizza tutto questo stato d'animo con un 71 per cento di quadri «en colere», noi diremmo «incazzati». Ma se gli effetti del lavoro accorciato, rimaneggiato, ristrutturato si capiranno tra un po', quelli della crescita del tempo libero sono già evidenti. Sono esplose le domande di pensionamento anticipato che fino a pochi anni fa era invece considerata una condizione di vergognosa emarginazione. I giovani scelgono di guadagnare meno, ma di avere più tempo libero. Le aziende si attrezzano moltiplicando attività di dopolavoro per fidelizzare i dipendenti: alla Bouygues-Telecom hanno aperto un corso per creare siti web e in qualche mese si sono iscritti in mille. Nella banlieue sud di Parigi due maestre, Sylvie e Anne-Marie, si sono inventate corsi di recupero per i figli dei genitori amanti di weekend lunghi: scuola «à la carte», come un ristorante. L'Associazione «Avventure alla fine del mondo», che organizza viaggi e vacanze, è in pieno boom. Una nuova dimensione si afferma nell'esistenza quotidiana: i «baladeurs», quelli che vanno a spasso. E intanto l'Insee (l'Istat) rivela che nel 2001 c'è stato un baby-boom: la Francia è balzata al primo posto per nascite in Europa insieme all'Irlanda. Segno di «fiducia nel futuro e di una certa leggerezza nella vita», commenta Le Monde. Ci sono notizie peggiori. 7 Diminuisce il desiderio di impieghi, crescono le nascite e le richieste di prepensionamento I dirigenti sono vittime di un doppio stress: hanno più responsabilità e meno riconoscimenti il primo ministro francese Lionel Jospin; qui accanto una manifestazione a favore delle 35 ore

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