Van Dongen

Van Dongen Van Dongen Lo scandaloso ultimo fauve LA MOSTRA DELLA SETTIMANA Marco Rosei NOVANTA quadri e disegni, acquerelli, incisioni intomo alla lussureggiante Donna dal cappello verde di Kees van Dongen depositata presso la Fondation Gianadda. Il pittore, nella Parigi occupata del 1941, accettò di recarsi in viaggio «culturale» in Germania con gli altri due vecchi fauves Derain e Vlaminck, con tè finale ai Champs-Elysées sotto gli obbiettivi dei fotografi del Propaganda Staffel. Da allora, la Francia culturale ma anche quella mondana, già suo terreno di pascolo e di caccia, gli voltarono le spalle. Anche se nel dopoguerra fu ancora ritrattista sulla Costa Azzurra della Begum nel 1946, come dieci anni prima dell'Aga Khan, e di Brigitte Bardot nel 1958. Rimase supremamente indifferente il sessantenne che all'inizio del secolo era stato il violento illustratore anarchico nell'AssietLA MODESETTIMarc te au beurre e vicino di Picasso al Bateau-Lavoir, in un piccolo atelier dove fischiettava le canzoni di Aristide Bruant per fare addormentare la neonata Dolly, mentre Picasso, Max Jacob e André Salmon facevano collette per comperarle 11 nuovissimo borotalco. Altri erano gli scandali che egli aveva accuratamente fomentato, come il sesso della moglie Guus al centro esatto di Tableau, esposto al Salon d'Automne del 1913, sequestrato dalla polizia per ordine del segretario delle Belle Arti e definito «ordure» su Paris-Midi. Nel calore tonale fra la carne e i due diversi arancioni elettrici delle calze e dello scialle spagnolo spalancato conserva ancora intatto in mostra il suo potere di provocazione déco in anticipo. Questa indifferenza all'emarginazione fino alla morte emblema- STRA LA MANA Rosei tica nel maggio 1968, così da giustificare il trafiletto su Le Figaro Littéraire: «Van Dongen, il Fauve diventato vecchio», può essere coerente con la sua più volte dichiarata poetica di una pittura puramente vitalistica, sensuale, votata solo alla bellezza elementare della menzogna e dell'inganno. Ma se guardiamo bene all'interno della sfilata in mostra dei ritrattimanichini mondani, fra l'Autoritratto del 1922 en travesti come Nettuno, con il transatlantico sul fondo, e il Mantello di cigno, esposto alla Biennale del 1930, che ai Sei di Torino presenti dovette sembrare uno stupefacente pastiche fra la loro propria pittura e Giacomo Grosso, possiamo ben pensare che fra i pellegrini in Germania proprio Van Dongen fosse ben conscio di partecipare al funerale (a Vichy) di quel mondo in cui aveva brillato e trionfato, ma che aveva anche svelato in tutta la sartriana «nullità», con una segreta ferocia quasi da calvinista alla rovescia, grazie alla fredda lampante violenza della sua pittura. In un durissimo capolavoro in mostra, il Ritratto di Jasmy Jacob, «Jasmine la Terrifiante», direttrice della casa di mode Jenny che non aveva interrotto le sfilate nemmeno sotto i colpi della Grossa Berta su Parigi e compagna per un decennio dell'artista, veste, volto, atteggiamento coincidono in maniera impressionante con Maude George, l'avventuriera falsa "cugina" del falso ufficiale russo bianco Karamzin a Monte Carlo nelle Femmine/oZZi di Stroheim del 1921. Non è dunque un caso che i nove acquerelli della Fondazione Thyssen-Bornemisza,pur cromaticamente magici e degni di Chagall, trasformino A la recher- che du tempsperdu in una serie di volgari vignette, da Vie Parisienne. Le qualità abbaglianti del pittore mondano del primo dopoguerra nascono dal bombardo pittorico dei primi due decenni del secolo. E qui constatiamo che la formula «fauve» gli sta stretta altrettanto e forse più che a Matisse. In realtà Van Dongen è un grande fattorino europeo della Parigi intemazionale precubista. Egli nasce come vorticoso narratore modernista fra Steinlen (I parapioggia) e un altro irregolare prefauve come Valtat {Ballo al Moulin de la Gaiette) e cresce facendo turbinare in vortici persino prefuturisti la grossa «tache» pointilliste di Matisse e Marquet nei primi anni del secolo. Non si può non pensare al Beverini 1911-13 guardando i tre frammenti 1904-5 del grande Moulin de la Gaiette fatto a pezzi o la Cavalcata sui maiali. Ed è immediato il confronto fra Lo sproloquio, l'opera più importante nella sala famosa dei «Fauves» al Salon d'Automne d^ì 1905, e Cancan del salaschese Cominetti, con studio a Montpamasse e poi a Montmartre nella prima metà del secondo decennio. Per rimanere al rapporto con gli italiani, vi è da chiedersi se alla Secessione romana del 1913 abbiano avuto più effetto Matisse o la Donna in bianco concessa alla mostra dalla GNAM di Roma. Vi sono poi i rapporti con l'espressionismo tedesco: Van Dongen fu membro della Brucke assieme a Nolde. Mi chiedo quanto hanno contato le ombre verdi ereditate dal Matisse 1905 e gli enormi occhi bistrati delle teste femminili per Jawlensky. Il viaggio in Spagna e Marocco del 1910 frutta opere come il gidiano Giovane Arabo che eguagliano il più estremo Matisse cromista puro, quello in Egitto del 1913 le bellissime Fellahines del Pompidou, che preannunciano il viaggio di Macke e Klee in Marocco. ALLA FONDAZIONE GIANADDA DI MARTIGNY SI RIPERCORRE LA CARRIERA D'UN ARTISTA VITALISTICO E SENSUALE, SU CUI PESO' NEL DOPOGUERRA L'ACCUSA DI COLLABORAZIONISMO «Femme aux deux colllers», olio su tela di Van Dongen, del 1911 Van Dongen Martigny, Fondation Gianadda Orario tutti iglornll 0-18 Fino al 9 giugno.