Intifada numero 2, di chi è la colpa?

Intifada numero 2, di chi è la colpa? Intifada numero 2, di chi è la colpa? diAlufBenn- B'merchak Negi'a (Fuori della nostra portata) di Gilead Sher Yedioth Ahronot 2001 453 pagine (in ebraico) Madrich LeVona Ptzu'a (Manuale per una colomba ferita) di Vessi Beilin Yedioth Aharonot 2001 304 pagine (in ebraico) Che cosa è andato storto nel processo di pace? E questa la domanda che risuona da quando nel luglio 2000, tra aspre recriminazioni, fallirono all'ultimo momento i negoziati di pace di Camp David tra israeliani e palestinesi. Dopo un anno e mezzo di combattimenti e attentati suicidi, entrambe le parti non solo sembrano convinte dell'Inutilità di cercare una sistemazione definitiva, ma si domandano se l'intero percorso di negoziati intrapreso a Oslo abbia fatto, in realtà, più male che bene. Capire perché a Camp David si è sfiorato l'accordo per poi riaccendere il conflitto ha un senso che va oltre il consueto gioco dello scaricabarile che le due parti fanno a scopo di propaganda. A indicare la via d'uscita dal mortale stallo di questi mesi potrebbe essere - per quanto ora sembri improbabile - proprio la lezione da imparare da quel fallimento. Due tra i più importanti negoziatori di pace israeliani hanno mandato alle stampe le loro memorie, in cui danno spiegazioni alquanto differenti del perché il processo di pace è fallito proprio nel momento in cui la fine del conflitto sembrava un obiettivo politico ragionevole. Gilead Sher, giurista e amico personale dell'ex primo ministro Ehud Barak, negoziatore di punta per conto di Israele, nel suo libro imputa a Yasser Arafat la responsabilità del fallimento. "Malgrado gli errori commessi, Barak è stato un leader coraggioso e lungimirante, mentre Arafat ha fallito come uomo e come capo nel momento cruciale delle decisioni". Al contrario Yossi Beilin, figura storica della sinistra israeliana e promotore dei negoziati di Oslo con i palestinesi, distribuisce le responsabilità dell'insuccesso su entrambi i leader, imputandone tuttavia la quota maggiore agli errori di Barak. A suo modo di vedere "L'inutile temporeggiamento di Barak ricordava ai palestinesi il comportamento di Netanyahu, mettendoli in difficoltà". Camp David doveva essere il culmine del processo di pace. Ricalcato sul modello del summit che nel 1978 sortì il trattato di pace tra Israele ed Egitto, Il negoziato del 2000 dava per scontato che facendo incontrare I due leader, sotto gli auspici del presidente Clinton, si sarebbe prodotta la spinta necessaria alla realizzazione di un accordo. Per quanto diverse, le due versioni dei fatti confermano quello che gli ossen/atori esterni avevano capito da tempo: la conferenza fu preparata male. Clinton fece tutto il lavoro da solo, mettendo sul tavolo le sue proposte e chiedendo ai suoi ospiti di prendere o lasciare. La posta in gioco era altissima e la tensione alle stelle. Gilead Sher ricorda l'episodio in cui Clinton perse la pazienza e alzò la voce contro Abu Ala, negoziatore palestinese. "Abu Ala si allontanò, pallido e offeso. A posteriori è possibile dire che si trattò di una rottura più profonda di quanto fosse immaginabile", afferma Sher, secondo cui il Presidente americano avrebbe dovuto imporre una maggiore disciplina ai suoi ospiti. Arafat esitò di fronte alle proposte israeliane e Clinton dichiarò chiusi i lavori. Yossi Beilin, che era rimasto in patria e cercava di allargare 1 consensi al primo Alul Benn. editorialista diplomatico del quotidiano israeliano Ma'aretz. si occupa dei negoziati tra Israele e Palestina dal 1993. Traduzione di Elena Frasca Una vera rarità sul muri di Gaza: la colomba della pace

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