Il padre: adesso togliete l'assedio alla mia famiglia di Renato Rizzo

Il padre: adesso togliete l'assedio alla mia famiglia Il padre: adesso togliete l'assedio alla mia famiglia Inseguito da una troupe televisiva mentre cerca pace in montagna «Fanno l'ipotesi del folle? Era ora che smettessero di sospettarci» Renato Rizzo inviato a COGNE In questo paese, tra questa gente sgomenta, c'è un uomo che potrebbe nascondere, in qualche luogo, un oggetto metallico insanguinato ed un terribile segreto dentro di sé: un «folle» che ha aggredito, forse per una «vendetta», un bambino di tre anni e lo ha ucciso con diciassette fendenti. L'assassino non arriverebbe da lontano e non è un lupo mannaro che ammazza per il gusto di ammazzare, ma, probabilmente, una persona che tutti conoscono e tutti salutano, l'uomo «della porta accanto», quello che ti offre un caffè al bar, che accarezza tuo figlio quando lo incontra per strada, che, in questi giorni, ha la faccia contrita di tutti i «cognein». Il procuratore della Repubblica di Aosta invia un messaggio che vuol essere rassicurante: «Mi sento di dire tranquillamente che le mamme possono stare serene: non c'è un bruto che gira per le case ad uccidere i bambini nei loro letti, né si può parlare di un serial killer». Poi, però, aggiunge che «si pensa ad un'eventuale vendetta esercitata da un folle». E si innesca rinnovata ansia, attuti¬ ta da un'altra frase distillata dal magistrato: «Possiamo affermare che i sospetti sulla madre del piccolo ucciso non trovano fondamento in nessun dato concreto». Una dichiarazione d'innocenza? L'assicurazione che Anna Maria Lorenzi escg da questa torbida storia nelle vesti infamanti di potenziale infanticida per restarci solo in quelle di madre a cui la violenza di uno sconosciuto ha rubato un figlio? Forse non è proprio così: le indagini su di lei continuano e si dice che le affermazioni della Procura potrebbero essere un mezzo per allentare la tensione di gente «martoriata» più che un modo di scagionare la donna da ogni sospetto. Alla speranza che queste parole siglino la fine di un incubo s'aggrappa, naturalmente, la famiglia del piccolo ucciso: «Era ora che la smettessero di indagare solo su noi - mormora Stefano Lorenzi con un sospiro liberatorio -. Era ora che ci lasciassero piangere senza avvelenarci con certe insinuazioni. Io me lo ero domandato fin dal primo giorno: "Che cosa posso aver fatto di male per ricevere in cambio un simile gesto? Chi può avercela con me, con noi?"». Nel pomeriggio il padre del bimbo assassinato non ha retto allo stress: è salito sul suo fuoristrada bianco per cercare una pace impossibile sulle montagne. Una troupe televisiva s'è messa al suo inseguimento: lui l'ha lasciata indietro imboccando un sentiero, poi, giunto alla curva più alta, è sceso ed ha urlato con quanto fiato aveva in gola: «Sono qui, sono qui!». Una cronista l'ha raggiunto e gli ha teso la mano per salutarlo: «Perché dovrei stringergliela?», ha domandato lui, tenendo le braccia inchiodate lungo i fianchi. Tornato a casa e scaricata l'adrenalina della rabbia ha chiamato l'amico sindaco per chiedergli un favore: «Fa un appello perché ci lascino in pace e tv e giornali tolgano l'assedio sotto casa nostra. Ci sono momenti in cui sentiamo il bisogno di prendere una boccata d'aria. Non possiamo fare neppure una cosa concessa persino ai carcerati». Nella «prigione» del residence «Cascate» lui e la moglie non smettono di interrogarsi. E con loro, s'interroga un intero paese a cominciare dal sindaco Osvaldo Ruffier: «Una vendetta nei confronti di Stefano? Non posso crederci. Da quanto ne so^io :è-un uomo senza nemici, generoso, disponibile. Anche in consiglio comunale si è sempre mostrato più incline alla mediazione che agli strappi». A frugare negli armadi che custodiscono i ricordi di beghe di paese, Lorenzi viene fuori solo per la storia di una strada: quella che porta a casa sua e che, per essere realizzata, ha comportato un esproprio non certo indolore di circa mille metri di terreno a sei-sette famiglie. «Si trattava di un progetto approvato, non si è verificato nessun ricorso. Ma vogliamo scherzare? Di litigi così ne avvengono a migliaia: se per una cosa del genere si dovesse arrivare a certi estremi, qui saremmo- tutti morti». Qualche ruggine durante la campagna elettorale che l'ha portato sui banchi dell'opposizione? «No, no. Qui non si corre mica per un seggio in Parlamento. E, poi, questo è un paese dove l'ultimo pugno per una lite risale agli Anni '50, quando c'era ancora la miniera. Da allora non ne ricord&più», s'accalora il sindaco che in quei cunicoli ha lasciato trent'anni di vita e molti rimpianti. Poi lui stesso chiarisce: «No, i problemi veri nascono quando ci si scontra per motivi più intimi, personali». Ha avuto di questi litigi, Stefano Lorenzi? Qui a Cogne la gente lo vede il sabato e la domenica o durante le sedute consigliari. Ma chi, se non lui stesso, conosce la propria vita che si dipana in giorni di dodici ore di lavoro? L'uomo ripercorre da mercoledì il film degli incontri con amici e sconosciuti, cataloga facce e discorsi, enuclea dettagli che possano essere spia di invidie o di rancori. Glielo hanno chiesto gli investigatori, lo ha ribadito il magistrato: «Questa famiglia avrà pur un nemicò: chi non ne ha?». E ieri Cogne non ha voluto partecipare al collegamento con «Porta a Porta» per la trasmissione dedicata all'assassinio del piccolo Samuele. Nonostante gli inviti alla comunità, al parroco, agli amici di famiglia, tutti si sono negati, restando a casa, chiusi nel loro dolore. A rappresentare la cittadinanza solo il sindaco Ruffier: «Ho sempre escluso ogni responsabilità della famiglia». , r Il paese si interroga sulla vendetta «Da noi l'ultimo pugno in piazza risale agli Anni 50» Ieri sera Cogne non ha voluto apparire in tv Il padre di Samuele ora chiede di lasciare in pace la sua famiglia

Persone citate: Anna Maria Lorenzi, Lorenzi, Osvaldo Ruffier, Ruffier, Stefano Lorenzi

Luoghi citati: Aosta, Cogne